“Amphitrite”: archeologia subacquea per tutti, nei Parchi Marini digitali
E’ il nome del progetto ideato e diretto da Barbara Davidde Soprintendente della Soprintendenza Nazionale per il patrimonio culturale subacqueo di Taranto, con cui è stato battezzato anche il catamarano per ricercare e portare alla luce i tesori dispersi in fondo agli abissi e che si rifà alla dea marina data in sposa a Poseidone dagli antichi greci.
L’imbarcazione la cui parola d’ordine è “Profunda speculamur aequora” (“Esploriamo le profondità del mare”) è stata inaugurata l’11 gennaio scorso di fronte al Castello Aragonese della cittadina ionica e attraccherà nei porti italiani per esplorare i fondali d’interesse archeologico.
Un vero e proprio laboratorio scientifico per la tutela, ricerca, catalogazione e valorizzazione del patrimonio archeologico subacqueo all’interno di cinque Aree Marine Protette italiane: Portofino, Capo Testa – Punta Falcone, Parco sommerso di Baia, delle Isole Tremiti, Capo Rizzuto, finanziato dal Ministero della Cultura.
A bordo ci saranno archeologi e sub che si immergeranno per perfezionare gli studi anche sui relitti che si trovano sul fondale.
“E’ la prima – ha dichiarato il comandante Angelo Raguso, Funzionario della Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo con sede a Taranto – ad essere data in dotazione per la ricerca al Ministero della Cultura, fondamentale e necessaria per ricostruire la storia del territorio della Magna Grecia, soffermandosi in particolar sullo studio dei traffici nel Mar Mediterraneo nell’antichità”.
Ricordiamo il recente (2019) relitto individuato (durante i lavori per l’installazione del gasdotto TAP tra le coste albanesi e quelle italiane) a circa 780 metri di profondità nel canale di Otranto (mare Adriatico) da un sottomarino filoguidato (Remotely Operated Vehicle), che attraverso strumentazioni di alta tecnologia ha riportato alla luce reperti (datati intorno alla prima metà del VII secolo a.C.), di ceramiche di manifattura corinzia, contenitori per il trasporto di derrate alimentari e ceramica fine da mensa: trattasi di un ritrovamento di grande portata scientifica. Recuperate anche due 2 anfore da trasporto del tipo corinzio A, 5 hydriai, 3 oinochoai, 1 brocca, 10 skyphoi e 1 pithos, rinvenuto in stato frammentario. All’interno del pithos nel corso del restauro sono stati rinvenuti altri 28 skyphoi impilati, mentre le anfore hanno restituito, numerosi noccioli di olive.
Quindi possiamo affermare che storicamente viene documentatala colonizzazione greca dell’ Italia meridionale.
Nel giugno 2023 una mostra dal titolo “Recuperati dagli abissi” organizzata presso la Soprintendenza Nazionale per il patrimonio culturale subacqueo della provincia ionica, ha esposto i reperti offrendo al visitatore la possibilità, con l’uso delle tecnologie digitali (immagini, videoproiezioni, effetti sonori, installazioni tattili) di provare la sensazione di “immergersi negli abissi” del Canale d’Otranto. Un percorso suggestivo, emozionale con il fine di narrare e far conoscere le fasi piu’ antiche del commercio mediterraneo agli inizi della Magna Grecia.
Ma visitiamo adesso un altro luogo della cultura. A pochi chilometri da Taranto ( San Pietro in Bevagna, Manduria ) , nei pressi della foce del fiume Chidro a circa 70 m dalla costa è stato ritrovato ad una profondità compresa tra i 3 e 6 m , un relitto che occupa un’area di circa 150 mq, su un fondale sabbioso, soggetto a frequenti insabbiamenti: ventitré il numero complessivo dei sarcofagi rinvenuti (peso totale 75 tonnellate ca.) in marmo bianco dolomitico delle cave di Vathy -Saliara sull’isola di Taso, non finiti e di varie dimensioni: alcuni di forma rettangolare, altri ovali del tipo a lenos, con estremità arrotondate e bugne sporgenti, che potevano essere scolpite in un secondo momento con busti o protomi leonine. Inoltre sono stati messi in salvo due frammenti in legno d’olmo, forse attribuibili alle ordinate della nave; una lamina e una lastra (della pompa di sentina?) in piombo, un anello sempre di piombo, frammenti di sigillata africana e di anfore, e la “cassa” di bordo con le monete.
Il carico risale al III secolo d.C. e probabilmente era destinato al mercato della citta’ di Roma.
E’ bene precisare che quanto portato alla luce era già conosciuto fin dal 1930 . Inizialmente fu investigato nel 1964 da Peter Throckmorton e John M. Bullit e successivamente nel 1995 fu oggetto di indagini da parte della Soprintendenza Archeologica di Taranto e dell’ISCR nel 2009; tra il 2010 e il 2011, analisi mineralogico-petrografiche e isotopiche sono state effettuate sui campioni di marmo dal CNR-IBAM di Lecce, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e l’Università del Salento.
Occorre dunque investire sull’archeologia subacquea per ritrovare, studiare , salvaguardare, valorizzare, custodire le ricchezze culturali sommerse nella profondita’ del mare .
Una eredità sepolta .
Ed è per questo che nel 2001, l’UNESCO ha approvato la Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, in cui si sottolinea come “il patrimonio sottomarino debba essere considerato parte integrante del patrimonio culturale dell’umanità”.
Cinzia Notaro