Crisi religiosa. Ne parliamo con Julio Loredo, presidente dell’Ass. Tradizione Famiglia Proprietà

JLoredo

Julio Loredo, giornalista, presidente dell’Associazione Tradizione Famiglia Proprietà con sede a Roma, ci parlerà della crisi religiosa nella Chiesa nel suo percorso storico e del suo progressivo allontanamento dalla tradizione bimillenaria minacciata da una certa ambiguità che genera confusione.

Tutti si salvano? Tutte le religioni sono uguali?

Il classico aforisma “qui creavit te sine te non salvabit te sine te” sintetizza la questione. Dio, che ci ha creato senza il nostro intervento, non ci salverà senza il consenso della nostra intelligenza e l’azione della nostra volontà. Dio ci ha creati liberi perché è solo nella libertà che si può amare. Un amore imposto non è amore. La nostra intelligenza è stata fatta per conoscere la Verità, e la nostra volontà per scegliere il Bene. Possiamo, però, abusare della libertà scegliendo invece l’errore e il male. In questo caso pecchiamo, anche gravemente, contro l’ordine naturale e divino. La misericordia di Dio è infinita e può cancellare qualsiasi peccato, ma la sua efficacia dipende dalla  libera accettazione da parte della persona. Purtroppo, ci sono persone che, coscientemente e volutamente, rifiutano la misericordia di Dio. Quindi, non tutti si salvano.

Dico coscientemente e volutamente. Ci sono situazioni di non perfetta conoscenza – la cosiddetta “ignoranza invincibile” – oppure di non perfetta coscienza – per esempio in caso di malattie mentali – che possono far sì che una persona si salvi senza queste condizioni. In questi casi, la persona è giustificata per i meriti infiniti di Nostro Signore Gesù Cristo. Si tratta, però, di eccezioni.

Da ciò si deduce linearmente che non tutte le religioni sono uguali. Se la Verità è una (poiché Dio è Uno), due religioni che insegnino cose diverse, o perfino contraddittorie, non possono essere uguali, pena la negazione della Verità stessa.

Ho parlato dell’intelligenza e della volontà. È chiaro che, ad ogni passo della nostra vita, possiamo sempre contare sull’ausilio della grazia divina, che mai ci mancherà. La grazia è una partecipazione creata alla vita increata di Dio. Perciò si chiama santificante, ossia salvatrice. Ancora una volta, però, la persona è libera di rifiutarla.

Non c’è più bisogno del pentimento dei propri peccati per ottenere misericordia?

Il Catechismo della Chiesa Cattolica è molto esplicito quando definisce il Sacramento della penitenza come “un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore” (n° 1423). Conversione vuol dire svolta a “U”, cioè tornare indietro dal cammino sbagliato. Pentimento vuol dire piangere i propri peccati, e prendere la decisione di non più peccare. È il così chiamato proposito dell’emenda, senza il quale il sacramento non è efficace. La soddisfazione è la penitenza che il peccatore deve fare per ripagare Dio, in qualche modo, del male fatto. Queste, secondo la dottrina della Chiesa che nessuno può cambiare, sono le condizioni per ottenere la misericordia di Dio.

Non esistono più gli eretici, gli apostati e gli infedeli?

La domanda mi fa venire in mente l’immagine di un bambino che, davanti a una visione sgradevole o minacciosa, si copre gli occhi con le manine per far sparire la visione…

San Tommaso (II-II:11:1) definisce l’eresia: “una specie di infedeltà negli uomini che, avendo professato la fede di Cristo, ne corrompono i dogmi”. Basta leggere tanti libri e articoli odierni, oppure sentire taluni sermoni, per rendersi conto che siamo circondati da eretici, cioè da persone che negano o travisano il dogma cattolico. Coprirsi gli occhi con le mani non cambierà la situazione…

Di solito a difendere la verità sono vescovi emeriti e sacerdoti poi sospesi a divinis. I laici s’impegnano in questa lotta contro la menzogna?

