Artsakh – Nagorno Karabakh: si teme che sia in atto un nuovo genocidio. L’appello delle chiese al Primo Ministro inglese

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Il vescovo Hovakim Primate della Chiesa Armena del Regno Unito e d’Irlanda e Legato Pontificio, l’arcivescovo Angaelos della Chiesa Copta Ortodossa di Londra e Legato Pontificio nel Regno Unito, il rev. Christopher Chessun vescovo di Southwark (Chiesa d’Inghilterra), il rev. Christopher Cocksworth vescovo di Coventry (Chiesa d’Inghilterra), il rev. David Walker Vescovo di Manchester, l’arcivescovo Nikitas di Thyateira e Presidente della Conferenza delle Chiese Europee della Gran Bretagna, l’arcivescovo emerito Kevin Mcdonald di Southwark (Chiesa cattolica), il vescovo Mike Royal Segretario generale, Chiese d’Inghilterra, l’arcivescovo Abraham Mar Stephanos Metropolita della Diocesi siro-ortodossa di Regno Unito-Europa-Africa della Chiesa siro-ortodossa malankarese, l’arcivescovo Athanasius Toma siro-ortodosso nel Regno Unito, il rev. Rowan Williams signore di Oystermouth (Chiesa d’Inghilterra) sono i firmatari del seguente appello ad intervenire urgentemente all’On. Rishi Sunak MP Primo Ministro del Governo della Gran Bretagna:

“Caro Primo Ministro,
Vi scriviamo per chiedere l’intervento urgente del Governo di Sua Maestà per fermare un atto di crudeltà e aggressione che sta portando alla sofferenza e alla morte degli armeni nel Nagorno Karabakh.
Il blocco del Corridoio Lachin da parte dell’Azerbaigian, giunto al suo nono mese, ha creato una situazione descritta all’inizio di questo mese da un ex procuratore della Corte penale internazionale come segue: “La fame è l’arma invisibile del genocidio. Senza un cambiamento drammatico immediato, questo gruppo di armeni sarà distrutto in poche settimane”. Il Lemkin Institute for Genocide Prevention ha un “Allerta bandiera rossa per il genocidio” sulla situazione attuale e Genocide Watch ha emesso un “Avvertimento sul genocidio” già nel settembre 2022.
Dal 12 dicembre dello scorso anno, 120.000 armeni cristiani, tra cui anziani, donne e 30.000 bambini, soffrono le conseguenze del devastante blocco imposto dall’Azerbaigian in violazione dei termini dell’accordo di cessate il fuoco firmato nel novembre 2020 da Azerbaigian, Armenia, e la Russia, che pose fine alla guerra di 44 giorni di quell’anno.
Da molti mesi ormai, e durante il rigido inverno e la calda estate delle montagne del Caucaso, è stato impedito che cibo, medicine, gas e altri beni vitali raggiungessero il Nagorno Karabakh. Gli ospedali sono gravemente colpiti e non possono eseguire interventi chirurgici programmati; gli aborti e i nati morti sono aumentati del 30%. La malnutrizione è diffusa e vengono segnalati casi di morte per fame. Tutte le evacuazioni dei malati critici sono state sospese e le macchine per la dialisi sono inattive per mancanza dei necessari campioni di sangue. La fame di massa è probabile nei prossimi mesi. Crescono anche le nostre paure per la vita dei 30.000 bambini e donne incinte, colpiti da questa situazione ingiustificabile e intollerabile.
Inoltre, come confermato nella recente riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Azerbaigian ha recentemente impedito alla Croce Rossa Internazionale di entrare nella regione e ha bloccato una strada sterrata dall’Armenia al Nagorno Karabakh, che veniva utilizzata per le emergenze e per consegnare forniture mediche . Il governo di Baku ha ignorato gli appelli della Corte internazionale di giustizia, della Corte europea dei diritti dell’uomo e di altre organizzazioni internazionali, nonché gli appelli degli stati membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, compreso il Regno Unito, a ripristinare la libertà di movimento attraverso il corridoio Lachin. Non ci sono rifornimenti di alcun tipo (compresi cibo e medicine) che entrano nel Nagorno Karabakh.
Il Vangelo dice: «Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Come cristiani e leader religiosi, siamo profondamente allarmati dal peggioramento della crisi umanitaria.
Primo Ministro, esortiamo lei e il governo di Sua Maestà a intraprendere un’azione decisiva per aprire il corridoio Lachin per prevenire il genocidio della popolazione nel Nagorno Karabakh. Confidiamo che le vostre azioni siano tempestive per salvare la vita di decine di migliaia di persone sul punto di morire come conseguenza diretta dell’attuale blocco.
Come leader della Chiesa ci rivolgiamo a voi per collocare questa crisi nel suo contesto umanitario e speriamo che utilizzerete i vostri buoni uffici per dare sollievo alle nostre sorelle e fratelli armeni che sono privati ​​di qualsiasi assistenza”.
L’appello lanciato denuncia una situazione sempre più grave che riguarda una regione, il Nagorno-Karabakh che, popolata da armeni-cristiani, è posta tra l’Armenia e lo Stato dell’Azerbaigian a stragrande maggioranza musulmana.

È storia ricorrente che, alla caduta degli imperi, quando diventa necessario tracciare un confine, le zone di periferia, le zone abitate da più popolazioni di differente identità, debbano pagare un caro prezzo. È già successo, e non tanto tempo fa, ai greci dell’Asia minore nel 1922, agli italiani d’Istria dopo il 1945… oggi accade agli armeni dell’Artsakh o Nagorno-Karabakh una regione che, in barba all’autodeterminazione dei popoli, il consesso internazionale ritiene dover appartenere all’Azerbaigian. Nonostante questa regione si sia autoproclamata indipendente assumendo la duplice denominazione di Repubblica dell’Artsakh o Repubblica del Nagorno Karabakh, il consesso internazionale non la riconosce e l’Azerbaigian, dallo scorso mese di dicembre, di fatto ed indisturbato, ha avviato un assedio senza precedenti che sta mietendo vittime per fame.

Se non fosse impegnato con la questione ucraina, l’Occidente certamente sarebbe intervenuto interrogandosi se sia giusto che un popolo, quello armeno, da oltre un secolo subisca una persecuzione del genere che sembra avere i caratteri del genocidio.

Peccato. Sarà per un’altra volta.

Paolo Scagliarini