Mutamenti climatici, dissesto idrogeologico e responsabilità

Ponti crollati alle prime piogge, case portate via dai fiumi in piena, allagamenti. Danni per milioni di euro. Non diamo la colpa al meteo o alla natura per il dissesto idrogeologico. La freccia scagliata contro il cielo ritorna sulle nostre teste. I drammatici avvenimenti dovuti al dissesto idrogeologico che ripetutamente e sempre più frequentemente si abbattono su tutto il Bel Paese, con alternanza di siccità, di gelate e di alluvioni, dimostrano ancora una volta che i cambiamenti del clima non sono fantasie di “ambientalisti alla Greta” e sono provocati da un uso irresponsabile del territorio e da un modello di economia che non tiene conto della biosfera. «Per decenni – scrive Alain de Benoist – se non per interi secoli, l’attività economica si è svolta nell’ignoranza delle leggi fisiche fondamentali secondo le quali l’ambiente e l’economia non formano mai delle entità radicalmente distinte».(1)

Un’ulteriore conferma della stretta relazione tra attività umane e cambiamenti climatici la troviamo nell’ultimo rapporto del 2019 dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che è il massimo consesso mondiale di esperti sul clima. In particolare, nel rapporto si rileva che il clima terrestre si sta riscaldando (la temperatura media sulla superficie terrestre è aumentata di circa 0.6 °C nell’ultimo secolo) e che l’influenza umana sul sistema climatico è evidente. I cambiamenti climatici comportano infatti non solo un riscaldamento del clima globale, ma anche cambiamenti nella frequenza e nella quantità degli eventi climatici estremi (alluvioni, siccità, cicloni, ecc.). A pagare le conseguenze del riscaldamento globale sono soprattutto le popolazioni più povere di Africa e Asia, con guerre e migrazioni. Ma anche il Mediterraneo è ad alto rischio di desertificazione e incendi. «I migranti economici saranno sempre più migranti climatici, una situazione che rischia di accentuare i conflitti per l’uso delle terre ma anche nei Paesi di destinazione. Come l’Italia e quelli europei che si affacciano sul Mediterraneo, esacerbando così lo scontro già in atto, sociale, culturale e politico». (2) Assieme alla siccità aumentano gli incendi, quasi sempre di origine dolosa, come di recente è accaduto in Australia, in California e in Amazzonia. Peraltro, «è stato detto più volte, durante la conferenza stampa a Ginevra: “Il suolo sotto pressione, è una parte della soluzione ma non può fare tutto da solo”. Perché una gestione sostenibile del territorio può aiutare a mitigare gli effetti dei gas serra che stiamo continuando a pompare in atmosfera. Attraverso per esempio la riforestazione, la “afforestazione” (creare nuove foreste) e mitigando la deforestazione. Le piante, oltre a essere il “polmone” del Pianeta, possono immagazzinare CO2 sottraendola all’atmosfera fino a un terzo delle emissioni totali, anche se è una percentuale variabile proprio per l’incognita dei cambiamenti climatici. Ma anche la gestione dell’agricoltura potrà dare una mano». (3)

Se poi, per limitarci all’Italia, prendiamo in esame i dati riportati nell’annuario dei dati ambientali 2017 pubblicato a cura dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) rileviamo che la caratteristica più rilevante del clima in Italia nel 2016, che si è poi riaffermata con ancor maggiore intensità nel corso del 2017,  del 2018 e del 2019, è stata la persistenza di condizioni siccitose accompagnate da precipitazioni di forte intensità: «Nel 2016 l’anomalia, rispetto alla media climatologica 1961-1990, della temperatura media in Italia (+1,35 °C) è stata superiore a quella globale sulla terraferma (+1,31 °C)» (cfr. figura). Ed ancora: «gli anni più caldi dell’ultimo mezzo secolo, in Italia, sono stati il 2015, il 2014, il 1994, il 2003 e il 2000, con anomalie della temperatura media comprese tra +1,35°C e +1,58°C. Come negli ultimi 10 anni, il 2016 è stato un anno più caldo rispetto alla norma anche per quanto riguarda gli indici degli estremi di temperatura […] con un’anomalia di circa +10 giorni nell’anno rispetto alla media climatologica». (4)

I dati raccolti dagli scienziati, sia a livello globale che a livello regionale, dimostrano senz’ombra di dubbio che non abbiamo né in Italia né nel resto del mondo una classe politica davvero consapevole del problema e capace di prendere provvedimenti magari impopolari ma necessari. 

