Anna Comnena, l’istruzione e cultura nell’Impero bizantino

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Nel 1148 Anna Comnena Porfirogenita scrive l’Alessiade, opera in lingua greca che narra la storia e le gesta del padre, l’Imperatore bizantino Alessio I Comneno. Anna Comnena è stata una delle prime donne storiografe, con una vasta cultura nella poesia, nella retorica, nelle scienze e nella filosofia greca.

Cultura che era comunque ben rappresentata nella corte di Bisanzio, dove gli imperatori potevano essere grandi letterati e i consiglieri di governo avevano, come Michele Psello, la carica di “console dei filosofi” e dove, appunto, le donne di potere conoscevano a memoria i versi di Omero.

L’imponente storia dell’Impero Bizantino, durato ben undici secoli, non è stata sufficientemente valorizzata, anzi il termine “bizantinismo” è stato letto e usato con accezione negativa, per descrivere una sottigliezza eccessiva e pedanteria vana. Una pratica politica e amministrativa contorta e appesantita da formalismi e burocrazia. Una accezione spregiativa che deriva da quell’immagine stereotipata della corte di Bisanzio come luogo di intrighi perversi e di discussioni teologiche interminabili.

Alla creazione di questa immagine negativa, ha contribuito non poco la cultura ecclesiastica latina e l’ostilità della Curia romana che ha demonizzato Bisanzio che per undici secoli aveva privato il clero del potere secolare.

In realtà, Bisanzio, la seconda Roma, ha avuto una dimensione culturale fortemente rinascimentale che ha contribuito alla rinascenza europea ed influenzato poi l’evoluzione moderna dell’idea di Stato. L’Impero bizantino si fondò sulle sue grandi capacità culturali e sull’elemento straniero che fu subito inglobato nella preesistente classe politica e legittimato entro le forme statali.

L’aver acculturato politicamente le élites straniere, assicurò il ricambio al vertice della classe dirigente, secondo il principio del “dinamismo verticale” così come ben delineato dal celebre storico Alexander Kazhdan.

Il principio dell’assimilazione etica non riguardò solo le dinastie coronate (ricordiamo la lobby armena del X secolo di Romano Lecapeno, Giovanni Curcua, Giovanni Tzimisce; le alleanze matrimoniali dei porfirogeniti, come i Comneni che immisero nella genealogia imperiale di Bisanzio sangue franco, germanico, slavo, turco, alano, càzaro) ma anche i quadri della classe notabile bizantina.

L’interesse per Bisanzio della storiografia moderna ha dato motivi alla discussione culturale che sorse in Europa tra il periodo dell’assolutismo e l’età dei lumi ed ha contribuito al processo di formazione degli Stati nazionali, come lo “Stato forte” prussiano, proseguendo anche nel Novecento con i medievisti della scuola russa e poi sovietica.

Bisanzio era lo “Stato” per eccellenza del mondo medievale, in rapporto di continuità diretta con la res publica romana. Bisanzio mantiene, in effetti, in vita le funzioni e i servizi, le leggi, le istituzioni, l’apparato giudiziario e amministrativo dello Stato antico o tardo antico.

Anna Comnena era la figlia maggiore e prediletta dell’Imperatore Alessio I Comneno, Alexios Komnenos, nato a Costantinopoli nel 1048 e morto il 15 agosto del 1118, Basileus dei romei dal 4 aprile 1081 fino alla morte.

Alessio, figlio di Giovanni Comneno e nipote di Isacco I Comneno, già all’età di quattordici anni partecipò alla campagna militare contro i turchi selgiuchidi, iniziando così una brillante carriera militare. Sotto l’Imperatore Romano IV Diogene, Alessio divenne generale e si distinse nella guerra contro i turchi che si erano ormai insediati in varie zone dell’Impero.

Divenuto Imperatore, la domenica di Pasqua del 4 aprile 1081, all’età di soli trentatrè anni, Alessio, nella fase iniziale del suo impero dovette fronteggiare l’invasione dei Normanni di Roberto il Guiscardo e di suo figlio Boemondo, sbarcati nel 1081 con un forte esercito e con l’appoggio politico del Papa Gregorio VII.

Anna decide di raccontare le gesta eroiche e le abilità politiche di suo padre, in una grande opera biografica che evidenzia la sua grande cultura e l’amore per la storiografia.

