Il canto gregoriano con don Alberto Turco

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“La Fiaccola” ha il privilegio d’intervistare Don Alberto Turco direttore del seminario di canto gregoriano della Fondazione “Ugo e Olga Levi” di Venezia , delle scholae maschili “Nova Schola Gregoriana di Verona e Gregoriani Urbis Cantores di Roma e della schola femminile “In Dulci Jubilo”.

Già docente di musica nel Seminario Diocesano di Verona e di Canto Gregoriano presso i Pontifici Istituti di Musica Sacra a Milano e a Roma, insegna Musicologia liturgica allo Studio teologico San Zeno di Verona.

Tiene vari corsi nazionali ed internazionali di canto gregoriano (Italia, Grecia, Polonia, Russia, Slovacchia, Spagna). Inoltre è punto di riferimento nei corsi estivi di canto gregoriano a Fara Sabina (Rieti) , a S. Martino della Scale (Monreale), Abbazia Madonna della Scala (Noci – Bari).

D. Il canto gregoriano rappresenta un pascolo per l’anima, un’oasi in trovare ristoro ?

R. Se la Chiesa ha sempre ritenuto il gregoriano il «canto proprio» dei suoi
riti liturgici, ciò significa che ha ravvisato in esso una grande ricchezza.
Dal momento che il canto gregoriano accompagna la preghiera e l’azione liturgica, fino ad essere una sola cosa con essi, la ricchezza che ci si deve aspettare non è altro che quella della “vita” liturgica, «fonte e culmine della vita cristiana». In che cosa consiste la ricchezza del gregoriano? Il gregoriano ha anzitutto una virtù pacificante e purificante della “sensibilità”.
La musica, proprio quella di ordine sensibile, ha un’affinità con tutti gli
stati di sensibilità: esistono delle musiche degradanti, eccitanti, superficiali e, al contrario, delle musiche profonde, esaltanti, tranquillizzanti, eccetera.
Il canto gregoriano fa parte di queste ultime. Per rendercene conto, non bisogna scegliere un particolare pezzo del repertorio, anche se alcuni brani sono decisamente più tipici di questa luminosità di pace, ma l’intero repertorio dev’essere preso in considerazione, o meglio sperimentato, da sperimentare.
Coloro la cui sensibilità si accorda con una musica più brillante e che sono portati a valutazioni esteriori, sono addirittura tentati di giudicare il gregoriano un canto “monotono”. È vero, infatti, che tutti i sentimenti, quando ci si prende cura di esprimerli, perdono in lui il loro carattere passionale, libero, confuso, per esprimersi calmati, dominati dall’immensa pace divina.
Il canto gregoriano può parlare di amore e odio, di speranza, fiducia e audacia, o di tristezza, stanchezza e terrore. Ma ciò che avvolge e penetra il tutto è la conformità alla volontà di Dio, la sicurezza di un grande amore misericordioso.

D. Predispone alla meditazione del mistero , all’adorazione del sacro?

R. Il canto gregoriano favorisce il raccoglimento. Ogni volta che uno partecipa a un Ufficio cantato, purché sia ben cantato, si stabilisce uno stacco fra sé e il mondo esterno. Già entrando in un edificio consacrato, con la sua armonia architettonica, il gioco di luci e di ombre, l’evocazione delle immagini, il silenzio, uno si trova già separato dal profano e disposto a ricevere il messaggio divino. Il canto gregoriano ne è il prolungamento sonoro naturale, una cattedrale sonora che si innesta in quella architettonica, grazie alla sua incomparabile purezza, che permette all’anima di entrare nel mondo di pace divina, distaccata dalle preoccupazioni, che sono di ostacolo alla libertà di entrare a contatto con
il Creatore.

Non dimentichiamo che la sensibilità e la spiritualità non sono due realtà giustapposte nell’uomo: c’è una compenetrazione profonda dell’una nell’altra, nell’unità della natura umana. Si deve dunque supporre che il canto gregoriano sia stato composto non solo da artisti, ma da grandi contemplativi.

D. Un canto all’unisono, che sale a Dio come incenso, preghiera che sgorga dal profondo dell’anima per arrivare a toccare il cielo. Non
è quindi una semplice ricerca di emozioni. Giusto?

