Il senso religioso nel carcere

Rebibbia, 14 aprile 2025 – 104° giorno di carcere.
Con l’avvicinarsi della Santa Pasqua non posso non parlarvi del senso religioso che si vive nelle celle di questo carcere. Quello che scrivo non vale per tutte le persone detenute, ovviamente. Ma qui non conta il numero, conta l’intensità.
I contesti in cui ho partecipato ad una Santa Messa sono stati tra i più diversi, dalla Veglia pasquale celebrata dal Santo Padre a San Pietro, alle celebrazioni dei Frati francescani all’Ara Coeli sul Campidoglio, fino a una incredibile Messa di ringraziamento al Campo Base del K2, a 5.000 metri di altezza con il K2 sullo sfondo, in occasione del cinquantenario della conquista italiana della seconda vetta del mondo. Volevano farla celebrare al chiuso quella Messa, per paura delle reazioni degli Hunza, i portatori di fede islamica, che invece si alzarono rispettosamente in piedi quando percepirono la solennità della celebrazione. Ma raramente mi è capitato di partecipare a messe così intensamente vissute come quelle celebrate dal Vescovo ausiliario Monsignor Ambarus nella chiesa del Braccio G8 di Rebibbia.
Fa impressione vedere tante persone dal volto non propriamente celestiale, dal corpo pesante e potente, spesso coperto di tatuaggi, cantare e pregare, ascoltare intenti le semplici e potenti omelie del Vescovo, sorridere gentili quando ci scambiamo il Segno della Pace nel corso della celebrazione. Fa tenerezza vedere la devozione a Maria, con baci ai pedi della Sua statua e con canti finali dopo la Messa che ricordano quelli del Divino Amore. Fa sorridere vedere tante persone detenute portare il Rosario al collo come fosse una collana o incollare immagini sacre sul muro della propria branda. Quella cattolica non è l’unica esperienza che si vive tra queste mura, c’è anche un’intensa attività evangelica e incontri settimanali di Buddhismo, perché il senso religioso, come lo definiva Don Giussani, può percorrere strade diverse. E ci sarà anche folklore in questi comportamenti, o tracce di doppie morali, ma non è solo questo. Il carcere spinge verso l’esperienza religiosa, la sofferenza individuale come il rallentamento dei ritmi di vita di tutta la comunità carceraria, costringono a guardarsi dentro, a mettersi in ascolto, a cercare qualcosa. Questo è uno dei più potenti strumenti con cui si combatte il rischio di diventare uno dei “morti viventi” che vegetano tra queste mura.
Anche per questo, credo, Papa Francesco ha voluto aprire una Porta Santa di questo Giubileo nel nostro carcere: non solo per pietas ma anche per la percezione di qualcosa di vivo e profondo che si muove tra queste mura, molto di più che nelle aule, nei bar e nei salotti in cui si giudica che ha sbagliato.
Santa Pasqua di Resurrezione a tutti.
Gianni Alemanno