Il Crocifisso ed il crocifisso
Il crocifisso è sempre stato motivo di ampia discussione e divisione. In Italia è stato ed è tuttora anche “motivo di arredo” in alcuni luoghi pubblici in forza dei Regi Decreti 965 del 1924 e 1297 del 1928. Già nello Statuto Albertino del Regno di Sardegna del 1848 e poi del Regno d’Italia, si stabiliva che la religione di Stato fosse quella Cattolica. Da Stato confessionale, poi, lo Stato italiano è passato, con la Costituzione repubblicana entrata in vigore nel 1948 e con le sue successive modifiche, ad essere progressivamente uno Stato cosiddetto laico. Tale laicità consisterebbe in una dichiarata equidistanza dello Stato rispetto alle varie religioni, accompagnata da un impegno delle Istituzioni a tutelare il “sentimento religioso” indipendentemente dalla confessione che lo esprime.
Ciononostante, periodicamente si torna a parlare del crocifisso specie in occasione di episodi durante i quali qualcuno prende l’iniziativa di rimuoverlo dalle sedi nelle quali la presenza è prescritta per legge, ovvero di ripristinarlo. Il dibattito quindi non si incentra sul Crocifisso ma sull’opportunità di lasciare o meno esposta una sua raffigurazione negli edifici pubblici. Questo tema generalmente finisce per appassionare e dividere l’opinione pubblica su due fronti che, più o meno, e per le più varie motivazioni si attestano su due concetti che apparentemente non trovano composizione tra loro: da una parte chi sostiene che il crocifisso vada lasciato perché fa parte della nostra tradizione e della nostra cultura, dall’altra chi sostiene che lo Stato sia laico al punto tale da non dover permettere riferimenti religiosi di alcun genere, specialmente ora in cui la composizione della popolazione contempla cospicue presenze di persone che professano altre confessioni o che non ne professano alcuna.
A questo dibattito, ovviamente, partecipano tutti, anche i cristiani comuni (ammesso e non concesso che i battezzati possano essere divisi in classi) che si riposizionano generalmente in una delle due barricate.
Il fatto che si parli della presenza del crocifisso in scuole e tribunali nel 2018 sembrerebbe essere una grande occasione, direi provvidenziale, per permettere in una società secolarizzata un accenno al Crocifisso più che al crocifisso. Eppure questa opportunità non viene colta e i cristiani si lasciano fuorviare dal falso problema, sposando le teorie alle quali ho accennato, quasi che il ruolo dello Stato (equidistante rispetto alle religioni) debba essere da questi incarnato.
Sembrerebbe che nessuno dei cresimati, a tanto deputati dal sacramento, osi narrare la storicità dell’evento cruento che ha portato alla crocifissione di Cristo; che nessuno di questi pubblicamente osi affermare o solo la sua resurrezione; che nessuno si soffermi nel valutare la gratuità dell’atto d’amore supremo. Tutti preferiamo professare la nostra fede nella comodità intimistica della nostra parrocchia, del santuario raggiunto in pellegrinaggio in pullman dotati di ogni comfort, o in piazza san Pietro. Ma fuori di questi ambiti il crocifisso degrada, anche per noi, a relitto della nostra cultura come una qualunque opera pittorica di un Michelangelo o di un Raffaello. Una cosa creata dall’uomo e che passerà, come passerà la nostra cultura di fronte all’avanzare di altre culture alle quali riconosciamo pari dignità. È come se in noi sia più pregnante la cittadinanza statuale che il battesimo, la cittadinanza terrena anziché quella celeste che ci associa a quel Crocifisso, e che la cresima, lo Spirito ricevuto, ci impone di portare ai quattro angoli della terra. Lo Stato può pur essere “equidistante”, neutrale; l’uomo no. La “neutralità” dell’uomo rispetto ai quesiti esistenziali ed eterni ha un unico effetto l’annullamento della propria identità e l’apertura ad altre.
Una cittadinanza che ci strappa da Dio per portarci a Cesare.
I primi cristiani, san Paolo in primis, lo sapevano molto bene: “mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Corinzi 1, 22-25). Quanto siamo lontani dai primi cristiani?
Paolo Scagliarini