Il monastero della Vergine del Consolo

A Luras (a pochi chilometri da Olbia) in Sardegna, ancora in fase di ultimazione visitiamo  il Monastero tradizionale Benedettino dedicato alla Vergine del Consolo.

È un monastero che prende le distanze dal modernismo ed è proprio questo che lo rende unico nel suo genere, in quanto oltre a seguire il rito antico osserva la Regola di San Benedetto nella lettera e nello spirito, immerso nei boschi secolari delle colline galluresi. Monaco Gregorio che ama definirsi “povero monaco”, ci racconta che i lavori sono iniziati otto anni fa. L’intero complesso (celle, chiostro, chiesa) è stato costruito ex novo fin dalle fondamenta. Il monaco alterna preghiera e lavoro e nessuno ne è esentato, se non per malattia. Si osserva l’orario delle ore liturgiche, cioè degli antichi romani. Si alzano all’ottava ora della notte, come prescrive la regola (cioè verso le due del mattino). La giornata segue i ritmi naturali, in assenza di orologi che scandiscono il tempo. Qui la vita monastica è vissuta nella semplicità e nella povertà totale, a stretto contatto con la natura e in armonia con essa, in edifici costruiti secondo i criteri della bioedilizia: le celle, la chiesa non hanno infatti fondazioni o elementi in cemento armato, ma tutto è in pietra. Un monastero ecologico quindi, nel senso vero e pieno del termine; il più possibile autarchico come vuole la tradizione e la Regola; una realtà “all’antica” pure nei ritmi e nei gesti quotidiani come impastare il pane, o, ad esempio, fare la pasta. “Il lavoro umano non è qualche cosa di ignobile, di odioso e molesto, ma deve essere amato, come cosa dignitosa e gradita. Infatti la vita di lavoro, vissuta sia nel coltivare i campi, sia negli impieghi delle officine, sia anche nelle occupazioni intellettuali, non avvilisce gli animi, ma li nobilita; non li rende schiavi, ma giustamente li rende padroni e plasmatori di quelle sostanze che ci circondano e che faticosamente si maneggiano. Gesù stesso nella sua gioventù, quando ancora stava nascosto tra le mura domestiche, non disdegnò di esercitare il mestiere di falegname nell’officina del suo padre putativo e volle col suo sudore divino consacrare il lavoro umano. Quindi non solo coloro che attendono agli studi delle lettere e delle scienze, ma anche coloro che stanno sudando nei mestieri manuali per potersi guadagnare il loro pane quotidiano, riflettano che esercitano una cosa nobilissima, con cui sono in grado di provvedere al benessere di tutta la società civile. Questo lavoro tuttavia lo esercitino, come ci insegna il santo patriarca Benedetto, con la mente e con il cuore elevati verso il cielo; lo compiano non per forza, ma per amore (…) e soprattutto non si dimentichino di questo: che noi dobbiamo, con uno sforzo sempre più intenso, dalle cose terrene e caduche, siano esse elaborate o scoperte con l’acume dell’ingegno, siano esse plasmate con arte faticosa, sollevarci a quei beni celesti e immortali; conquistati i quali potremo allora solamente godere vera pace, sereno riposo ed eterna felicità” (Pio XII, Enciclica Fulgens Radiatur per il XIV centenario del transito del santo nostro Padre Benedetto).

Non si allevano animali per nutrirsene ma solo per averne uova o latte. Non si producono rifiuti in quanto si ricicla tutto. La stessa cenere viene riutilizzata per lavare le stoviglie, fare il bucato, per fare pulizie, per igiene personale ed infine usata come fertilizzante per le piante. Non c’è acqua corrente, ma solo quella della vicina fonte che viene usata più volte, anche per innaffiare le piante! Non c’è neppure un bagno nel senso odierno del termine, ma una semplice toeletta compostante. La foresteria invece è dotata di energia elettrica, acqua corrente ed è sempre a disposizione per gli ospiti le cui offerte sono preziose perché permettono al monastero di mandare avanti i lavori. Ci sono diverse stanze con bagno, che si trovano a due chilometri dal monastero. Si tengono ritiri spirituali per chi fosse interessato. C’è pure un giardino.

