“Giustizia, Medicina e Chiesa al tempo del Covid”
“Giustizia, Medicina e Chiesa al tempo del Covid” un incontro tenutosi il 13 febbraio scorso nella Sala di rappresentanza del Palazzo Municipale di Fasano, voluto dal circolo della stampa “Secondo Adamo Nardelli”.
Sono intervenuti l’avv. Marcello Apollonio, del Foro di Lecce, che si è soffermato sugli aspetti giuridici legati alla pandemia, mentre il dott. Luigi Marcello Monsellato, ideatore della Medicina omeosinergetica, nonché psicologo e psicoterapeuta, ha approfondito quelli medico-scientifici; dom Giulio Meiattini, monaco benedettino, teologo, responsabile della casa editrice Edizioni La Scala dell’Abbazia di Noci (Ba) invece ha esposto una breve e ricca sintesi su come dal punto di vista religioso è stata vissuta la pandemia dalla Chiesa come istituzione e dai fedeli.
“La Fiaccola”, nata anche con lo scopo di dare spazio e condivisione alla riflessione spirituale, ha voluto prendere in esame la testimonianza del monaco benedettino, che ha preso spunto da alcune dichiarazioni che lo storico Andrea Riccardi, noto fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha racchiuso nel suo libro “La Chiesa brucia, crisi e futuro del Cristianesimo” pubblicato nella primavera del 2021 in piena campagna vaccinale. Segue uno stralcio dell’intervento di dom Giulio con l’invito per chi volesse ascoltare l’evento a visitare la pagina https://www.youtube.com/watch?v=-XeTUucWFSI
“Uno dei capitoli – afferma dom Giulio – ha come titolo “L’Italia 2019 e la Chiesa del 2020” e a proposito delle disposizioni governative che impedivano le cerimonie civili e religiose, comprese quelle funebri, l’autore commenta: “Mai in due millenni di storia della penisola la S. Messa e il culto erano stati sospesi. Non lo sono stati nel dramma della guerra, sotto i bombardamenti o durante il passaggio del fronte, o i rastrellamenti tedeschi. Con il coronavirus è stato comminato un interdetto di Stato sul territorio nazionale. Nessun atto di culto poteva essere compiuto”.
“L’interdetto (diverso dalla scomunica che riguarda la singola persona a cui viene vietato di accedere ai Sacramenti ovunque si trovi) – ricorda il monaco – è nato in pieno Medioevo come misura disciplinare ecclesiastica limitato al territorio: il fedele che si trovava in una città sotto interdetto non poteva assistere o ricevere i Sacramenti e il sacerdote non poteva celebrare la S. Messa e amministrare i Sacramenti, cosa che sarebbe stato possibile fare solo se si fossero trasferiti in altro luogo.
“Andrea Riccardi – prosegue dom Giulio – definisce quell’8 marzo 2021, un giorno strano, qualcosa di nuovo, in cui il silenzio della Chiesa è stato spettrale. Tutti i culti, non solo quello cattolico, erano stati sospesi. Nessun governo del passato aveva mai preso misure così drastiche, tranne quello dei regimi comunisti dell’Est dopo la rivoluzione d’ottobre”.
“Qui – sottolinea il benedettino – è bene ricordare che non era accaduto neanche durante le frequenti e devastanti ondate di peste e di vaiolo, nonostante la medicina di allora non fosse così all’avanguardia. Fin dopo l’ottocento le ricorrenti epidemie di colera furono sconcertanti.
Se uno storico dalla competenza indiscussa come Riccardi tutt’altro che propenso all’integralismo religioso ha osservato con stupore e preoccupazione l’assoluta novità di tali misure coercitive usate dallo
Stato nei confronti del culto e delle attività ecclesiastiche correlate, un motivo ci sarà.
Riccardi parla di “una partita persa dalla Chiesa e persino di un suo declassamento che manifesta come l’istituzione ecclesiale sia stata incapace di gestire le misure e non sia stata ritenuta un interlocutore autentico dello Stato. Egli inoltre scrive che l’interdetto di Stato non ha rispettato né la lettera, né lo spirito del regime concordatario vigente tra Stato italiano e Santa Sede, che regola anche i rapporti della Chiesa in Italia con i poteri e le autorità della nostra Repubblica. Conclude mettendo in evidenza che chi riflette su questo caso, deve notare una qualche svolta nella storia della Chiesa non solo nei rapporti con lo Stato, ma nella società. Nonostante le garanzie costituzionali e concordatarie, la Chiesa è stata trattata peggio di una categoria commerciale, certo non come un servizio essenziale”.
“La violazione della legge concordataria – specifica dom Giulio – è stata rivelata anche da altri autori. Personalmente devo ammettere che nessun vescovo e soprattutto neanche la Santa Sede ha sollevato questo problema. Come mai?
