I piccoli al tempo del Covid-19
Capita spesso di imbattermi in diatribe su come i bambini stiano vivendo questo difficile momento. Alla iniziale gioia per aver saltato qualche giorno di scuola si è aggiunto l’inevitabile sgomento per non poterla più frequentare. Quella che doveva essere una pausa di qualche giorno, a cui fare riferimento con la gioia di chi può svegliarsi tardi e saltare i compiti, si è aggiunta la sgradevole sensazione di perdere riferimenti importanti: la scuola non è solo il luogo in cui si “apprende”, non è solo dispensatrice di cultura ma è anche e soprattutto un luogo di incontro/confronto. I minori ricevono supporto educativo, imparano a gestire situazioni di qualsiasi natura al d fuori dell’ambito familiare, imparano a convivere, fanno attività fisica, dibattono etc.
Tutto ciò è mancato all’improvviso e non come “pausa estiva” ma come uno strappo, una lacerazione. Ed è in questa ottica che va letto il problema. I bambini si sono visti strappare la condivisione di spazi con coetanei e adulti, qualcosa cui fare riferimento.
Le doverose spiegazioni che giungono dai genitori non sono sufficienti per “piccole” menti logiche e razionali. Per quanto comprendano, hanno difficoltà ad interiorizzare e metabolizzare i divieti sempre più pressanti. Capricci. Lo sono davvero? O sono forse l’espressione acuta di un disagio che non riescono a manifestare diversamente? Inquietudine, senso di solitudine non colmabile con video chat. Non scherziamo!, qui manca il contatto fisico e mancherà a lungo. Le paure nei piccoli sono disastrosamente gigantesche, il dubbio di non poter mai più giocare con i coetanei, incontrare i nonni, affiora e a loro poco interessano le date del premier. Queste consolano gli adulti, ma sono semplicemente numeri per loro.
L’informazione con cui siamo bombardati, deve necessariamente e opportunamente essere calibrata e mediata dai genitori, che devono rassicurare i bambini con fermezza. Non si può pensare di lasciarli dinanzi alla tv che lancia ogni tipo di notizia, parla di morte, trasmette immagini che possono essere recepite come terrificanti. I genitori devono preoccuparsi di filtrare quanto più possibile. Informare i bambini è doveroso, ma non li si può lasciare in balia di ciò che da soli non possono gestire. Ai bambini non si può fornire un capitale che non sanno spiegarsi. È importante che sappiano, ma non è importante che conoscano i numeri catastrofici di morti e contagiati. Per loro fa poca differenza 1 o 100 laddove 2 o 5 è già un numero grandissimo. I genitori hanno il compito di spiegare ciò che sta accadendo, ma sempre nel rispetto dell’età dei bambini, nel rispetto della loro capacità di elaborare le informazioni. In tale ottica si può auspicare una informazione filtrata anche per le prossime fasi di ripresa. Un ritorno alla normalità molto diverso da ciò che hanno sperimentato “prima”. Bisogna far loro condividere la gioia delle piccole cose, della passeggiata finalmente consentita, il poter rivedere i nonni, gli zii ma senza abbracciarli, spiegare che sono piccoli passaggi che ci consentiranno di tornare al “prima”.
È importante che i genitori spieghino che è successo qualcosa di straordinario al mondo intero, che mostrino attraverso l’esempio che siamo tutti colpiti ma senza cadere nell’angoscia. Non è necessario che i minori conoscano nei dettagli l’angoscia che attanaglia gli adulti. Possono cominciare a spiegare che sarà una estate diversa, dare ai bambini il tempo di metabolizzare l’informazione: per i bambini un cambiamento radicale nelle abitudini è già occorso. Li ha spiazzati, ma ora abbiamo il tempo di parlare loro del diverso futuro immediato. I giochi in spiaggia? Forse banditi. Non ritroviamoci a luglio per spiegarglielo, cominciamo ora, subito, diamo loro tempo. Il tempo di adattarsi a nuovi stili di vita, a qualcosa che si prevede essere molto diverso dal “prima”. Il confronto verbale è sempre la soluzione, se la comunicazione risulta efficace.