Nella tradizione monastica più antica, recepita dalla stessa regola del santo nostro Padre Benedetto, l’abate non è un semplice superiore religioso. L’abate di un monastero è un padre; ha l’autorità del padre; ha i doveri del padre; ed è trattato dai monaci con l’onore e la venerazione dovuti ad un padre. Ma nella vita spirituale e nelle virtù ogni monaco, anche l’ultimo arrivato, può diventare un esempio da seguire ed imitare anche per l’abate, perché un monastero ha una sola ragion d’essere: fare santi i suoi abitatori. Il santo monaco Raffaele Baròn diceva che il monastero è un pezzetto di paradiso e un pezzetto di purgatorio: paradiso per le gioie della preghiera e della contemplazione e purgatorio per il peso della vita umana in generale e per i fastidi e le pene che una vita cenobitica può arrecare. Ma cosa sarà mai qualche incomodo di fronte alla vita beata che ci è stata promessa e preparata? Coraggio dunque. Il Vangelo richiede decisione. Non tentennamento perenne. Il santo vescovo Alfonso Maria de’ Liguori diceva che molti vorrebbero farsi santi ma poi finiscono per trascorrere tutta la vita pensando a farsi santi, ma senza mai farsi santi. Il desiderio non basta. Di santi desideri e pie aspirazioni è lastricato l’inferno. La vita è breve. Facciamoci dunque santi. Senza più alcun indugio. Liberiamoci dai lacci del mondo prima che essi ci stringano a tal punto da non potercene più liberare. In monastero ci sarà pure qualche incomodo, ma c’è anche un assaggio di felicità.

La liturgia invece è rivestita di solennità e splendore e tutto spendono per essa, non esiste povertà che invece, come già detto riservono solo a sé stessi.

La liturgia antica, unico rito autentico, il canto gregoriano, la spiritualità, il misticismo, lo straordinario patrimonio spirituale latino è stato recuperato quando ormai sembrava essere tutto perduto. Abbiamo assistito in questi anni –  aggiunge monaco Gregorio –  all’abbandono della lingua latina, come lingua universale della Chiesa, all’introduzione di canti e danze profane, alla rivoluzione liturgica a danno del senso del sacro e dell’aspetto trascendentale dei riti e delle celebrazioni religiose, nonché a vere e proprie profanazioni della SS. Eucaristia che spesso hanno favorito sacrilegi ed oltraggi. L’idea nacque una ventina d’anni fa nel constatare il generale degrado della vita monastica subìto dopo il Concilio Vaticano II.

“Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At. 5, 29). Bisogna pregare l’unico Dio che si è rivelato ed incarnato in Gesù Cristo. E bisogna pregarlo unicamente a nome di Gesù Cristo. Non ci sono e non ci possono essere altre rivelazioni divine differenti. Ammettere rivelazioni divine diverse da quella di Gesù Cristo significherebbe che Dio è schizofrenico, il che non può essere. L’unico e vero Dio ci ordina di ascoltare e seguire solo Gesù Cristo: “Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo” (Mc. 9,7). E questo Redentore divino ci insegna che senza la fede in Lui nessuna preghiera è gradita a Dio e men che meno il digiuno: chi non è con Gesù Cristo è contro di Lui e chi non raccoglie con Lui, disperde (Lc. 11, 23). Ben diverso era il comportamento dei primi cristiani che si astenevano dal digiunare negli stessi giorni in cui digiunava chi non riconosceva Gesù Cristo come Dio (Didaché). “Volete essere figli della luce, ma non rinunciate ad essere figli del mondo. Dovreste credere alla penitenza, ma voi credete alla felicità dei tempi nuovi. Dovreste parlare della Grazia, ma voi preferite parlare del progresso umano. Dovreste annunciare Dio, ma preferite predicare l’uomo e l’umanità. Portate il nome di Cristo, ma sarebbe più giusto se portaste il nome di Pilato. Siete la grande corruzione, perché state nel mezzo. Volete stare nel mezzo tra la luce e il mondo. Siete maestri del compromesso e marciate col mondo. Io vi dico: fareste meglio ad andarvene col mondo ed abbandonare il Maestro, il cui regno non è di questo mondo” (Sant’Atanasio vescovo, Patriarca di Alessandria d’Egitto, Padre della Chiesa).

Preghiamo dunque piuttosto perché Dio intervenga presto a liberare la Chiesa dal virus del neomodernismo. Bisogna sempre distinguere tra la Chiesa e gli uomini di chiesa, gerarchi compresi. D’altronde lo stesso Paolo VI dichiarò: “Sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico nella Chiesa e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia”(cfr. Jean Guitton, Paolo VI segreto. Pag. 152 e segg.). Stiamo però attenti: essere nel “piccolo gregge” rimasto fedele a Cristo non significa che siamo perfetti o che siamo esentati dal praticare le virtù, altrimenti si cade nell’orgoglio. Se ci opponiamo al neomodernismo non è per nostro merito, ma unicamente per grazia di Dio. Impegniamoci dunque ancor di più a farci santi conservando l’ortodossia della fede e praticando con più impegno le opere buone.

Cinzia Notaro