Il Venerdì nero della giustizia

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Nel calendario civile sono segnati in rosso quali giorni festivi ricorrenze civili o religiose relative a eventi fausti ritenuti degni di essere festeggiati. Prima del 1977 il calendario civile italiano vedeva in rosso dieci giornate: il primo giorno dell’anno, l’Epifania (6 gennaio), san Giuseppe (19 marzo), l’Ascensione, il Corpus Domini, i santi Pietro e Paolo (29 giugno), l’Assunzione della Beata Vergine Maria (15 agosto), Ognissanti (1 novembre), l’Immacolata Concezione (8 dicembre) e il Natale di Gesù (25 dicembre). A queste si aggiungevano tre festività di tradizione popolare: il lunedì dopo Pasqua (o lunedì dell’Angelo), il lunedì dopo la Pentecoste e il 26 dicembre (santo Stefano).

Nel 1977 vennero soppresse, ai fini civili, le festività dell’Epifania, di San Giuseppe, dell’Ascensione, del Corpus Domini, dei santi Pietro e Paolo e tanto in considerazione della loro «negativa incidenza sulla produttività sia delle aziende che dei pubblici uffici». Successivamente, con l’articolo 1 DPR 28.12.1985 n. 792, e in applicazione del nuovo concordato con la Santa Sede, venivano reintrodotte l’Epifania e, per la sola città di Roma, la festività dei santi Pietro e Paolo, quali patroni della Città eterna.

Il 22 aprile 2015, su iniziativa dei deputati Sberna, Gigli, Dellai, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Caruso, Piepoli, Santerini, Alfreider, Borghese, Borghesi, Matteo Bragantini, Bueno, Gebhard, Marguerettaz, Nesi, Ottobre, Plangeer, Prataviera, Schullian, Binetti, Buttiglione, Calabrò, De Mita, Lupi, Patriarca, Pagano, Rubinato, Basso, Catalano, Falcone, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Latronico, Marazziti, Piccione, Piso, Preziosi, Sammarco, Adornato, Scopelliti, Sottanelli, veniva presentata una proposta di legge volta a ripristinare le festività soppresse.

Ora, senza voler entrare nel merito di questa proposta di legge il cui incipit è proprio volto a rivalutare e riproporre il senso di fare festa comunitariamente, ritengo che al calendario vada invece aggiunta una giornata di astensione dal lavoro, che non vuol essere di festa ma di riflessione, seria: il Venerdì Santo.

 Il Venerdì Santo è il giorno nel quale, l’umanità crocifiggendo il Cristo ha commesso il più grave atto di ingiustizia e ciò attraverso le sue massime rappresentanze giudiziarie (la magistratura) avallata dal consenso popolare (la folla) che liberava un assassino e condannava a morte l’Innocente.

È certamente poco rassicurante vedere oggi nelle aule di giustizia, sulle teste dei magistrati, il Crocifisso, il più grande “errore giudiziario” della storia accompagnato dalla frase “La giustizia è esercitata in nome del popolo”. Ma chi riflette su tali cose?

Ecco, mi sentirei di proporre la pausa del Venerdì Santo perché la comunità e ciascuno di noi rifletta e mediti sui tanti errori di giudizio che inevitabilmente si ripetono nella nostra storia.

Paolo Scagliarini