“All’ombra della storia” i ricordi “tra politica e affetti” di Stefania Craxi

Il “respiro lungo della Storia” contro “il fiato corto della cronaca” che non appassiona più. Potremmo sintetizzare così il libro di Stefania Craxi, prefazione di Paolo Del Debbio, “All’ombra della storia” pubblicato con Piemme.
A venticinque anni dalla morte di Bettino Craxi, la figlia del noto leader socialista, attualmente Presidente della Commissione Affari Esteri e Difesa del Senato, “tra politica e affetti” ripercorre la sua vita rimembrando fatti e vicende personali, della propria famiglia e di quella grande comunità socialista che troneggiò nell’Italia degli anni Ottanta, ma che aveva salde radici in una storia lunga e travagliata.
Resterà deluso chi pensa di trovare nelle pagine del libro la solita ed aggressiva Stefania, che a volte abbiamo visto in tv a difesa della memoria paterna.
Serenamente, nostalgicamente, ma anche fermamente, Stefania alterna ricordi personali, dall’infanzia all’adolescenza, a donna matura, madre e nonna, rammentando gli insegnamenti paterni che addita alla giovanissima figlia i valori del Socialismo e della Resistenza insegnandole, però, ad avere rispetto per chi la pensa diversamente, non tralasciando quegli italiani che hanno scelto la Repubblica Sociale Italiana; curioso che tale insegnamento avvenga proprio a Giulino di Mezzegra, dinanzi a Villa Belmonte dove, stando alle ricostruzioni ufficiali, il 28 aprile 1945 vennero assassinati Benito Mussolini e Claretta Petacci.
Un Craxi che matura i suoi convincimenti antifascisti non certo per aver lanciato, undicenne, alcuni sassi contro le finestre della casa del Fascio.
Più figlio – a nostro parere – di Giuseppe Saragat, padre della Socialdemocrazia nostrana post 1945 che dell’ondivago Pietro Nenni, fratello minore del socialdemocratico Luigi Preti, lontano anni luce dal settarismo di Sandro Pertini, Bettino Craxi è stato un autonomista convinto tant’è che, nel luglio 1976, divenuto segretario di un partito diviso ed in crisi, nel giro di pochi anni lo farà approdare definitivamente ai lidi del Socialismo democratico e riformista affrancandosi definitivamente dalle mire egemoniche del Partito Comunista. Ha inizio in quel momento un lungo e duro duello con i comunisti, conclusosi con la vittoria di questi ultimi anche grazie a Tangentopoli e Mani Pulite.
Alla guida del Psi Craxi riscopre la figura di Garibaldi vaticinando un Socialismo Tricolore; niente male per un partito da sempre carente di valori nazionali e patriottici.
Anni fa, conversando proprio di Socialismo Tricolore con l’ex Ministro della Difesa Lelio Lagorio, il noto esponente socialista ebbe a dirci:
“Allo scadere degli Anni Settanta il Psi si stava ancorando al “Socialismo tricolore” (Garibaldi, De Amicis, Battisti) e Almirante non mancò di incoraggiare quella nostra svolta. Lo faceva fare ai suoi uomini di fiducia alle Camere, nel mondo intellettuale, sulle riviste e sui giornali usando sempre il massimo di discrezione per non accrescere le già rilevanti difficoltà di quell’epoca. Il Psi per tutta risposta, di lì a poco, lo ‘sdoganò’ come si disse in gergo parlamentare, cioè inserì Almirante e i suoi nella cerchia delle personalità che andavano consultate in caso di crisi di governo o di qualche più grossa questione politico-istituzionale. Fino ad allora non era mai successo e fu un evento che fece rumore. In quella circostanza Almirante ci disse:
‘Non dimenticheremo mai questo vostro gesto!’”.
Figlio dell’inquieto e drammatico Novecento, anche Craxi è stato uomo di parte e di partito. Ci sia permessa una divagazione al fine di smentire una filastrocca del tempo presente che, a seconda delle convenienze partitiche, invoca, per risolvere i problemi, politici super partes ed istituzioni neutre. Specie in politica, tutti sono settari e di parte; non esistono politici super partes ed istituzioni neutre. Non a caso, queste ultime, in qualsiasi latitudine del mondo vengono originate e modellate proprio dalla politica che è appunto di parte e non super partes.
Tornando al libro di Stefania, il volume racconta fatti ed aneddoti personali, sicuramenti sconosciuti al grande pubblico, specie per quel che concerne le sue passioni lavorative coronate da successi nonché dalle amicizie nate ed evaporatesi nel tempo.
Con dovizia di particolari vengono raccontati i periodi trascorsi ad Hammamet che, da luogo di tranquille e spensierate vacanze, diventa terra di esilio e di solitudine con un Craxi ammalato, ridotto allo stremo ma combattivo, abbandonato da buona parte di quei suoi fedelissimi compagni che negli anni ruggenti lo contornavano devoti ed ossequienti. Quanto a tale aspetto, forse il Psi e non solo il Psi, avrebbe dovuto prendere esempio dai comunisti che hanno sempre saputo selezionare le classi dirigenti provenienti da una dura militanza di base, tra l’altro formatesi alle scuole di formazione del Pci. Una scuola che ancora oggi dà i suoi frutti alle sinistre di derivazione comunista. Non a caso, soprattutto a partire dal 1994, allorquando vi sono stati frequenti cambi di casacca in Parlamento, questi sono avvenuti, nella stragrande maggioranza dei casi, dallo schieramento di centrodestra verso sinistra, raramente è accaduto il contrario.