La difesa dell’ortodossia spetta non solo al clero ma a tutti i fedeli, specialmente  ai laici. Questa verità, da sempre presente nella vita della Chiesa, è stata ulteriormente messa a fuoco da documenti più recenti, come l’Esortazione apostolica Christifidelis laici, di Giovanni Paolo II, e dallo stesso Codice di Diritto Canonico, che riconosce ai laici il diritto di ammonire le autorità ecclesiastiche: “In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa  e di renderlo noto agli altri fedeli, salvo restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone”.

L’ammonimento, però, va fatto nel totale rispetto – direi venerazione – per l’autorità gerarchica della Chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo. Purtroppo, in alcuni casi, questo rispetto è venuto a mancare.

L’atteggiamento corretto, che purtroppo non sempre è stato adottato, è quello della “resistenza” proposta da San Paolo. Resistenza non è separazione, rivolta, acrimonia, irriverenza. Al contrario, è fedeltà, unione, amore, sottomissione. Ma allo stesso tempo, è la ferma decisione di segnalare gli errori e le deviazioni, anche ai più alti livelli.

La Chiesa in uscita  vuole risolvere problemi economici, sociali e legati al “cambiamento climatico” e  definisce la vaccinazione come atto d’amore… ma il suo compito non è annunciare alle Nazioni la Verità per la salvezza dell’anima?

Le questioni climatiche e sanitarie sono al di fuori dell’autorità della Chiesa, che si esercita nel campo spirituale per la salvezza delle anime. Qualsiasi pronunciamento di autorità ecclesiastiche, perfino dello stesso Pontefice, su questi temi, va ritenuto un’opinione personale, e non un atto di Magistero. In teologia si dice “parlare come dottore privato”. In nessun modo coinvolge l’autorità della Chiesa. Senza considerare poi quanto sia bizzarro voler intervenire su argomenti specifici – come, appunto, il clima e l’epidemiologia – sui quali è in corso un dibattito scientifico tutt’altro che chiuso.

Apocalisse cap.17, 2-5: “Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque. Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione. L’angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d’oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra»”. Allude alla falsa chiesa descritta anche dalle apparizioni mariane e dalla Emmerich?

Qualsiasi deviazione dall’ortodossia verso l’eresia o lo scisma può configurare una falsa Chiesa. Diversi passaggi biblici – e non solo quelli citati nella domanda – mostrano che, a un certo punto nella storia, questa deviazione coinvolgerà le più alte sfere della Chiesa. Ciò non ci deve scandalizzare. Lo stesso Papa Leone XIII afferma nell’Esorcismo: “Dove fu stabilita la sede del beatissimo Pietro e la cattedra della verità come luce per le nazioni, lì posero il trono della loro abominazione ed empietà; per colpire il pastore e disperdere il gregge”. L’apostasia della Chiesa sarà il segnale della fine del mondo, poiché la Fede non può mancare sulla terra secondo la promessa di Nostro Signore. Una giusta teologia della storia ci fa tuttavia vedere che non siamo arrivati a quel punto, anche perché deve ancora  manifestarsi  il trionfo del Cuore Immacolato di Maria. Lungo la storia, però, ci possono essere prefigurazioni di quell’esito escatologico. Così come  Ario e Lutero furono prefigurazioni dell’Anticristo, così ci possono essere situazioni nella Chiesa che prefigurano la fine del mondo.

La Chiesa dell’accoglienza… ma non ci dovrebbe essere un limite e non si dovrebbe invece aiutare gli immigrati a rimanere nella propria terra?

La dottrina della Chiesa in materia d’immigrazione, brillantemente spiegata già da S. Tommaso, stabilisce diverse forme d’immigrazioni. Dal semplice turismo, che non si può vietare, al soggiorno prolungato, come ad esempio per studi, fino al trasferimento definitivo nel nuovo Paese. In questo caso, la stessa legge naturale impone dei limiti affinché il flusso di stranieri non vada a nuocere il tessuto sociale. L’immigrazione deve avere sempre in mente il bene comune, essa non può sopraffare o distruggere la nazione.

Una prima condizione per accettarli è il desiderio di integrarsi perfettamente nella vita e nella cultura della nazione ospitante. Una seconda condizione è che l’accoglienza non sia immediata. L’integrazione è un processo che richiede tempo.

Oggi, invece abbiamo un’immigrazione incontrollata che non mostra volontà d’ integrarsi. Ciò è particolarmente notorio con l’immigrazione di fede musulmana.

