Cassandra – La mia patria fu il vento
Cassandra – La mia patria fu il vento, opera prima di Stefania Lupelli, giovane docente di italiano nelle scuole medie e superiori, nutrita di studi classici e appassionata cultrice del greco antico e del latino, è un poema in settenari sciolti che si svolge con la tecnica del monologo ed è strutturato in tre parti, ciascuna di dieci stanze. Il titolo è desunto da un magnifico verso che troviamo nella prima parte. E quel vento, che fa da patria, pare alludere tanto all’imperscrutabilità dello spirito che soffia dovunque vuole quanto alla precarietà di un’esistenza senza radici.
Reminiscenze di Leopardi e Pavese – poeti entrambi amati dalla Lupelli – affiorano qua e là nel poema: l’incipit ricorda L’ultimo canto di Saffo:
E nella terza parte c’è l’eco di Lavorare stanca e di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi:
C’è perfino un richiamo a Battiato con l’invocazione più volte ripetuta «E ti vengo a cercare», cui però è sottesa non un sentimento di fiducia trascendentale come nel cantautore siciliano, ma una inerte disperazione:
Il monologo è ambientato di notte. E non a caso. La notte è un simbolo ambivalente, non è solo il tempo del sonno ristoratore, la madre dei sogni e dei piaceri amorosi, il lato inconscio e femminile della personalità, ma anche l’assenza del divino, il caos, il buio dell’anima e della civiltà, significato quest’ultimo evocato già nel titolo del suo capolavoro, Viaggio al termine della notte, dallo scrittore francese Louis Ferdinand Céline.
«Quale notte ci tiene / Svegli invano di notte?», scrive in ordine chiastico la poetessa. E più in là aggiunge:
Ma chi è la protagonista del poemetto della Lupelli? In primo luogo una donna angosciata, che ha oscillato a lungo tra Dioniso e Apollo, tra istinto e ragione, e che ha perduto la fede pervenendo ad una filosofia relativista, se non nichilista.
Questa donna, a ben guardare, rappresenta il dramma dell’umanità d’oggi: dopo aver vissuto in una felice comunione coi processi naturali simboleggiati dal dio Dioniso («Ero l’onda del mare / Che crolla sulla spiaggia / Cambiavo forme e voce»), scopre che questa comunione si è rotta:
Soltanto nella terza parte del poema apprendiamo che questa donna ha un nome: è anche la Cassandra del mito. Il mito si sovrappone al presente e si fa palese il dramma della sacerdotessa di Apollo che per non aver ceduto al dio, che le aveva donato il dono della profezia, è condannata a non essere creduta:
[…] La Cassandra della Lupelli è una moderna eroina, che vive nell’angoscia (e qui viene in mente il «vivere per la morte» di Heidegger) ed accetta il nichilismo dei nostri tempi come destino, senza intravedere alcuna via d’uscita:
E ne trae lucidamente le conseguenze:
Nell’equivalenza tra «sapere e non sapere» di fronte all’impossibilità di cambiare gli eventi è il relativismo a trionfare e nel relativismo verità e menzogna si equivalgono. Mentre in quella «città che brucerà» non può non cogliersi un riflesso della grave crisi ambientale che la civiltà industriale ha prodotto.