A colloquio col cardinale
Una fantasiosa intervista ad un fantasioso cardinale
«Può passare», mi disse il gendarme impassibile, dopo aver dato una rapida scorsa alla mia carta d’identità e alla lettera firmata dal cardinale.
Oltrepassai il varco e mi voltai per un attimo a guardare dall’interno le mura massicce che proteggevano dal frastuono fastidioso del mondo gli imponenti palazzi di stile rinascimentale o barocco insieme ai tanti giardini del piccolo Stato.
Percorsi un paio di viali. Lindi. Silenziosi.
Giardinieri mauriziani curavano amorevolmente le aiuole dando loro perfette forme geometriche. In un canto una grande macchia verde, festosa e arruffata, con tanti fiori a campanula di color indaco, che rallegravano quelle giornate d’incipiente autunno, avvolgeva quasi interamente un muretto a secco. Quasi una nota dissonante volutamente lasciata lì a ricordare la necessità dell’opera dell’uomo.
Un usciere di poche parole mi introdusse al primo piano di un edificio e mi disse che la stanza del cardinale si trovava in fondo al corridoio. Mi soffermai a guardare alcuni grandi quadri ad olio, presumibilmente del seicento, che facevano bella, e forse inutile, mostra di sé sulle pareti. Illustravano episodi del vecchio testamento, di cui avevo vaghe reminiscenze, il sacrificio di Isacco, Giuditta ed Oloferne, Davide che suona l’arpa, Betsabea al bagno. Quanti dei nostri concittadini, pensai, di quelli che ogni domenica si recano con l’auto al supermercato e stanno attenti alle ultime offerte, avrebbero riconosciuto quelle storie?
«Prego, si accomodi.»
Accennai con la testa ad un rispettoso saluto. Avevo scartato la stretta di mano e l’inchino di prammatica, che date le circostanze, mi sembravano fuori luogo, troppo confidenziale la prima, troppo devozionale il secondo. Il cardinale era seduto dietro una scrivania in noce finemente lavorata, sulla quale c’erano soltanto un piccolo crocifisso e una Bibbia. Piuttosto corpulento, col volto segnato da rughe come piccole calli e radi capelli bianchi, occhiali dorati ed occhi chiari, cerulei, abituati a scrutare in profondità i propri interlocutori.
Trassi di tasca il taccuino su cui mi ero appuntato alcune domande.
«Eminenza, innanzitutto a nome della redazione de La fiaccola la ringrazio per la sua disponibilità… entro subito in argomento. Ecco, oggi si ha come l’impressione che la Chiesa stia perdendo colpi. E che la cultura scientifica, quella del mercato, ormai diffuse per tutto il mondo, prevalgano sulla cultura religiosa. Tolte le feste comandate, le prime comunioni e i matrimoni, le chiese sono sempre più vuote di fedeli.»
«Oggi la barca della Chiesa naviga col vento contrario della storia in acque tempestose. Agli occhi dei profani sembra che da un momento all’altro debba affondare. Ma ricordiamoci che lo Spirito Santo è sempre presente e la guida.»
Il cardinale rispondeva con garbo alle domande, anche alle più spinose. Ammetteva le difficoltà, i problemi, le questioni aperte, non tergiversava. Nell’affrontare i temi più svariati, dal celibato dei preti alla crisi della famiglia naturale, dalla fecondazione artificiale alla clonazione per motivi medici o di ricerca scientifica, si rifaceva senza remore al Magistero della Chiesa.
«… e poi c’è la dignità dell’uomo, che non è negoziabile, non è modificabile, nella quale la fede cristiana vede il mistero della condizione che il Creatore ha conferito all’uomo. E l’apparente scientificità nasconde un dogmatismo intollerante: se lo spirito è prodotto dalla materia, se la morale è relativa a luoghi e tempi, se tutto è lecito in nome del progresso, che ne è dell’uomo? della sua dignità?»
«Nondimeno, eminenza, la situazione della Chiesa mi fa venire in mente quella dell’impero romano al suo tramonto, quando esso aveva esaurito la sua forza vitale ed era rimasta solo la cornice. Si avverte… si può constatare uno sgretolarsi del cristianesimo di fronte alla modernità, una tendenza a conformarsi alle correnti del tempo.»
«Non nego che l’Europa possa avviarsi al tramonto…». E qui il cardinale fece una pausa maliziosa. Un sorriso appena accennato.
«Non lo diceva pure Spengler?»
«Sì, certo.»
«E poi, non dimentichiamolo, ci sono fenomeni di segno opposto. Ci sono minoranze creative di credenti che presentano in modo convincente il messaggio di salvezza, che si fanno luogo d’incontro e diventano lievito per tutta la cristianità… C’è una fioritura delle nuove chiese evangeliche…»
«Quelle fondamentaliste…»
«Punti saldi di orientamento li chiamerei… esse rispondono alla domanda fondamentale: è il caos che produce il significato? o piuttosto il verbo, l’intelligenza, il logos? E poi…»
«E poi?»
«C’è pure l’Islam che è in grado di offrire una base spirituale per la vita di tanti popoli non occidentali.»
Quest’ultima osservazione capitava a fagiolo.
«Un’ultima domanda, eminenza. Riguarda la vostra politica pro immigrazione. Parlate sempre di accoglienza, mai di sradicamento. Ma la gran parte dei migranti che vengono in Europa sono musulmani e così non vi date, per così dire, la zappa sui piedi, non temete insomma che la mezzaluna soppianti la croce?»
Il cardinale non rispose subito. Guardammo insieme verso la larga finestra di sinistra dove alcuni piccioni che svolazzavano avevano attratto la nostra attenzione. Oltre, di scorcio, si intravedeva la cupola michelangiolesca nella sua magnificenza. Parve concentrarsi, poi in tono concitato disse:
«Quel che è follia ai nostri occhi, è sapienza agli occhi di Dio, quello che è disprezzato o sottovalutato dal mondo, Dio lo ha scelto. Forse impoverire l’opulento Occidente, punirlo per il suo vuoto, per il suo orgoglio, rientra nei piani di nostro Signore.»
Quelle parole, mi parve, piuttosto che citare liberamente San Paolo, sembravano adattarsi al noto episodio di Sansone e dei filistei.
«Col dovuto rispetto, eminenza, mi sembra che per calcoli politici, intendo politici in senso lato, trascuriate le vostre pecorelle, le lasciate indifese di fronte all’assalto dei lupi. Non temete che tutto questo si risolva in un boomerang?»
«Tu lo credi, figliolo?»
Il colloquio volgeva al termine. Raccolsi i miei appunti e nel congedarmi promisi al cardinale di fargli pervenire una copia della rivista con l’intervista. All’uscita piovigginava. Una pioggia, minuta, fastidiosa. Non affrettai comunque il passo. Che mi bagnassi, dopo tutto, non m’importava gran che.
Sandro Marano