I mondiali di calcio e la deriva socio-economica della globalizzazione

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Pochi giorni fa sono stati assegnati i Mondiali di calcio del 2034 e si è subito scatenata una feroce polemica.

Gianni Infantino, avvocato di 54 anni, svizzero-italiano, a capo della FIFA dal 2016, ne ha combinata un’altra delle sue. Il ricco manager che in 8 anni di potere indisturbato ha guadagnato oltre 15 milioni di euro, noto esperto di diritto sportivo e con un curriculum vitae niente male, da consulente calcistico in Spagna, Italia e Svizzera agli esordi a membro UEFA nel 2000, fino a diventare Presidente della FIFA (Federation Internationale de Football Association) nel 2016 della quale è oramai capo assoluto.

Il peso politico di quest’uomo è enorme, lo si trova ovunque, con capi di stato e di governo, in eventi lussuosi in ogni angolo del globo, dalla Francia alla Russia di Putin dove organizzò i Mondiali 2018, dalla Germania al Qatar, dagli Usa all’Arabia Saudita. Da amico stretto di Vladimir Putin a rigido censore delle squadre di calcio russe, squalificate da ogni competizione calcistica internazionale per obbedire a diktat superiori di provenienza Usa, in barba al principio basilare dello sport di armonizzare e unire culture in uno spirito olimpico e neutrale e in netta incoerenza nel non applicare lo stesso metro contro le squadre israeliane, per fare un esempio.

Ma tant’è, se vuoi governare devi saper obbedire, vale per il lavoro, la politica e lo sport. Ebbene, in un confronto-show all’interno della FIFA, Infantino ha deciso di assegnare all’Arabia Saudita i mondiali del 2034. Dopo l’esperienza fallimentare in Qatar nel 2022, ha ceduto nuovamente al fascino delle regioni petrolifere, andando contro la tradizione e la passione dei tifosi.  Organizzare il mondiale in Qatar fu un flop colossale. Ricordiamo tutti con tristezza gli stadi semivuoti e gli spettatori locali lautamente pagati come comparse per improvvisarsi a seconda del match come supporters della Francia o dell’Argentina o del Giappone. Pochi infatti si sono mossi dai propri Paesi per seguire le proprie nazionali in Qatar, uno Stato notoriamente rigido in tema di diritti umani e di stile di vita alla “occidentale”. Facile prevedere che in Arabia Saudita sarà anche peggio e le cervellotiche assurde innovazioni regolamentari (impossibile dimenticare i recuperi biblici di 15 minuti dopo il 90’ nelle partite in Qatar o il Var arbitrale) non faranno altro che distruggere ulteriormente la passione per lo sport più bello e seguito al mondo. 

Il calcio in passato ha avuto anche un ruolo politico-sociale, ma positivo: in tantissimi ricordano soldati nemici ai confini mediorientali, accumunati, in una sorta di tregua, dalla passione per Totò Schillaci nel 1990, diventato grazie ai suoi goal eroe planetario in quelle “notti magiche” italiane.  O simboli come Jurgen Sparwasser della Germania Est nel 1974 o il liberiano George Weah, idolo al punto di diventare Presidente della Repubblica in Liberia.

Oggigiorno invece viviamo nella deriva di una globalizzazione malata anche nello sport, con gli interessi politico-economici al centro di tutto. Personaggi influenti come Infantino che tradiscono la passione e la speranza di milioni di tifosi. Sarebbe bello ritornare ad uno sport pulito, indipendente, globale e globalizzato ma senza lucro, senza diktat, che possa tornare ad unire i popoli e a far divertire e sognare i bambini dal Senegal al Cile, dalla Siria all’Islanda.

A supporto di questo auspicio le dichiarazioni recenti, piene di amarezza, di un grande ex-portiere della Juventus e della Nazionale italiana, Angelo Peruzzi, ci lasciano riflettere: “Vedo poche partite, mi annoiano a volte. Meglio i boschi, i funghi, la caccia, la famiglia, gli amici, le cose semplici che mi fanno star bene. Il calcio è diventato un cinema, non fa per me, oggi non potrei giocare”.

Parole di uno sportivo deluso, come tantissimi altri.

Ci sarebbe bisogno di meno personaggi come Infantino e di più Peruzzi, per rianimare la passione dei bambini e per un calcio più pulito, divertente e indipendente.

Francesco Di Sario