Un invito agli adulti: comunicare efficacemente, senza generare paure. Una comunicazione è efficace quando è coerente con il proprio stato d’animo. Inutile chiedere di non aver paura se ci esprimiamo con angoscia. Comunicare efficacemente significa anche saper ascoltare e quindi conoscere i bisogni di chi ci ascolta. E i bambini non fanno eccezione, hanno bisogni che attendono risposte e necessitano di interlocutori che abbiano chiaro ciò che desiderano comunicare. Per comunicare efficacemente è molto importante avere chiaro l’obiettivo della nostra comunicazione e imparare a chiedersi qual è il vero motivo per cui vogliamo comunicare ciò che abbiamo in mente o, ancora, cosa desideriamo che accada dopo ciò che abbiamo comunicato, ricordando che il significato della comunicazione è la risposta che riceviamo. Questo significa porre estrema attenzione in ciò che diciamo e come lo diciamo. Risposte e atteggiamenti positivi dipendono per gran parte da come noi adulti interloquiamo con i nostri bambini.
Bambini che stanno soffrendo persino per i litigi – spesso più costruttivi che dannosi – con i compagni di scuola. Le maestre, le insegnanti, il corpo scolastico tutto si affanna a donare il meglio che può e lo fa al meglio delle proprie possibilità, ma è davvero attento alla qualità della vita di chi studia e apprende davanti un monitor piuttosto che alla qualità delle lezioni? Non si può più pensare di portare avanti programmi didattici istituzionali e terminare il programma previsto, quale unica meta di questo anno scolastico. I bambini fanno molta più fatica a studiare, manca loro alzare la mano e “approfittare” della intuizione di un compagno. Le lezioni in video sono asettiche ed esporre la lezione guardando un monitor, invece che “in mezzo” ai compagni, potrebbe creare disagio.
Il corpo docente ha l’obbligo, il dovere morale di calibrare alla pari dei genitori. Da sempre maestri, insegnanti accolgono e vigilano, ora devono avere attenzioni maggiori e modalità di ascolto differenti: possono offrire spazi di ascolto, le chat studio potrebbero aprirsi a chat di confronto/incontro, piccoli spazi di condivisione del vissuto quotidiano, in cui ci si confronta sulle difficoltà di questo periodo, in modo che la condivisione faccia sembrare più piccole le paure. Da sempre, sapere che anche altri condividono le stesse paure – se mediati da persone che spiegano senza generare panico – aiuta a smantellare la paura, a renderla visibile e non più un mostro gigantesco che affiora negli incubi peggiori.
Cosa sarà di queste “piccole” menti tra qualche anno? Siamo così sicuri che il ritorno alla normalità “resetti” tutto? Siamo così sicuri che non lasci strascichi? è vero, i bimbi hanno una sorprendente capacità di adattamento e sono abili a superare le situazioni più complesse, ma le superano? O le relegano in un posto in fondo alla mente e le chiudono a chiave per evitare un ritorno difficile da gestire?
Per quanto possibile bisogna intervenire qui e ora invece che tra qualche anno, quando probabilmente qualcuno tirerà fuori la “sindrome da covid 19” per spiegare comportamenti adolescenziali. Gli adolescenti di domani sono i piccoli di oggi. E sono gli adulti di dopodomani, coloro che legifereranno, che decideranno il futuro. Cosa apprendono da questo stile di vita imposto? Che è molto faticoso mantenere le relazioni sociali, che è impossibile, forse.
Siamo convinti della necessità di quarantena, ma chiediamoci se non sia invece possibile adottare modelli alternativi quali, ad esempio, le “lezione nei parchi”. Utopistico? Non direi. Tutte le città ormai possiedono free hotspot per connessioni utili alla didattica. I bambini vivrebbero un contesto di contatto almeno visivo, guarderebbero la maestra negli occhi invece che un robot su uno schermo. Potrebbe anche solo essere l’ora di educazione fisica per cominciare. Piccoli gruppi di bambini ben distanziati, felici di potersi guardare. Non potremo abbracciarci per molto tempo, regaliamo uno sguardo vero ai nostri minori. Per cominciare. Per Ricominciare. Occupiamoci di queste piccole menti logiche a cui stiamo davvero chiedendo uno sforzo difficile da sopportare in solitudine.
Cinzia Romita