Christian Bobin
Si è spento nei giorni scorsi, all’età di 71 anni, nella sua dimora di campagna in Borgogna nei pressi di Le Creusot, la cittadina dov’era nato nel 1951, lo scrittore francese Christian Bobin. «Addio Christian Bobin, poeta dalla scrittura “francescana”» ha titolato l’Avvenire del 25 novembre scorso. Ed effettivamente la sua scrittura è leggera, semplice, pervasa da un afflato poetico, eppure filosoficamente profonda e aperta al dialogo. «La vita eterna filtra, beffarda, nella vita quotidiana», scrive Bobin nel suo magnifico Autoritratto (San Paolo, 1999), il primo libro che mi capitò di leggere di quest’autore. D’altronde, «le cose non sono mai soltanto delle cose. Queste per esempio, dei tulipani, fanno risuonare nell’appartamento una nota allegra, fraterna». Poche parole che riassumono in generale il segreto della poesia e perfino l’articolata proposta dell’ecosofia di Arne Naess.
Scrittore eminentemente cristiano, ma d’un cristianesimo lontano dai dogmi, dagli annunci trionfali e dalle prediche moralistiche, attento alle piccole cose della vita, alla gioia e alla sofferenze, illuminate e reinterpretate alla luce dei Vangeli, Bobin ha conosciuto una certa notorietà in Italia grazie ad un libro dedicato alla figura di San Francesco: “Francesco e l’infinitamente piccolo” (Edizioni San Paolo, 1996), che è un libro particolare, perché non è una vera e propria biografia del santo, ma la storia di un’anima, di cui sono ripercorse le tappe fondamentali durante l’esistenza terrena.
Tra i suoi scritti, in genere brevi, pubblicati in buona parte da una casa editrice del nostro Sud, l’Animamundi, e da altre piccole case editrici, ricordiamo “Mozart e la pioggia” (2015), “La vita e nient’altro” (2015), “Abitare poeticamente il mondo” (2019).
In “L’uomo che cammina” (Sympathetika,1998), Bobin ci parla di Gesù senza mai nominarlo, ma tutti comprendiamo egualmente – un po’ come il grande inquisitore di Dostoevskij – che quell’uomo che cammina senza sosta nella Galilea del suo tempo, tra gli ulivi e il deserto, sollevando granelli di sabbia e donando tutto se stesso, è proprio il Gesù dei Vangeli.
L’Autoritratto è il diario quotidiano di un anno dopo la perdita di una giovane donna, che aveva abbagliato e sconvolto la sua vita col suo passaggio «fatto tutto di splendore e delicatezza, come il vento che quando smuove i petali di una rosa». Il libro si chiude con una scommessa, dove sui due piatti della bilancia ci sono la letizia “francescana” da un lato e l’apparenza del mondo dall’altro:
«Voi forse pensate che non ci sia nulla dietro la bellezza del mondo, dopo la traversata. Io penso che ci sia più che in ogni altra cosa. Voi avete, dal canto vostro, la ragione e le apparenze. Io ho, dal canto mio, l’allegria. Vedremo».
Sandro Marano