Secondo lo storico “i vescovi hanno subito questa unilaterale politica del governo italiano”. “In parte è vero – afferma dom Giulio – e si domanda perché subire se il diritto è dalla loro parte? Perché nessun vescovo e tantomeno la Conferenza Episcopale Italiana non si sono appellati al diritto? Perché si è accettata la violazione di un Trattato Internazionale quale è il Concordato, creando un precedente
così serio e così grave? Perché si è tollerato che le Forze dell’Ordine abbiano fatto irruzione in alcune chiese durante la celebrazione della S. Messa alla presenza di pochi e sparuti fedeli in spazi talmente vasti da rendere fantasiosa l’accusa di assembramento?
Per rispondere a questi interrogativi giova rammentare un fatto che Riccardi non menziona. Le prime chiese chiuse al pubblico e i primi casi d’interdizione del culto ai fedeli furono provvedimenti presi in
alcune diocesi nel nord Italia, non in seguito a disposizioni governative, ma da vescovi che decidevano in totale libertà e autonomia già dagli ultimi giorni del febbraio 2020, quando ancora bar, musei e ristoranti potevano essere liberamente frequentati e non esisteva alcuna indicazione vincolante delle autorità civili in merito alle attività di carattere religioso. Non solo, ma perfino la exterritoriale della Basilica Vaticana di San Pietro veniva chiusa ai fedeli e alle visite turistiche il 9 gennaio 2020.
La decisione di chiudere le porte delle chiese, non soltanto l’interdizione del culto, veniva estesa il 12 marzo a tutta la diocesi di Roma per volere del Santo Padre e non del cardinal vicario come qualcuno ha pensato, anche se poi la drastica misura avrebbe dovuto essere ritirata in meno di 24 ore a motivo di una silenziosa , ma forte protesta del clero locale.
Se nessuna voce si è udita in difesa della libertà e della sovranità dell’autorità ecclesiale in materia di culto, cosa che le spetta dal punto di vista biologico e del Diritto Costituzionale e Concordatario è perché nel complesso l’autorità ecclesiale per prima, a parte lodevoli eccezioni, non ha mostrato alcun interesse a difendere la propria legittima autonomia e quindi il bene dei fedeli. Certo nelle trattative con il governo, l’episcopato italiano ha tentato qualche resistenza, ma come avrebbe potuto far pesare le proprie ragioni anche se lo avesse voluto? Non si dimentichi che il Concordato è un Trattato Internazionale tra Stato italiano e Santa Sede e se non interviene quest’ultima a difendere i diritti della Chiesa italiana, quale forza di contrattazione può avere la Chiesa? Uno dei momenti più tristi di questa vicenda è stata la pubblicazione e la diffusione dei protocolli per la disciplina inerenti le celebrazioni liturgiche, emanati non dalla CEI dopo intese con il governo, comprensibili , data la congiuntura non facile, ma direttamente dal Ministro degli Interni: circolari, protocolli firmati dal Presidente del Consiglio, dal Ministro degli Interni e per ultimo dal Presidente della Cei. Le diocesi e le parrocchie italiane formalmente hanno obbedito non ad una autorità ecclesiastica legittima, ma ad una circolare governativa umilmente firmata dal rappresentante della Chiesa Italiana. In questo modo l’analogia con il modello cinese si profilava non solo nello stile della gestione sanitaria, ma anche nei rapporti tra Stato e istituzione ecclesiale. Quella che Riccardi chiama “La partita persa della Chiesa nel tempo del covid” non riguarda la perdita di prestigio o
d’influenza della Chiesa, ma la rivelazione della sua interna debolezza. Acconsentendo di precludere ai fedeli l’accesso ai Sacramenti proprio nel momento in cui ne avrebbero avuto più bisogno, l’istituzione
ecclesiale dinanzi al mondo intero ha dimostrato la sua profonda crisi di fede, ponendo più attenzione alla salute e non alla salvezza delle anime. Come è stato possibile che i Pastori considerassero il conforto
religioso e i Sacramenti (il tesoro più grande che la Chiesa possiede), come qualcosa di non essenziale? E come è stato possibile che gran parte dei fedeli abbia ritenuto giusta la decisione di sospendere le
celebrazioni, come se fosse la cosa più naturale?
Essenziali erano le tabaccherie rimaste rigorosamente aperte, ma non l’unzione degli infermi, non la confessione dei peccati, non la S. Messa… tutto questo era superfluo? Una sigaretta era essenziale, ma la S. Messa o un’assoluzione per un peccato grave, no? E si è andati ben oltre, arrivando fino allo sfregio della negazione esequiale ai defunti.