Vari riferimenti del libro riguardano il famoso hotel romano Raphael dove Craxi ha soggiornato per anni, assurto agli onori della cronaca il 30 aprile 1993 per il lancio di monetine contro il leader socialista, fatto per il quale non ebbe paura ma “vergogna” per quei contestatori che certe narrazioni hanno fatto passare come cittadini colà adunatisi spontaneamente dopo una manifestazione tenutasi in piazza Navona con il leader del Pds Achille Occhetto. Premesso che non abbiamo mai creduto allo spontaneismo di certe manifestazioni perché non confacenti al carattere degli italiani, i fatti del Rapahel fanno venire in mente altro evento risalente all’autunno 1994 – di cui fummo casuali testimoni – quando il I Governo Berlusconi veniva contestato in ogni dove dai progressisti, CGIL in testa, per la manovra economica. I media di sinistra parlavano di presidi di lavoratori che nascevano spontaneamente davanti alle fabbriche e per strada. Una mattina assistemmo ad un curioso conciliabolo far due anziani. Nel mentre l’uno esaltava le manifestazioni spontanee in atto, l’altro sarcasticamente soggiungeva:
“Sono talmente spontanee le manifestazioni che certi lavoratori vanno a lavorare, chissà perché, di buon mattino, con la bandiera rossa”.
Non mancano riferimenti alla politica estera riferiti, in particolare, alla famosa Notte di Sigonella ed ai concreti appoggi che Craxi offrì a partiti e movimenti che si battevano per la libertà e l’indipendenza dei propri paesi oppressi dalle dittature.
Un Craxi che mal digeriva qualsiasi tipo di ingerenza straniera o finanziaria negli affari italiani in quanto credeva nel primato della politica sull’economia.
In odine tale aspetto, per un Craxi che in Italia non ha lasciato eredi, a livello internazionale, un suo figlio politico può essere considerato il socialista greco George Papandreou, Capo del Governo ellenico dal 2009 al 2011.
Proprio il 31 ottobre 2011 Papandreou chiese un Referendum per chiedere al popolo se il Governo da lui presieduto poteva effettuare quelle durissime riforme economiche e di austerità imposte dagli organismi internazionali:
“Se i cittadini della Grecia non vorranno che le nuove norme siano applicate, molto semplicemente non le applicheremo” (https://www.ilpost.it/2015/06/29/referendum-papandreou-grecia-2011/).
Dichiarazione terrificanti per i detti organismi.
L’11 novembre nasceva un nuovo Esecutivo presieduto da Lucas Papademos, ex vice presidente della Banca Centrale Europea.
Ciò non può che suscitare una riflessione riguardo le attuali socialdemocrazie europee che, lontane oramai anni luce dal Socialismo democratico dei Giuseppe Saragat, dei Felipe González, dei Mário Soares, dei François Mitterrand, degli Helmut Schmidt e dello stesso Bettino Craxi, appiattite su posizioni globaliste, sono portatrici di politiche massimaliste e radicali di chiara connotazione autoritaria.
Quanto al rapporto con i comunisti, Craxi commise due errori:
uno storico, politico e culturale, l’altro di valutazione.
Fu un errore storico, politico e culturale, in nome dell’unità socialista di cui fu fautore, l’aver favorito nel settembre1992 l’ingresso nell’Internazionale Socialista del Pds, partito che si era solo riverniciato per tattica politica causa la deflagrazione ad est del Comunismo e che, comunque, di Socialismo riformista ed unità socialista non ne voleva proprio sapere. Del resto, chiaro era stato il messaggio di Achille Occhetto, segretario del Partito comunista fin dal comitato centrale del 24 novembre 1989:
“Il nostro obiettivo non è quello dell’unità socialista, a cui ci chiama Craxi, una unità che dovrebbe fondarsi su basi ideologiche, ma quello di una più ampia unità delle forze riformatrici e di progresso, che deve avere il suo banco di prova nella scelta inequivocabile dell’alternativa su basi programmatiche. Oggi spetta ai socialisti fare un passo chiaro in questa direzione. In una visione per davvero democratica e pluralistica della politica le richieste non possono venire sempre e solo da una sola parte” (“Documenti per il congresso straordinario del Pci. 2: Il Comitato centrale della svolta, 2: Roma, 20-24 novembre 1989. Interventi, conclusioni di Achille Occhetto”, Supplemento al n. 13 del 16 gennaio 1990 dell’Unità).
Quanto all’errore di valutazione di Craxi, nel confronto Partito socialista-Partito comunista il tutto sta nei numeri elettorali che, in presenza di un verdetto di popolare in sistema di rappresentanza parlamentare, hanno la loro importanza anche se, nell’ultimo trentennio, tale fondamentale principio è stato delegittimato dalla nascita di governi per lo più tecnici che, non rispettando il voto dei cittadini, si sono rivelati illegittimi.
Orbene, nelle elezioni politiche per la quinta volta anticipate del giungo 1987, il Pci riportò il 26,58 % dei voti (- 3% rispetto alle politiche del 1983), il PSI il 14,26% (+3% rispetto politiche 1983).
Nelle politiche 1992 il Partito democratico della sinistra conseguì il 16,11 % più il 5,62 % di Rifondazione comunista; il Psi il 13,62%.
Nel libro Stefania Craxi asserisce che il padre lavorava ad una “prospettiva di ricomposizione unitaria a sinistra”. Ma come poteva avvenire tutto ciò con i suddetti numeri? E il Pds avrebbe fatto a meno della propria mai sopita identità comunista? Ed avrebbe rinunciato all’alleanza con Rifondazione comunista?
Naturalmente sarà la Storia un giorno a comminare l’inesorabile verdetto.
Michele Salomone
Stefania Craxi, “All’ombra della storia”
Piemme (https://www.edizpiemme.it/libri/allombra-della-storia/)