Flamenco e cioccolato
«E la felicità? Io ora la sento. Come un fremito indifeso. Come un filo d’erba che sboccia dall’asfalto». Così scrive la poetessa Maria Pia Latorre in uno degli aforismi che introducono ognuna delle quattro sezioni in cui è suddivisa questa raccolta di poesie, che ha ricevuto il premio della critica nel Torneo dei poeti 2021, intitolata – quasi a voler significare l’adesione alla vita – Flamenco e cioccolato (edizioni G.C.L.).
Una riflessione sulla felicità
La felicità, d’altronde, non consiste nel possedere cose (anche i ricchi sono infelici e ansiosi), ma in una sorta di pienezza dell’essere che ci coglie, non si sa come, in alcuni momenti della vita e a cui tendiamo con tutte le nostre forze. L’uomo infatti è un essere fragile, incompleto, angosciato dal trascorrere del tempo e dalla coscienza dell’insicurezza e proprio per questo ha l’ansia della felicità.
«Vivere – scrive Ortega y Gasset nel suo saggio Goethe. Un ritratto dall’interno – significa trovarsi in quanto vi è di più problematico. Che accadrà nel mondo e quindi a ciascuno di noi fra un anno? Non lo sappiamo. L’avvenire è per definizione insicuro». E quando il nostro progetto di vita coincide con la nostra vita effettiva allora si ha, per il filosofo spagnolo, il «prodigioso fenomeno della felicità»: «L’uomo riconosce il suo io, la sua individualissima vocazione soltanto per il piacere o il dispiacere che in ogni situazione prova. L’infelicità lo avvisa, come l’ago indicatore di un registratore, quando la sua vita effettiva realizza il suo programma vitale e quando si allontana da essa».
L’amore nelle sue cento sfumature
Qual è dunque la vocazione di Maria Pia Latorre, quella che le dà felicità? Senz’altro quella di fare poesia avendo come stella polare l’amore nelle sue cento sfumature. Ed ecco l’amore per la vita congiungersi spontaneamente all’amore sensuale:
«Ti amo e in te la vita
sorpresa in questo spasmo
impasta nuvole e lenzuola
con le palpebre di finestre
abbassate a metà
a far cantare la città».
L’amore per la città natale si sprigiona dal lungomare, dove a parlare non sappiamo se sia la città, il lampione o la stessa poetessa:
«Ogni sera m’accendo alle sette
del lampione guerriero ho il destino
ma ogni giorno di vento e ferraglia
è un bisbiglio il mio canto marino».
L’amore per la natura vivente si traduce nelle poesie della quarta sezione, significativamente intitolata “Respiro verde”, dove la poesia della Latorre raggiunge, a nostro avviso, l’acme. Come in questa Dopo l’inverno, dove il preannuncio della primavera si amalgama a ricordi d’infanzia appena accennati e ad una possibile rinascita spirituale:
«Fidati degli alberi che
hanno per te ripari
di sovrumana quiete
Stelle appese ai mandorli
come luminarie in festa
nei giorni bambini
È il verde che stilla
su gote di frescura
un nuovo ritorno
M’innamora
e ancora
respiro nel respiro verde
l’impronta nella roccia
di un germoglio che
sa già di primavera».
Immagini suggestive si susseguono nelle liriche di questa sezione come quella del mare che «s’agita come / amante sazio / d’infinito» o che «approda» «in ventagli di schiuma /rosa di sabbia».
Un respiro verde
E qui un’autentica sensibilità ecologista, unita ad una profonda religiosità, porta la poetessa a gridare il suo sdegno e il suo dolore per la sorte della foresta amazzonica devastata da un falso progresso in Amazzonia respiro del mondo con quel bellissimo incipit che fa leva su di un ossimoro: «Cosa è nascosto / nelle nebbie di / quest’alba al tramonto?»; fino ad elevare una preghiera alla Madre Terra:
«Madre nostra terra
tu che generi la goccia e la zolla
e le adorni di gemma
sia resa a te giustizia
per le ingiurie distruttive
e le incurie subìte
dacci il dono del silenzio
e degli occhi aperti all’armonia
sia a te dovuta la cura
del creato oltraggiato
della luce ferita
del gelo che scioglie
Madre nostra terra
di ritornare a te, al primario
noi esseri del pianeta
facciamo giuramento».
Per inciso sia Amazzonia respiro del mondo sia Madre terra compaiono nell’antologia curata dalla Latorre L’isola di Gary che riunisce le liriche di una trentina di poeti che declinano il loro sentimento per la natura.
Quando il mondo ti fa lo sgambetto
Ma l’amore non basta. La felicità dell’amore è un bene prezioso, ma anche fugace, transitorio. Ne è consapevole la stessa poetessa che già nella prima lirica, L’inciampo, che apre quest’opera «compatta e ben articolata» e dal ritmo «arioso» (Gianni Antonio Palumbo), confessa di essere inciampata in un filo d’erba dopo che «il mondo ti fa lo sgambetto», e di sentirsi come «esili passeri / sul filo dell’attesa».
E in un altro aforisma osserva: «E all’uomo tocca vivere la sofferenza d’intravedere la perfezione dell’amore e di non riuscire ad aderirvi pienamente. Non sono le religioni il tentativo di risolvere questo dramma?».
La poetessa ci invita velatamente a volgere lo sguardo al cielo. E da parte nostra, sommessamente, non possiamo che augurare al lettore di inciampare nei versi d’amore della Latorre.
Sandro Marano