«Ῥέων ὁ χρόνος ἀκάθεκτα καὶ ἀεί τι κινούμενος παρασύρει καὶ παραφέρει πάντα τὰ ἐν γενέσει καὶ ές βυθὸν ἀφανείας καταποντοῖ ὃπου μὲν οὐκ ἂξια λόγου πράγματα, ὃπου δὲ μεγάλα τε καὶ ἂξια μνήμης, καὶ τά τε ἂδηλα φύων κατὰ τὴν τραγῳδίαν καὶ τὰ φανέντα ἀποκρυπτόμενος. Ἀλλ’ ὃ γε λόγος ὁ τῆς ἱστορίας ἔρυμα καρτερώτατον γίνεται τῷ τοῦ χρόνου ῥεύματι καὶ ἵστησι τρόπον τινὰ τὴν ἀκάθεκτον τούτου ῥοὴν καὶ τὰ ἐν αὐτῷ γινόμενα πάντα, ὁπόσα ὑπερείληφε, ξυνέχει καὶ περισφίγγει καὶ οὐκ ἐᾷ διολισθαίνειν εἰς λήθης βυθούς.»«Il Tempo, nel suo scorrere perpetuo e irresistibile, trascina via con sé tutte le cose create, e le sprofonda negli abissi dell’oscurità, siano esse azioni di nessun conto o, al contrario, azioni grandi e degne di essere celebrate, e pertanto, come dice il grande poeta tragico, “porta alla luce ciò che era nascosto e avvolge nell’oscurità ciò che è manifesto [Sofocle]”. Ma il racconto dell’indagine storiografica è un valido argine contro il fluire del tempo, e in certo modo costituisce un ostacolo al suo flusso irresistibile, e afferrando con una salda presa quante più cose galleggiano sulla sua superficie, impedisce che scivolino via e si perdano nell’abisso dell’Oblio.»

L’istruzione era particolarmente diffusa in Grecia sin dal V secolo a.c. e nel periodo ellenistico (dalla morte di Alessandro Magno nel 323 a quella di Cleopatra nel 31 a.c.) prese forma un sistema educativo che, con le necessarie modifiche, si protrasse ininterrotto sino alla fine dell’Impero con la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453.

L’istruzione prevedeva tre diversi stadi formativi: lo stadio elementare, lo stadio della grammatica e quello della retorica.

Il maestro elementare, di modesta estrazione sociale, insegnava a leggere e scrivere con metodi pedagogici semplici.

Il grammatico, che apparteneva alla classe colta, insegnava a leggere e a capire, anche criticamente, la letteratura della Grecia classica.

Il grammatico insegnava inizialmente la morfologia di sostantivo e verbo, approfondendo le molte eccezioni alle regole e lo studio delle parole rare ormai non più esistenti nel parlato quotidiano.

Proprio la progressiva divergenza tra il parlato quotidiano da quello della letteratura classica indusse i maestri grammatici a depurare il parlato degli allievi, invitandoli ad usare espressioni e forme verbali non interiorizzate nella infanzia.   

Si dovette, quindi, ricorrere a libri di testo composti nell’antichità, che continuarono ad essere usati per tutto il medioevo.

Un libro che ebbe molta fortuna fu “L’arte della grammatica” (Technè grammatikè) di Dionisio Trace scritta nel II secolo a.c. Il libro tratta delle parti del discorso, di morfologia, di prosodia, etimologia, figure di pensiero e di parola. I grammatici esponevano e spiegavano quest’opera e col tempo vennero composti diversi commentari, specie nel periodo tardo antico e medievale.

Altro libro di testo in uso dai grammatici era quello dei Canoni (Kanonen) di Teodosio d’Alessandria (ca. 500 d.c.), un elenco sistematico di regole brevi per la declinazione dei sostantivi e la coniugazione dei verbi in greco classico.

Gli insegnanti svolgevano anche lezioni sulla lettura pratica dei testi letterari, in particolare quelli poetici poiché più facili da mandare a memoria. Tra questi i poemi omerici erano quelli più diffusi. Scritti in una lingua letteraria artificiosa che rispecchiava la lingua usata dai cantori per le loro composizioni orali, questi poemi erano ricchi di riferimenti a figure ed eventi della mitologia, non più familiari ai ragazzi che frequentavano le scuole di età bizantina.

Il grammatico, quindi, spiegava parola per parola, verso per verso, l’Iliade e l’Odissea, ma anche i versi di Esiodo, di qualche tragedia attica ed altre poesie.