R. Le melodie gregoriane non esistono per se stesse; sono state create per il servizio esclusivo del testo liturgico, da cui esse sono nate nell’atto stesso della preghiera ufficiale della Chiesa. Così è per le melodie del celebrante, del diacono, del lettore, del salmista, dei cantori, della schola e del coro, suddivisi nei loro ruoli e ciascuno con testi propri, differenti non solo per natura e stile, ma ornati da melodie adatte. Senza perdere nulla della loro freschezza, della loro ispirazione e della loro spontaneità, le melodie vivono in perfetta simbiosi con il testo. È in questo servizio al testo, Parola di Dio, che le melodie vengono definitivamente sradicate da se stesse per essere “consacrate” (canto sacro).
Si comprende allora perché la musica puramente strumentale non possa rappresentare il tipo ideale del canto gregoriano. In assenza di un testo, su che cosa essa potrà attirare l’attenzione? La musica strumentale e, in particolare, la musica d’organo – a condizione che essa sia finalizzata al facere sacrum – creano sicuramente un clima favorevole alla preghiera.
È a questo titolo che la musica strumentale è accolta dalla Chiesa. Analogamente questo vale per la polifonia, un genere intermedio, nel quale l’aspetto propriamente musicale rischia di svilupparsi in maniera del tutto autonoma e, conseguentemente, le parole, sebbene fonte di ispirazione, non godono quella preminenza assoluta di proclamazione come nella pura monodia e possono correre il pericolo di confondersi nel “groviglio” delle voci.

D. Possiamo affermare che il canto gregoriano aiuta a meditare la Parola di Dio seminata nei nostri cuori , a custodirla e a testimoniarla?

R. Nel canto gregoriano, la melodia si pone in obbedienza alla «Parola di Dio», quale annunciata nella liturgia. In effetti, è Dio che ci fornisce le formule della nostra lode, della nostra adorazione, delle nostre invocazioni. La Chiesa riprende questi testi ispirati, li sceglie, li colloca, li mette insieme, li chiarisce l’uno con l’altro, facendo una meravigliosa sintesi fra Scrittura e Tradizione. La Chiesa compone così il “poema” della sacra liturgia, nel quale la storia della nostra salvezza è descritta in forma lirica. In questo insieme, ogni testo scritturistico, certamente ispirato, come una seconda canonicità, è reso quasi due volte espressivo della verità divina. Le verità, meglio penetrate, sono più assimilabili dalla nostra stessa psiche e acquisiscono una pienezza di valore religioso e contemplativo.

D. Da tempo prevale una certa decadenza storico-culturale con conseguente perdita dei valori che hanno contraddistinto da sempre
l’Europa. Crede che ciò sia accaduto anche a livello liturgico introducendo musica profana nelle celebrazioni, facendo perdere il senso del sacro?

R. La decadenza, cui lei accenna, si riversa purtroppo anche nei confronti
della “sacra” liturgia e del suo canto. Il gregoriano, per il fatto di essere legato indissolubilmente al testo latino, ha subìto una recessione pressoché totale nelle celebrazioni liturgiche. Di proposito, non intendo avventurarmi nella problematica delle cosiddette “esigenze” di ordine pastorale. Sta di fatto che l’ignoranza o l’insufficiente formazione culturale e liturgica conducono ad affermazioni ed atteggiamenti inesatti.

D. Il latino, un tempo lingua universale della Chiesa Occidentale, è decisamente appropriato al gregoriano, pertanto non si potrebbe mai
pensare di sostituirlo con la lingua moderna al fine di renderlo accessibile alle attuali assemblee liturgiche?

R. Diciamo subito che la Chiesa cattolica romana non potrà mai rinunciare
ad una lingua – lo è stato per la lingua greca fino al sec. III e da lì in poi per la lingua latina – che consenta di salvaguardare l’integrità della dottrina nella trasmissione e nella ricezione da parte delle lingue moderne del depositum fidei, nel solco della tradizione bimillenaria delle versioni della Bibbia, dei testi patristici, delle dichiarazioni conciliari e degli Ordines della liturgia.
Sul testo latino in prosa sono state create le melodie monofoniche gregoriane, cioè ad una sola linea melodica, anche se gran parte del repertorio è corale. Il gregoriano rifiuta gli strumenti come un’aggiunta innaturale, poiché già contiene in sé tutti gli elementi necessari alla sua pienezza.
Nel gregoriano, la melodia segue le sue leggi e cerca di adattarsi il meglio possibile al testo. Proprio per questo adattamento la melodia gregoriana ha raggiunto una perfezione che non è mai stata eguagliata fino ad oggi nella musica occidentale. Non si tratta di adattamento vago, quanto piuttosto di una assunzione delle proprietà e delle sfumature ritmiche, insite nel testo e, nello specifico, nella parola latina.
Per questo motivo, non è realizzabile l’adattamento di un qualsiasi testo in lingua volgare alla melodia gregoriana. A questo punto, è bene fare una precisazione. Il gregoriano ha elaborato diversi generi musicali, che vanno dalla cantillazione (una corda di recita, che può salire un po’ per l’accento privilegiato del testo, oppure scendere per la cadenza) allo stile sillabico, semiornato e ornato. Al genere della cantillazione, lo stile specifico dei canti del celebrante e dei ministri, nel quale la supremazia spetta alla parola, si può applicare un altro testo, nel rispetto degli elementi fonetici, come accenti e cadenze, e della punteggiatura. È stato fatto per le edizioni nelle nazionali, compresa finalmente la lingua italiana, del Messale Romano.

