Matsuo Bashō

Per inquadrare la figura di Matsuo Bashō (1644 – 1694), che è stato uno dei grandi poeti giapponesi, in particolare nella forma degli haiku, occorre fare qualche rapido cenno alla storia del Giappone.
Durante il cosiddetto medioevo giapponese (1185-1603) l’autorità dell’imperatore, che aveva il suo centro culturale e politico a Kioto, era stata esautorata a favore di svariati clan nobiliari. Questi si contendevano il controllo del paese attraverso alleanze e conflitti e avevano instaurato un sistema di tipo feudale fondato su di un’élite militare, i samurai. Questi guerrieri giuravano fedeltà ai loro signori, in cambio di terre, ma non erano solo guerrieri: avevano infatti anche un ruolo politico-culturale e promuovevano la vita culturale proteggendo artisti e contribuendo alla diffusione della poesia, della calligrafia e di altre forme d’arte.
Dopo le sanguinose guerre civili che avevano caratterizzato il medioevo giapponese fu istituito, sotto il dominio politico dei Tokugawa, lo shogun, una sorta di dittatura che durò per tutto il lungo periodo denominato di Edo (1603-1867). I Tokugawa posero fine alle lotte civili e attuarono una politica isolazionista. Tuttavia, nonostante la politica di chiusura al mondo esterno, il Giappone non si isolò mai del tutto. Il commercio e gli scambi continuarono a fiorire grazie ai mercanti cinesi e alle spedizioni olandesi attraverso il porto imperiale di Nagasaki.
È in questo contesto storico-politico che nacque a Ueno, un borgo non molto distante dalla nuova capitale Edo (l’attuale Tokio),Matsuo Bashō. Apparteneva per nascita alla classe militare dei samurai. Fin da giovane fu attratto dalla letteratura e fu ordinato monaco in un monastero zen, fondando a sua volta scuole con molti allievi.
Bashō era il soprannome, il suo vero nome era infatti Matsuo Munefusa e bashō in giapponese significa banano. Si dice infatti che il poeta assunse questo nomignolo dopo aver ricevuto da un allievo una piantina di banano, che per il clima troppo rigido del Giappone non dava frutti. Con questo pseudonimo il poeta intendeva probabilmente alludere al fatto di non attendersi dalla poesia successi ed onori.
Viaggiatore instancabile, descrisse nella sua opera l’esperienza del viaggio, da intendersi non solo in senso geografico, ma anche soprattutto interiore. Durante i suoi lunghi viaggi, a piedi o a cavallo, su polverose carrarecce e lungo impervi sentieri di montagna componeva diari di viaggio e gli haiku, brevi componimenti di tre versi nei quali l’io scompare e si immedesima nella natura circostante.
I temi fondamentali delle sue composizioni sono la transitorietà della vita, la bellezza della natura e l’armonia tra uomo e mondo e riflettono le due correnti filosofico-religiose che hanno plasmato in modo significativo la cultura e l’arte giapponesi: il Buddismo Zen e il Taoismo.
L’influenza dello Zen (attraverso l’illuminazione) e del Taoismo (attraverso la ricerca dell’armonia) è evidente nell’approccio di Bashō alla poesia e alla letteratura. Il suo stile si distingue infatti per semplicità e profondità.
Uno dei viaggi più significativi di Bashō fu quello intrapreso nel 1689, che lo portò a percorrere il sentiero del Nord dell’isola di Honshu, viaggio che descrisse nel suo famoso diario di viaggio “Oku no Hosomichi” (Lo stretto sentiero verso il profondo nord).
Bashō, che si era da tempo stabilito a Edo, la lasciò nell’estate del 1694 per intraprendere il suo ultimo viaggio. Colto da febbri, si fermò a Osaka dove spirò. Quattro giorni prima della morte dettò a un allievo il suo ultimo haiku:
Ammalatomi in viaggio,
il mio sogno corre ancora
qua e là nei campi spogli.
Sandro Marano