Il pettirosso
In questi lunghi e solitari pomeriggi di fine marzo che precedono la Pasqua, tra letture e meditazioni, viene a farmi compagnia per pochi minuti un pettirosso.
Per la verità, lui non lo sa che mi fa compagnia, lo vedo dalla finestra scura della mia cameretta che si affaccia sul piccolo giardino che circonda per due lati casa. Si ferma guardingo sull’acciottolato, a volte solo, a volte con altri passeri, in cerca, non so bene, di semi o di vermetti. Poi sosta sul ramo del limone che predilige e dopo poco vola via. Riesco a distinguerlo dagli altri passeri grazie al bel colore rosso-arancio che tiene sul petto.
Tutti conoscono la leggenda del pettirosso, magari l’hanno ascoltata alle elementari. Un giorno questo piccolo uccello vide un uomo appeso in croce, vide il suo viso scarnificato dal dolore e rigato di sangue per la corona di spine che gli cingeva il capo e ne ebbe pietà. Subito con un frullo veloce d’ali si posò sul capo di quell’Uomo, sofferente eppure benedicente, per togliergli ad una ad una le spine. E non si accorse che, così facendo, il suo petto si macchiava di sangue che mai si sarebbe stinto.
Fantasie popolari? C’è una morale da trarre? Non lo so. Forse, se ce n’è una, è racchiusa in questa domanda: tutto il tempo sottratto all’amore non è perduto per sempre?
Sandro Marano