Il gioiello. Antropologico strumento di seduzione
Da sempre il gioiello è concepito come fondamentale strumento di seduzione e di fascino. Alleato incontrastato della bellezza femminile, ha acquisito nel corso del tempo variegate espressioni divenendo simbolo di conoscenza della storia delle civiltà.
Per le donne africane l’abbellimento mediante gioielli rientra nell’ambito di una concezione rituale dai molteplici significati simbolici che contemplano eredità e identità, nell’ottica di una visione prettamente antropologica. Vero e proprio sublimatore di sensualità, il gioiello non riveste soltanto l’importante ruolo di ornamento estetico e di strumento di seduzione, tramite la trasmissione alchemica di sensazioni, emozioni e desideri, ma si fa disvelatore della storia di un determinato popolo, testimoniando un modo di vivere e di concepire l’esistenza.
Alcuni monili si arricchiscono anche di uno spiccato valore terapeutico come i tanfuk, i piccoli triangoli in pietra di cornalina portati al collo dalle donne Tuareg in Africa, considerati un rimedio miracoloso contro le malattie del sangue. Gioielli il cui significato si lega in maniera indissolubile alla tribù di appartenenza, facendosi portatore di tradizioni e indicatore di casta sociale e acquisendo valori differenti a seconda delle circostanze in cui vengono sfoggiati.
Ornamenti semplici ed elaborati formati da piume, corniola o quarzo, destinati a primeggiare nei rituali di matrimonio in quanto simbolo di fertilità o a divenire corollario a corpi danzanti, grazie al loro presunto potere afrodisiaco, in un seducente gioco di sguardi tra uomini e donne.
Gingilli estetici che possono assumere valori contrastanti per le varie culture, come il cosiddetto “piatto labiale” (in legno, terracotta o avorio) utilizzato in alcune tribù dell’Etiopia dalle donne nubili prossime al matrimonio.
Un oggetto dal forte significato antropologico in una visione metaforica di rinforzo della bocca in quanto strumento di trasmissione di parole e tradizioni, oltre a indicare lo status sociale della donna, alludendo alla disponibilità della dote da offrire al futuro marito.
Legati a un fattore prettamente estetico sono gli anelli che ornano il collo delle donne-giraffa, appartenenti alla tribù dei Padaung in Birmania. La leggenda narra che gli spiriti dei Karen, per punire gli insolenti Padaung, aizzarono contro le loro donne le tigri più feroci. Da allora gli uomini della tribù iniziarono a proteggere dai morsi dei felini il collo delle donne facendo loro indossare grossi anelli d’oro. Nel corso del tempo il ruolo di difesa attribuito agli anelli ha lasciato il posto a una motivazione del tutto ornamentale.
Diverso significato e uso, rispetto al gioiello, ha la maschera. Considerevole elemento di alto valore simbolico nella cultura dei popoli africani. Oggetti tradizionali dal forte contenuto spirituale, attribuiscono uno speciale status sociale e vengono esibiti durante le danze o nei riti religiosi e magici. Chi indossa una maschera viene privato della sua identità e trasformato in una sorta di “medium” tramite il quale gli abitanti del villaggio possono comunicare con i defunti, le divinità e gli altri spiriti della natura.
É per questo motivo che le danze mascherate acquistano una funzione propiziatoria in riti cerimoniali come i matrimoni, i funerali e le feste del raccolto. Per l’intrinseco significato spirituale attribuito alla maschera, soltanto a pochi membri della società è permesso indossarle, soprattutto agli anziani e alle persone di alto rango, come i capi tribù e gli stregoni. Spesso le maschere di maggior prestigio sono quelle associate agli spiriti dei re defunti.
Le maschere africane richiamano sovente la forma del muso di un particolare animale che viene simboleggiato in maniera stilizzata poiché se ne rappresenta lo spirito e non la fisicità. Un esempio emblematico è costituito da quelle particolari maschere, diffuse tra i Bwa del Burkina Faso, ritraenti gli spiriti volanti della foresta. Siccome questi spiriti sono privi di aspetto esteriore, la maschera si presenta con una forma geometrica del tutto astratta.
Ogni maschera ha il proprio stilema che codifica una specifica tradizione simboleggiante una peculiare virtù. Ciascuna etnia possiede un tipico tratto distintivo che viene evocato. Gli occhi socchiusi delle maschere dei Senefou della Costa d’Avorio rimandano all’autocontrollo, alla pace interiore e alla pazienza. In Sierra Leone occhi e bocca di piccole dimensioni riconducono all’umiltà, mentre la fronte sporgente è indicatore di saggezza.
Oltre agli animali, uno dei soggetti più utilizzati nelle maschere africane è la donna, raffigurata anch’essa in forma stilizzata in relazione all’ideale di bellezza femminile comune a ogni cultura. Singolari maschere portatrici di compositi significati legati alle prerogative esistenziali di una caratteristica identità. Le maschere femminili dei Punu del Gabon tendono ad enfatizzare le ciglia arcuate e gli occhi a mandorla, oltre al mento sottile, riproducendo anche i gioielli ornamentali tradizionali. Altre maschere femminili, invece, sottolineano aspetti quali la fertilità mediante la rappresentazione di parti anatomiche della donna, come il seno reso cadente dall’allattamento.
Stefania Romito