Il primo inquinamento, il più grave, il più tenace è dentro di noi, assai prima che intorno a noi.

Nel 1983 Rutilio Sermonti dava alle stampe (in carta riciclata!) Il prezzo della salvezza, un agevole e succoso saggio, scritto a quattro mani con Alessandro Di Pietro, con cui aveva già fondato i G.R.E. (Gruppi di Ricerca Ecologica). L’ambientalismo come scelta di vita anticonformista e scomoda, come “lotta per la ricomposizione non solo di un armonico rapporto con l’ambiente, ma dell’uomo stesso, a partire dalla chiara coscienza delle cause recenti e remote dell’odierno stato di degradazione” (p. 181) è stato l’itinerario esistenziale e la proposta filosofica che lo ha contraddistinto.

Nel testo Sermonti, operando un’originale sintesi del pensiero tradizionale di Julius Evola e delle tematiche ambientali, si proponeva di affrontare in modo nuovo e globale il problema ecologico “nel quadro di una scelta di civiltà” (p. 186). Dopo aver fatto una disamina concisa e puntuale della situazione di degrado del pianeta (dall’inquinamento dell’aria e dell’acqua all’incremento preoccupante della popolazione, dal saccheggio delle risorse alla questione energetica) si interrogava sul perché il rapporto tra uomo e ambiente si fosse andato alterando e sul come recuperarlo.

Le motivazioni di fondo del degrado e del malessere sono, secondo l’autore, riconducibili, in buona sostanza, a quello che viene definito inquinamento mentale. “Il primo inquinamento, il più grave, il più tenace è dentro di noi, assai prima che intorno a noi. E’ nei vizi mentali che rendono la generalità degli uomini succubi di quelle forze che li hanno trasformati in breve volgere di tempo in agenti della distruzione del mondo” (p. 113).

L’inversione dei valori tradizionali insegnati da tutti grandi maestri del passato, da Budda a Gesù, la cultura razionalistica e scientista che ha esaltato il primato dell’economico rispetto all’etico, delle tecnologie sulle risorse umane, insieme alla naturale avidità dell’uomo, hanno favorito il saccheggio della Terra e l’avvento di minoranze plutocratiche che, mosse dal profitto, governano il mondo e si avvalgono di potenti mezzi di persuasione a cominciare dalla pubblicità. C’è bisogno, dunque, di un’inversione di rotta, di superare il capitalismo che si combatte efficacemente soltanto “con la riduzione drastica della domanda; facendo a meno di tutte le cose superflue o addirittura dannose che questo ci propina, riconquistando quella frugalità e semplicità di vita che è condizione di libertà” (p. 138).

E’ qui, se si vuole, già anticipata la teoria etico-economica della decrescita felice. L’errore maggiore che si possa commettere a riguardo, sottolineava Sermonti,  è quello di credere che la catastrofe ecologica si possa scongiurare  con semplici accorgimenti tecnici e con provvedimenti legislativi, lasciando che il modello di società fondato sulla crescita continui nella sua direzione. Tanto più che “tutti gli studiosi del problema ecologico nel chiedersi quanto tempo ci resta per poter intervenire incisivamente, prima che il disastro diventi irreversibile sono unanimi nel concludere che tale tempo è breve” (p. 129).

Se, dunque, il rimedio di fondo è costituito da un uomo reintegrato organicamente nell’ambiente, che limiti le proprie esigenze, riduca i consumi e la produzione industriale, privilegi l’essere sull’avere, è altrettanto vero certo che “nessuno studio ecologico potrà salvare l’ambiente se prima non si risolve il problema politico, che è assolutamente pregiudiziale” (p. 176).

L’opera di risanamento postula un ordine nuovo che subordini l’economia alla politica, o meglio, elimini la patologica inversione del rapporto società-economia. E a proposito dello Stato moderno (e la cosa è ancor più vera ai nostri tempi con un’ Europa asservita alle banche e a potenze extraeuropee!) Sermonti usava una bella immagine, paragonandolo ad un secchio sfondato, che non può svolgere la sua funzione! “Finché resterà l’economia la suprema regolatrice della società – dichiarava senza mezzi termini l’autore – la soluzione del dramma ecologico è impossibile” (p. 145).

In questo quadro trova posto la critica, nient’affatto peregrina, ai regimi formalmente democratici, alla loro impotenza di fronte ai gruppi di pressione economica e alle mafie.  Non mancava infine di delineare gli interventi urgenti da adottare per allontanare la catastrofe e dare tempo perché si potesse compiere, dapprima nelle coscienze, una svolta di civiltà. Non è, d’altra parte, utopistico combattere per questa svolta che è il prezzo della salvezza: “potremmo essere accusati di nutrire una fede irrazionale e forse è vero. Ma ci si deve ancora dimostrare che soltanto ciò che è razionale sia accettabile” (p. 178).

Nel 1992 Rutilio Sermonti ritornava, in modo sistematico e con dati aggiornati, su queste idee – cui, sia detto en passant, si ispira Fare Verde, forse la più eretica delle associazioni ambientaliste, fondata nel 1986 da Paolo Colli – pubblicando nelle edizioni del Settimo Sigillo L’uomo, l’ambiente e se stesso

Immutato lo stile brillante, a tratti provocatorio ed ironico, cui si aggiunge la vastità delle conoscenze nelle diverse discipline scientifiche. Da notare che la copertina, a conferma della poliedricità dell’uomo, raffigura un disegno, intitolato Usa e getta, in cui una lattina umanizzata di Coca Cola getta nel bidone della spazzatura un pover’uomo. Nelle conclusioni di questo nuovo ed attualissimo saggio, nel quale si prospetta la necessità d’una rivoluzione culturale che porti ad una profonda revisione del modello di società e di economia, troviamo scritto: “L’imperativo categorico è ritrovare il senso della propria esistenza, il proprio significato, il proprio centro. Solo questo ci rimetterà in pace con noi stessi, con i fiori e con le stelle.” 

Bastano questi pochi cenni per considerare Rutilio Sermonti uno dei pochi filosofi ambientalisti italiani nell’ambito di quella corrente di pensiero che è stata denominata, di volta in volta, ambientalismo romantico, eco fascismo, ecologia profonda.

Sandro Marano