ReArm Europe. Ovvero l’ipocrisia UE

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Il piano ReArm Europe è un’iniziativa strategica proposta dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il 4 marzo 2025, con l’obiettivo di rafforzare le capacità di difesa dell’Unione Europea in risposta alle crescenti minacce geopolitiche e alle incertezze sul sostegno militare degli Stati Uniti. 

Componenti principali del piano sono:

  • Flessibilità fiscale: sospensione temporanea delle norme di bilancio dell’UE per consentire agli Stati membri di aumentare la spesa per la difesa, con l’obiettivo di mobilitare fino a 650 miliardi di euro nei prossimi quattro anni. 
  • Prestiti per la difesa: erogazione di prestiti per un totale di 150 miliardi di euro destinati a progetti di difesa congiunti, come lo sviluppo di sistemi di difesa aerea e missilistica. 
  • Riorganizzazione del bilancio: riorientamento di fondi UE esistenti, inclusi i fondi di coesione, verso investimenti nel settore della difesa. 
  • Ruolo della Banca Europea per gli Investimenti (BEI): revoca delle restrizioni sui prestiti della BEI per supportare le aziende del settore della difesa. 
  • Unione del Risparmio: creazione di un meccanismo per mobilitare capitali privati nel settore della difesa, incentivando gli investimenti privati nel comparto. 

Uno dei singolari aspetti sul piano politico è che il ReArm Europe prevede una flessibilità fiscale per la spesa militare, ma non per altri settori cruciali come sanità, istruzione e welfare. Questa scelta implica che i governi potranno indebitarsi per potenziare la difesa, ma non per migliorare servizi essenziali per i cittadini con possibile conseguenza che si vada verso un’austerità selettiva: allentamento delle regole di bilancio solo per le spese militari, mentre il resto dell’economia rimane soggetto a vincoli rigidi.

Il piano, peraltro, favorisce l’industria bellica europea senza sufficienti garanzie su come saranno utilizzati i fondi. La revoca delle restrizioni sui prestiti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI) per il settore della difesa potrebbe trasformare la BEI in un finanziatore privilegiato delle aziende militari, rischiando di creare un sistema poco trasparente e influenzato dalle lobby dell’industria degli armamenti.

Sebbene la Commissione Europea abbia stimato un impatto economico di 800 miliardi di euro in quattro anni, di cui 150 miliardi derivanti da prestiti per la difesa, non è chiaro come questo debito possa essere sostenibile nel lungo periodo. Se la spesa militare diventa una priorità, c’è il pericolo reale che i futuri governi debbano compensare con tagli ad altri settori o con l’adozione di nuove tasse.

Un massiccio riarmo dell’Europa potrebbe poi alimentare tensioni internazionali invece di garantire maggiore sicurezza. L’UE rischia di adottare una logica puramente militare in risposta alle crisi, piuttosto che investire in diplomazia e cooperazione internazionale. Questo potrebbe inasprire il confronto con potenze come la Russia e la Cina, anziché rafforzare la stabilità globale.

Il piano, infine, non prevede la creazione di un esercito europeo unificato, ma lascia ai singoli Stati la responsabilità di aumentare le proprie spese militari. Questo potrebbe portare a un riarmo disordinato, con ogni Paese che sviluppa capacità militari senza una strategia comune. Di conseguenza, l’UE potrebbe finire per spendere di più senza ottenere un’effettiva maggiore sicurezza collettiva.

In conclusione, il piano ReArm Europe rischia di privilegiare l’industria bellica a scapito di altre esigenze sociali e di generare squilibri economici e geopolitici. Invece di un semplice aumento delle spese militari, l’UE avrebbe bisogno di una vera strategia di sicurezza comune, che includa diplomazia, stabilità economica e cooperazione internazionale, inoltre la tranquillità con cui viene concessa la possibilità di fare debiti manifesta l’ipocrisia della politica europea fino a ieri minuziosa a volte maniacale nel controllo delle spese e nell’evitare indebitamenti da parte degli Stati membri. Tutto ciò accentua una sottomissione da parte dei politici europei, al gioco delle Lobby delle armi.

Giovanni Paradiso