C’è di mezzo il piano Kalergi cominciato consentendo di celebrare matrimoni cattolici con fedeli di altre religioni (sempre per motivi ecumenici), un pericolo per la stabilità familiare? Un tempo erano considerati sacrilegio dal pio codice benedettino.

Il cosiddetto “piano Kalergi” è in realtà un minuscolo dettaglio in un panorama ben più ampio e importante: il processo rivoluzionario che da secoli devasta l’Occidente. Questo processo, che il Magistero chiama Rivoluzione, è scoppiato nel secolo XV con la caduta della Cristianità medievale, e avanza per tappe verso la  prosecuzione dei suoi fini ultimi: la distruzione di ogni Ordine, cioè l’annichilimento di ogni traccia di Dio nell’universo. Uno scopo di questo processo, specie nelle sue tappe più recenti, è la distruzione della famiglia.

La famiglia è un’istituzione di diritto naturale elevata a Sacramento da Nostro Signore Gesù Cristo. Essa ha come finalità non solo la procreazione ma anche l’educazione della prole, in primis la formazione religiosa e spirituale. Ecco perché la famiglia deve’essere cattolica, per educare nella vera Fede. Il Codice Pio-Benedittino (1917) sanciva un doppio impedimento: di mista religione e di disparità di culto. Il primo vietava le nozze dei cattolici con acattolici battezzati, ma salvava la validità del matrimonio; il secondo rendeva nullo il matrimonio contratto da un cattolico con una persona non battezzata. Nel 1970 Papa Paolo VI rese possibili le celebrazioni dei matrimoni misti. Possibilità poi sancita dal nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1983, anche se con alcune restrizioni.

È ovvio che un tale andazzo offuschi la sacralità del matrimonio e comprometta la sua stabilità. Laddove ci sono differenze di Fede dei coniugi  la vita familiare e l’educazione dei figli ne risente.

E cosa dire dell’abominio avvenuto nei giardini vaticani con la Pachamama l’idolo con cui si rende culto alla madre terra?

La cerimonia dal sapore pagano tenutasi nei giardini del Vaticano per onorare la “Pachamama” richiamò l’attenzione di molti fedeli. Ma fu appena un episodio collaterale, sebbene simbolico, all’interno di un evento ben più importante: il Sinodo Generale della Regione Pan-Amazzonica, tenutosi in Vaticano nell’ottobre 2017.

All’insegna della Teologia indigenista – figlia della Teologia della liberazione – il Sinodo si proponeva di riformare la Chiesa cattolica trasformandola in una “nuova Chiesa dal volto amazzonico”. Il modello proposto era quello degli indios delle foreste tropicali.

Per chi da tempo seguiva l’avanzo della Rivoluzione, questo Sinodo non costituì affatto una sorpresa. Già nel 1976, in un supplemento al suo capolavoro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», il noto pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira aveva affermato che il prossimo passo del processo rivoluzionario – la IV Rivoluzione – sarebbe stato  il tribalismo.

Nel 1977 egli scrisse «Tribalismo indigeno, ideale comunista-missionario per il Brasile nel secolo XXI», in cui analizzava la corrente indigenista nella Chiesa. Possiamo quindi dire che egli previde il Sinodo Pan-Amazzonico quarant’anni prima.

D’altronde, bisogna dire che la Pachamama non c’entra niente con la cultura amazzonica. Essa fa parte dei miti andini.

Intanto, i vescovi cattolici del Messico hanno proposto al Dicastero per il Culto Divino il rito Maya. Cos’altro dovremo aspettarci?

Come detto sopra, esiste all’interno della Chiesa una corrente indigenista che vede nella vita idilliaca degli indigeni selvaggi i veri valori del Vangelo. Questa corrente è molto forte in Messico, specialmente al Sud, in Chiapas. Quindi, non sorprende che i vescovi di questa regione abbiano chiesto un improbabile “rito Maya”, che sarebbe del tutto contrario all’ortodossia. Dico improbabile anche perché, a differenza della cultura azteca, quella Maya sparì dalla storia senza lasciare tracce vive. Questo “rito Maya” andrebbe pari passo col “rito amazzonico” proposto nel Sinodo del 2017.

Cinzia Notaro