Commento al “dio ignoto” di Giuseppe Conte

«Prega, se non sai chi e non sai come /  prega lo spirito che soffia sulle cose, / meglio del nulla è anche un Dio senza nome»

Dalla poesia E non dimenticarti mai del mare, che fa parte dell’ultima magnifica raccolta del poeta e scrittore ligure Giuseppe Conte, intitolata Non finirò di scrivere sul mare (Mondadori, 2019), traggo questi versi, che, come lo stesso poeta mi ha confermato  in una sua nota, fanno parte del nucleo sapienziale del libro.

A chi si rivolge il poeta? Ad un figlio mai avuto e, dunque, paradossalmente a tutti i figli della terra, invitandoli a non rinunciare alla gioia, alla libertà, alla ricerca della verità, a coltivare la propria umanità, e soprattutto a non dimenticare mai il mare. Il mare ha un significato reale e simbolico insieme. È «il delfino che guizza sulle onde», è il mare solcato dalle navi dei fenici e dei genovesi, ma è anche il mare percorso dalla fantasia prodigiosa di Omero, è la vera “democrazia”, perché al mare tutti possono accostarsi e dal mare tutti possono imparare, se lo vogliono. Il mare è natura, storia e spiritualità, perché ci insegna che la vita non comincia e non finisce con noi.

Scrive il filosofo esistenzialista Karl Jaspers: «l’esserci ci è così familiare che molte volte non ci rendiamo conto del mistero contenuto nella semplice coscienza della realtà: io ci sono, le cose ci sono» (La fede filosofica). E proprio dall’avvertire questo mistero nasce la poesia, che si fonda sulla metafora, per la quale tutte le cose rimandano ad altro. Infatti, «l’esserci come tale non gli [all’uomo] basta, e le gioie dell’esserci non lo soddisfano […]. Per questo oltrepassa il suo esserci e il suo mondo fino a giungere al fondamento dell’esserci e del mondo». Quel che i filosofi chiamano essere, le religioni chiamano Dio. C’è il Dio rivelato e c’è quel Dio ignoto, la cui iscrizione Paolo vide su un’ara ad Atene, com’è scritto negli Atti degli Apostoli. Per l’appunto, quello “spirito che soffia sulle cose” che il poeta ci invita a pregare per gratitudine e/o nella disperazione. Come notava lo scrittore francese Pierre Drieu La Rochelle nel Diario di un delicato: «Sono soltanto l’uomo nel mezzo del cosmo, tra Dio e il nulla, tra le grandi indicibili immagini che sono tutto il mio problema e tutta la mia realtà, che segnano i limiti estremi al di là dei quali voglio prolungare all’infinito il mio slancio».

Sandro Marano