Il canto galla
È questa la prima delle due strofe di cui si compone la poesia di Franco Silvestri (1916- 1997) Il canto galla, che dà il titolo alla raccolta pubblicata nel 1985. Il canto dei Galla, l’etnia maggioritaria dell’Etiopia, che unisce nella mietitura del teff (un cereale tipico di quei luoghi) uomini donne e fanciulli, nasconde – ci dice subito dopo il poeta – un «dio domestico e antico», «che beveva quel canto come un tributo», quasi a simboleggiare quella sintonia di umano naturale e divino, da cui lui, giovane ufficiale in Africa orientale al comando di bande irregolari di guerriglieri etiopici, fu, affascinato e per sempre segnato. E ai suoi commilitoni Silvestri dedicò un libriccino di memorie Cappella marca visita (1937) che rappresenta il suo esordio letterario.
Combattente in Africa orientale durante la seconda guerra mondiale, dopo una lunga prigionia in India, al suo ritorno, oltre a dedicarsi alla professione di avvocato e alla politica nelle file del MSI, svolse un’intensa attività letteraria, di conferenziere, di promotore di cultura, di giornalista. Fu tra l’altro direttore del mensile Nuovo confronto, al quale anche noi collaborammo. Tra le sue opere ricordiamo il conciso e superbo saggio Vanvitelli e il suo tempo (premio Vanvitelli 1974), lo scritto del 1987 dedicato ad Araldo di Crollalanza, Araldo di Crollalanza Un uomo, una città con la prefazione di Giorgio Almirante e il libro di racconti Tempo d’Africa del 1994.
Così lo ricordava in un articolo apparso su Meridiano sud nel settembre 1995 il saggista Alessandro Barbera:
«Franco Silvestri fu […] formalmente un fascista, un neofascista. Ma il suo fascismo era venato di spirito liberale. […] fu sempre aperto al dialogo con gli altri. Silvestri fu l’espressione di un ceto borghese che al Sud soprattutto aveva ereditato i modi signorili delle vecchie aristocrazie […] Il passaggio dal MSI ad AN lo lasciò interdetto. Non mancò di esprimere le sue perplessità».
Ma torniamo al poeta e alla sua poetica dalle «studiatissime immagini» e dalla «raffinata soavità lirica» (Donato Valli), che fa tesoro sia della lezione dannunziana (in particolare quella del Poema paradisiaco) sia di alcune innovazioni dell’ermetismo. Le sue poesie hanno una costruzione sintattica semplice e piana ed insieme un lessico ricercato, preciso nei dettagli, ricco di figure retoriche, dove spiccano magnifiche similitudini e personificazioni, come nell’incipit di questa poesia:
La raccolta si snoda intorno a tre temi fondamentali che si intrecciano strettamente: l’amore, l’esperienza africana e la “Puglia segreta”. Il ricordo d’Africa e il sentimento d’amore per la donna amata procedono di pari passo:
La critica più autorevole osserva come l’appartenenza di Silvestri ad una tradizione, ad una storia ben precisa e all’amato Salento, non gli impediscano di abitare poeticamente luoghi diversi: se «il centro vero della poesia di Silvestri può e deve essere indicato in quella patria remota che è la Puglia segreta» (Vittorio Vettori), anche l’Africa orientale, anche l’esilio, possono diventare una Patria e il poeta non a caso esclama: «tutto il mondo è stato il mio Salento» (Una patria remota).
A ben guardare, la “Puglia segreta” di Silvestri, fatta di vento, di canti, di amori, di memorie, di odori e di sapori, si allarga all’intero mondo dove ha amato e vissuto:
Silvestri poi tocca con grande efficacia e originalità il tema dell’amore, con le sue pene e le sue gioie, le sue titubanze e il suo disincanto. Come nei versi di questa lirica, Una luna che passa, che è senz’altro tra le più belle della raccolta:
Il poeta ci invita ad abbandonarci all’amore, al suo incantesimo, pur nella consapevolezza della sua illusorietà, della sua fugacità, del suo essere, appunto, una luna che passa.
Sandro Marano