D. Un ringraziamento va ai Padri della Chiesa, tra cui S. Gregorio e Sant’Ambrogio ( in Occidente) per il loro contributo artistico-musicale, senza dimenticare il sacro repertorio d’Oriente come quello conservato dai Padri nella liturgia bizantina. Quali i punti d’incontro tra le due culture?

R. Vediamo di sfatare quanto comunemente ancora si insegna sull’opera di
S. Gregorio Magno e S. Ambrogio.
La storia della musica e la storia della liturgia ci attestano quanto è opera di S. Gregorio I. Per esempio, l’Avvento, ridotto a quattro settimane, l’istituzione della Sessagesima e della Settuagesima; la soppressione degli Alleluia nel tempo della Quinquagesima e della Sessagesima, eccetera. Ora, possiamo dire che S. Gregorio ha scritto tutte queste cose? Siamo ancora troppo lontani per attribuire a lui la paternità del canto gregoriano. Possiamo invece affermare con sicurezza che egli ha “organizzato” la liturgia. E la stessa cosa dobbiamo affermare nei confronti di S. Ambrogio.
Non dobbiamo fare l’apologia delle leggende, ma solo cercar di spiegare
quello che sta davanti ai nostri occhi.
La provenienza dall’oriente della “ritualità” è un fatto indiscusso. Sotto questo aspetto, noi dobbiamo considerarci dei “convertiti”.
Abbiamo delle buone ragioni per pensare e ritenere che anche il gregoriano, che ha fatto la sua apparizione radiosa nei documenti europei del sec. IX, giunto all’età “adulta, matura”, in pienezza di forma e di bellezza, avesse degli ascendenti ebraici, mediterranei, orientali ed estremo-orientali.
Tuttavia, le melodie in nostro possesso sono un prodotto del tutto occidentale.

D. Nella tradizione occidentale quali le liturgie celebrate oltre a quella gregoriana?

R. Il rito di Milano, con Messale e Ufficio propri, e il rito mozarabico in Spagna. Ci sono poi dei riti particolari in alcune diocesi: la cattedrale di Toledo dispone di un Messale ispanico-mozarabico, in due volumi, approvato dalla Conferenza Episcopale Spagnola. Inoltre, l’abbazia benedettina di San Domenico in Silos ha dei riti propri per alcune circostanze. Infine, la diocesi di Kinshasa (Zaire, oggi Repubblica democratica del Congo) ha un Messale romano con alcuni riti propri.

D. Sono molti i giovani che vorrebbero percorrere un cammino spirituale per riscoprire l’ identità culturale, propria della tradizione latina e trasmetterla alle nuove generazioni, frequentando corsi o scuole di canto gregoriano?

R. Se siano molti, non lo so. Comunque c’è un certo interesse per la liturgia
e, in modo del tutto speciale, per il canto gregoriano. I motivi di questo interesse sono molteplici.
Accenno brevemente ai due che ritengo principali: il primo, di natura spirituale; l’altro, di natura culturale.
Sono molti coloro che vanno alla ricerca di una liturgia, nella quale la partecipazione sia espressione di fede, favorendo l’orazione, la meditazione e la contemplazione. Un interrogativo è d’obbligo: possiamo trovare un valore teologico o religioso di orazione e contemplazione in una liturgia dominata, dal punto di vista musicale, dal genere della “canzone” dei testi e dell’espressione ritmica?
Fino ad oggi, il gregoriano è il solo canto che abbia incarnato lo spirito più genuino dell’azione liturgica e della fede cristiana, frutto di una matura esperienza di comunicazione con Dio.
Il canto gregoriano, come musica, conserva tutto il suo valore anche fuori dalla liturgia. Il mancato studio del gregoriano lascia una lacuna nella formazione di chi si dedica con serietà alla cultura musicale e lo priva di una forma di arricchimento, di insegnamenti e di intuizioni musicali.
Non bisogna dimenticare che la vera cultura non nasce dal nulla!

D. In una sola parola come definirebbe questo canto celestiale?

R. Il canto gregoriano è la preghiera del compositore perché diventasse
preghiera per coloro che lo avrebbero praticato.

Cinzia Notaro