La Comunione sulla mano, da eccezione a regola
Come è potuto accadere se la Sacra Congregazione del Culto Divino con il “Memoriale Domini” del 1969 aveva solennemente decretato che la pratica della Comunione sulla lingua avrebbe dovuto essere indiscutibilmente conservata?
Ce lo spiega Don Federico Bortoli, Cancelliere vescovile, Vicario giudiziale e consulente ecclesiastico dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti, nonché Difensore del Vincolo presso il Tribunale Ecclesiastico Flaminio di Bologna, nel libro curato dal card. Robert Sarah “La distribuzione della Comunione sulla mano” (edizioni Cantagalli 2018), in cui si affrontano anche i temi della secolarizzazione dei sacerdoti, la clericarizzazione dei laici: un tempo solo i sacerdoti o il diacono celibe prossimo ad essere ordinato presbitero potevano toccare l’Ostia consacrata o il calice del preziosissimo sangue, salvo straordinarie circostanze. “Il “Memoriale Domini” del 1969 è il primo documento ufficiale della Chiesa che ne ha evidenziato le ragioni: la riverenza e il rispetto dei fedeli verso la Santa Eucaristia, in quanto non è un cibo qualsiasi, il pericolo delle eventuali profanazioni, la dispersione di frammenti. Solo laddove l’abuso della pratica della Comunione sulla mano ormai non poteva essere più fermato, fu lasciata la possibilità alle conferenze episcopali di chiederne l’indulto. Tuttavia insieme al “Memoriale Domini”, le diverse conferenze episcopali ricevettero una lettera pastorale di risposta affermativa alla richiesta dell’indulto, dove si parla in termini positivi della pratica della Comunione sulla mano, come se si trattasse di un invito implicito a cui aderirono quasi tutte le conferenze episcopali. Ricevere la comunione sulla mano – prosegue don Bortoli – porta inevitabilmente a favorire la mancanza di fede nella transustanziazione. Le stesse conferenze episcopali, nelle catechesi preparatorie, avrebbero dovuto spiegare le ragioni per cui la Chiesa preferisce la Comunione sulla lingua e se, nonostante queste raccomandazioni, qualcuno avesse voluto comunque ricevere l’ostia sulla mano, avrebbe dovuto farlo con la massima attenzione. In realtà le conferenze episcopali hanno fatto una vera e propria campagna promozionale della Comunione sulla mano, dicendo che era il modo migliore per ricevere l’Eucaristia, perché praticata dai primi cristiani, più confacente alla dignità della condizione battesimale, un modo per partecipare più attivamente alla liturgia, e così via. Tra la documentazione inedita riportata vi sono anche segnalazioni da parte dei fedeli che attestano come la pratica della Comunione sulla mano li abbia disorientati, favorendo irriverenze e profanazioni.
Non a caso il card. Sarah nella prefazione al libro si chiede: “E’ veramente troppo umiliante prostrarsi e stare in ginocchio davanti al Signore Gesù Cristo?” L’uomo – continua don Federico – non è uno spirito disincarnato, ma è costituito di anima e di corpo. Quindi tutto ciò che è materiale ed esteriore è importante e nella liturgia gli atteggiamenti esteriori del corpo sono espressione di ciò che è interiore. Inginocchiarsi mentre si riceve l’Eucaristia ci aiuta ad essere maggiormente consapevoli di Chi andiamo a ricevere prostrandoci in adorazione. Purtroppo accade, e ciò si verifica spesso, che venga negata la Comunione a chi desidera ricevere l’Eucaristia in ginocchio. E’ un grave abuso. “Redemptionis Sacramentum” della Congregazione per il Culto Divino del 2004 ha sottolineato che ogni fedele ha diritto a ricevere la Comunione sulla lingua e in ginocchio.
Con la Riforma Liturgica si è dato spazio allo spontaneismo e alla creatività. Molti sacerdoti manipolano e cambiano la liturgia secondo i propri gusti, come se ne fossero non i servitori, ma i proprietari. Credo che questo sia dovuto al venir meno della fede nella presenza reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucaristia. L’aspetto sacrificale della Santa Messa viene messo in secondo piano e l’Eucaristia considerata di fatto un simbolo fino al punto di essere vissuta come un incontro conviviale fraterno. Per molti la Santa Messa è considerata una festa, dove l’assemblea celebra se stessa. Si sente parlare di transfinalizzazione e di transignificazione. Occorre una nuova rievangelizzazione dei fedeli laici, ma prima di tutto devono essere gli stessi sacerdoti ad insegnare l’autentica dottrina eucaristica e a dare esempio di rispetto verso l’Eucaristia.
E’ necessario rimanere ancorati alla Traduzione cattolica”.
Cinzia Notaro