Anche dopo la ripresa delle celebrazioni dal maggio 2020 – spiega dom Giulio – le esequie cristiane per chi era morto positivo al covid rimasero sospese: i vivi potevano presenziare alla S. Messa esequiale,
ma senza la presenza del feretro. Qualcuno si è mai chiesto come un cadavere sigillato in una cassa di zinco potesse infettare i fratelli? Su quale specie di scienza o d’intelligenza si basavano queste
prescrizioni? L’istituzione ecclesiastica (non la Chiesa) si è allineata ad una qualsiasi agenzia sanitaria rivelando in un momento critico e difficile la sua interna crisi di fede e dimostrando che la sua mediazione salvifica e il senso dell’eternità in ragione della quale essa esiste, avevano ben poco a che fare con l’esperienza della malattia e il senso della morte. Il messaggio che è passato è il seguente: i Sacramenti e il culto sono un’aggiunta alle cose essenziali della vita, un oggetto decorativo di cui si può fare a meno nei momenti più difficili e pericolosi per la collettività e gli individui.
La privatizzazione della fede, della religione, speculare al processo di secolarizzazione che Pastori, Vescovi, teologi e persino sociologi lamentano come una delle malattie della società e della Chiesa contemporanea è stata incrementata proprio dai cattolici e dai loro rappresentanti. Dobbiamo però ricordare che non pochi sacerdoti clandestinamente per piccoli gruppi di fedeli, hanno trovato il modo di
celebrare con la prudenza necessaria verso il contagio e le finalità previste.
Abbiamo così assistito ad una distinzione tra Chiesa patriottica e Chiesa clandestina, come si usa dire in Cina.
Spostandoci sul tema della vaccinazione di massa, non si era mai vista prima nella storia dell’umanità una cosa simile. Le istituzioni ecclesiastiche con largo consenso dei fedeli, anche se con sacche di resistenza non trascurabili, si sono allineate al mainstream, questione che il Riccardi nel suo libro non affronta e se lo avesse fatto non avrebbe potuto dire questa volta, che la Chiesa ha dovuto subire una decisione unilaterale del governo.
Per il vaccino c’è stata un’adesione spontanea all’insegna dell’assioma “vaccinarsi è un atto d’amore”. Non ho mai letto in qualche catechismo o nei libri di teologia morale che un trattamento sanitario di qualsiasi tipo sia da considerarsi un atto d’amore, e soprattutto se fosse stato un atto d’amore cristiano, non avrebbe dovuto essere reso obbligatorio per legge, come per esempio lo è stato nella Città del Vaticano.
Nelle parrocchie, nelle diocesi si è assistito frequentemente a situazioni molto dolorose: seminaristi costretti a scegliere se vaccinarsi o lasciare il seminario; catechisti e sacerdoti che per poter proseguire il loro ministero dovevano accettare il vaccino firmando il modulo per il consenso libero e informato. Si sono oltrepassate le esigenze della legge in ambito ecclesiale mostrando una sollecitudine che talvolta purtroppo non si trova in altrettanta misura nell’annuncio del vangelo e nel far rispettare i precetti della Chiesa.
Perché lo zelo che è stato dimostrato nel richiedere il green pass per l’ammissione o la partecipazione a certe attività o eventi ecclesiali, non è utilizzato nell’esigere dai cristiani una vita coerente con la
fede che dicono di professare?
Che i vaccini di nuova generazione testati e sviluppati in 3/4 mesi di tempo, non potevano presentare prove di efficacia e sicurezza era chiaro sin dall’inizio alle persone di buon senso.
Ci è voluto coraggio a chiamarlo “atto di amore” quello che in realtà si preannunciava sin dal principio come un vero e proprio atto d’imprudenza, una violazione plateale del principio basilare di precauzione. Che i vaccinati potessero contagiarsi, contagiare e anche morire era evidente anche dopo 4-5-6 mesi dall’inizio della campagna vaccinale pianificata.
Adesso che da qualche anno ci sono diversi studi indipendenti che provano i danni enormi fatti dai cosiddetti vaccini, meditino i Pastori e anche i fedeli che si sono assunti la responsabilità di questa
assimilazione acritica alla micidiale politica sanitaria gestita in tuta mimetica, più che in camice bianco, a vantaggio di Bigpharma, più che dei cittadini.
La mia stima e riconoscenza a tutti quei vescovi, sacerdoti, religiosi e laici che in tutto il mondo nonostante l’oppressione mediatica hanno saputo mantenere spesso in modo discreto e sofferto, l’indipendenza di giudizio e il coraggio di fare quanto potevano per non assoggettarsi ai metodi dispotici adottati al tempo del covid”.
Cinzia Notaro