L’insegnamento era orale, gli studenti non possedevano copie dei trattati di Dionisio e Teodosio, essendo i libri rari e costosi. Il grammatico dettava i brani che andavano mandati a memoria e poi li spiegava facendo riferimento ai commentari.

Esistevano comunque delle epitomi dei poeti omerici, molte delle quali sopravvissute sino a noi, che ci danno un’idea di come i grammatici riuscivano a spiegare le difficoltà del testo.

Quando i discepoli raggiungevano i quattordici anni, andavano a studiare presso i retori. Il retore insegnava agli allievi ad esprimersi con eleganza e persuasione il loro pensiero sia per iscritto che per via orale. Il retore era anche deputato a tenere discorsi in pubblico per encomi di uomini illustri, discorsi funebri, orazioni per la celebrazione di vittorie militari.

Il docente di retorica aveva ereditato i libri di testo della tarda antichità che restarono in uso per tutto il medioevo. Il primo libro di testo era una raccolta di progymnasmata o esercizi preliminari, in realtà brevi testi-modello che illustravano i diversi generi di composizione.

Il più usato dagli insegnanti bizantini venne compilato da Aftonio d’Antiochia, che insegnò retorica ad Atene alla fine del IV secolo.

Aftonio seguì un criterio già in uso da secoli, cominciando con esporre la favola, proseguendo con la narrazione, la chreia (aneddoto illustrativo a sostegno di qualche asserzione di carattere generale), la massima morale, la refutazione, la confermazione, la personificazione, la descrizione, la questione di carattere generale e la proposta di legge.

Ecco un esempio per gli allievi.

“È refutazione quando si confuta qualche argomento. Si può refutare anche ciò che non è del tutto ovvio, né affatto impossibile, ma occupa una posizione intermedia. Coloro che mirano a refutare devono anzitutto discreditare colui cui si deve l’affermazione in oggetto, indi attaccare il modo in cui ha esposto la questione, ricorrendo ai seguenti capi di argomentazione: dapprima, che è oscura e improbabile; poi, che è impossibile, o non è conseguente rispetto alle sua premesse, o che è sconveniente; infine, aggiungere che è svantaggiosa. Questo esercizio preliminare contiene in sé tutta la forza dell’arte retorica”

Intorno alla metà del V secolo, venne pubblicata una raccolta di progymnasmata, scritta da Nicola di Mira, docente di retorica a Costantinopoli, a cui seguì una nuova raccolta composta da Niceforo Basilace nel XII secolo. Basilace introdusse una nuova scelta di autori che gli studenti di retorica dovevano leggere, quali Callistrato e Procopio di Gaza.

Nello sviluppo dell’umanesimo rinascimentale fu determinante il contributo degli eruditi e dei docenti bizantini. Questi, sia prima che dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, portarono in Italia testi greci che erano sconosciuti in Occidente o che erano disponibili in poco attendibili traduzioni latine, frutto del tipico procedimento medievale ad verbum, basate non già sull’originale greco ma su qualche traduzione araba, alcune volte derivante dal siriaco.

Il professore e diplomatico Manuele Crisolora, in occasione della sua venuta a Firenze nel 1397 per insegnare il greco, portò con sé una vasta biblioteca comprendente Omero, Tucidide, Platone, Isocrate, Demostene e Plutarco.

I docenti bizantini introdussero uno stile di insegnamento e una tradizione educativa nuova per l’Occidente che entusiasmò gli studenti, i quali erano stimolati a guardare al di là della struttura generale dei testi che leggevano. Gli studenti dovevano, infatti, esaminare i tropi e le figure, gli espedienti e gli ornamenti stilistici, le singole parole e sillabe.

Crisolora insegnava a superare i principi ciceroniani della retorica, ricorrendo ai più sottili e più raffinati procedimenti analitici di Ermogene. Approccio critico che ben presto si trasferì dal campo del greco a quello del latino per poi arrivare agli studi biblici.

I docenti greci portarono in Occidente non solo i testi di Platone e Aristotele ma anche dei commentari più antichi. Commenti che rivoluzionarono l’atteggiamento occidentale nei confronti di Aristotele, specie quando nel corso del Concilio di Firenze del 1438 le lezioni di Pletone su Platone e Aristotele fecero conoscere in Occidente le dispute tardo-bizantine sui meriti spettanti ai due filosofi.

Senza il contributo dei docenti greci, la filosofia del rinascimento sarebbe rimasta ancora imbrigliata nella scolastica medievale.

Savino Gambatesa