La fotografia della situazione italiana odierna poi è ancora la stessa di quella denunciata in un lucido articolo del 1987 da Antonio Cederna, archeologo e giornalista che condusse memorabili battaglie in difesa del patrimonio storico ed artistico:  «Chi oggi intraprendesse il grand tour potrebbe alla fine scrivere quella guida dell’Italia alla rovescia […] in cui illustrare i maggiori scempi e disastri: pinete litoranee lottizzate, aree archeologiche insidiate dall’edilizia, mare in gabbia e coste trasformate in congestionati suburbi, fiumi ridotti a cloaca, colline e corsi d’acqua devastati dalle cave, case e industrie costruite in zone franose, preziose zone umide trasformate in campi di patate, monumenti famosi incastonati fra i casamenti della periferia, boschi abbandonati, montagne scorticate e ricoperte da fili e tralicci, pendici di vulcani urbanizzate, parchi nazionali occupati da condomini e tagliati da strade rovinose, scarichi fumanti di rifiuti, la macchia mediterranea privatizzata dal reticolo edilizio, e via dicendo. Un insensato sparpagliamento del costruito elimina ogni distinzione tra città e campagna, annulla ogni identità fisica e storica, un’ininterrotta crosta di cemento e asfalto va man mano sostituendosi alla crosta terrestre». (5)

Se poi ci chiediamo di chi siano le responsabilità, ebbene, le responsabilità vanno equamente distribuite tra popolazioni, classe politica ed intellettuali. Gli italiani, in generale, non hanno mostrato di amare la propria terra, sono stati e sono nel contempo artefici e vittime d’un società fondata sulla crescita indiscriminata, sullo spreco e sul consumo di beni, tra cui spicca il consumo del territorio che è certamente un bene prezioso ma scarso e limitato.  La classe politica, anziché educare e governare il territorio, ha assecondato egoismi, spinte anarcoidi e, non di rado, appetiti malavitosi.

Osserviamo, en passant, che l’art. 9 della Costituzione è il più bistrattato e il più dimenticato dai custodi integerrimi della Costituzione. Gli intellettuali, infine, sono stati a lungo succubi di culture e visioni del mondo (marxismo, scientismo, idealismo, taluni filoni dell’esistenzialismo, ecc.) poco rispettose per il valore in sé della natura. Domina tuttora la convinzione che il progresso si identifichi con l’industrializzazione, che il benessere coincida con la crescita continua della produzione e del consumo di risorse, di territorio, di beni e con la crescita della popolazione. Per quanto riguarda le religioni possiamo registrare solo per la Chiesa ortodossa – in particolare, con l’enciclica del sinodo della Chiesa ortodossa tenutosi a Creta nel 2016 (6)  – e per la Chiesa cattolica – in particolare, con l’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco del giugno 2015 – delle lodevoli eccezioni, mentre da parte delle altre religioni rivelate c’è stato silenzio sui problemi globali della Terra. Circa la Laudato si’ va peraltro rilevato che «l’Enciclica contiene importantissime condanne della crescita economica e dell’impiego dei combustibili fossili, ma condanna ancora una volta il controllo delle nascite e il Biocentrismo, inoltre non fa quasi nessun accenno alla sofferenza degli altri esseri senzienti. In sostanza contiene pesanti contraddizioni interne, pur costituendo una notevole novità nella storia della Chiesa, perché riconosce finalmente una certa spiritualità anche al mondo naturale».(7)

D’altro canto, Antonio Cederna si chiedeva: «chi mai direbbe che siamo il paese di San Francesco, il santo più immeritato e meno italiano, che ha detronizzato l’uomo dal suo dominio sulla natura e ha predicato la tenerezza, la fratellanza con ogni altra cosa animata e inanimata […] e raccomandava di lasciare in ogni orto un pezzo di terra non coltivata perché potessero liberamente crescere le erbacce?» E profetizzava: «tra poco più di un secolo tutta l’Italia sarebbe ricoperta di una continua, ininterrotta, repellente crosta edilizia e di asfalto, tale da distruggere ogni produttività agricola e cancellare la stessa fisionomia paesistica, naturale, culturale di quello che fu chiamato il Bel Paese». (8)

 

Sandro Marano

 

 

  • Alain de Benoist, L’ecologia profonda come risposta al capitalismo anarchico, in Barbadillo  del 12/06/2019;
  • Matteo Marini, in “Ipcc: il cambiamento del clima aumenterà fame e migrazioni”, Repubblica, 8 agosto 2019;
  • Ibidem;
  • annuario ISPRA 2017;
  • citato in Territorio ambiente e dintorni sul sito Eddyburg.it;
  • riportiamo uno stralcio dell’interessante enciclica: «Le radici della crisi ecologica sono spirituali ed etiche, insite nel cuore di ogni uomo. Questa crisi si è aggravata negli ultimi secoli a causa delle varie divisioni provocate dalle passioni umane, come l’avidità, l’avarizia, l’egoismo e il desiderio insaziabile e dalle loro conseguenze per il pianeta, come il cambiamento climatico, che ora minaccia in larga misura l’ambiente naturale, la nostra “casa” comune. La rottura nel rapporto tra l’uomo e la creazione è una perversione dell’uso autentico della creazione di Dio. L’approccio al problema ecologico, sulla base dei principi della tradizione cristiana, richiede non solo il ravvedimento per il peccato dello sfruttamento delle risorse naturali del pianeta, vale a dire, un cambiamento radicale di mentalità e di comportamento, ma anche un ascetismo, come antidoto al consumismo, alla divinizzazione dei bisogni e all’atteggiamento di possesso. Presuppone anche la nostra più grande responsabilità per tramandare alle future generazioni un ambiente naturale vivibile e il suo uso conforme alla volontà divina e benedizione».
  • Guido Della Casa, Il coronavirus e il mondo nuovo, in rassegna stampa Arianna editrice del 20/03/2020;
  • Antonio Cederna, citato in Territorio ambiente e dintorni sul sito Eddyburg.it.