La chiesa russa di S. Nicola a Bari

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L’insolita costruzione della chiesa Russa di San Nicola, in Corso Benedetto Croce a Bari, oggetto nel corso degli anni di contese giudiziarie e di conflitti teologici fra Ortodossi offre spunti di riflessione geopolitica. Ricordiamo qui che il monumento, oggi sottoposto a vincolo dalla Sovraintendenza, fu edificato nel 1913 dalla Imperiale Società Ortodossa di Palestina con una grande sottoscrizione popolare cui partecipò, con un lascito personale, lo stesso zar Nicola II, devotissimo di San Nicola. L’ultimo zar fu anch’egli pellegrino a Bari.

La scelta di edificare a Bari la Chiesa–ostello per pellegrini divenne operativa, peraltro, dopo il rifiuto delle autorità turche di lasciare edificare analogo edificio a Myra.

Bari, la felice Bari nella Tradizione Ortodossa, divenne così ancor più meta di pellegrinaggio per gli ortodossi di ogni nazionalità, insieme a Gerusalemme ed al Monte Athos.

Il 22 maggio del 1913 fu posta la prima pietra del monumento. Una cronaca dettagliata dell’avvenimento è riportata nel volume del nicolaista Padre Gerardo Cioffari: “Viaggiatori russi in Puglia dal ’600 al primo ‘900”, Schena editore, Fasano, e porta la firma di due studiosi russi, A. Dmitriewskij e V. Jusmanov. La data non fu scelta a caso perché il 22 maggio corrisponde nel calendario in uso in Russia al 9 maggio, anniversario della traslazione delle reliquie nicolaiane da Myra a Bari.

La posa della prima pietra appare oggi commovente, in particolare se si pensa che di lì a pochi anni la rivoluzione bolscevica avrebbe segnato l’inizio della persecuzione contro ogni credo religioso. La cerimonia durò circa un’ora e si concluse con un discorso dell’allora Sindaco di Bari, Fiorese, ed uno del capo delegazione russo, il principe Nikolaj Zevaxov, di cui parleremo più oltre.

Nei primi anni novanta l’area del quartiere Carrassi era un grande spazio rurale, con qualche insediamento industriale ed alcuni edifici militari. Con il nuovo imponente monumento la vita cambiò, si crearono nuove strutture aggreganti ed abitative, finalmente regolate in qualche modo da un punto di vista urbanistico. La chiesa venne completata nel 1915 e lo stesso Zar, in pellegrinaggio a Bari, si rallegrò dell’opera.

Nel 1917 scoppiò la rivoluzione comunista ed il Principe Zevaxov, che era ritornato in Russia, fuggì dopo il 1920 rientrando a Bari. Qui iniziò una lunga vertenza fra l’Amministrazione Comunale e le nuove autorità russe per stabilire la legittima proprietà dell’immobile.

Il Comune di Bari con uno stratagemma giudiziario-finanziario riuscirà ad appropriarsi nel 1937 della grande struttura, raggiungendo con il Principe un accordo per cui gli sarebbero state versate 20.000 lire per vent’anni, trasferibili agli eredi in caso di morte. Il principe però è scapolo e morirà in miseria a Ginevra, principale base operativa della Chiesa Russa dell’emigrazione in Europa, nel 1948, facendo risparmiare così al Comune le ultime nove rate. Furono stabiliti inoltre altri vincoli, che consentiranno alla Comunità Ortodossa di far vivere la piccola parte rimasta aperta al culto.

Nel 1998 la svolta: l’Amministrazione Comunale guidata da Simeone Di Cagno Abbrescia sigla un accordo con il Patriarcato di Mosca con cui viene concessa alla Chiesa Russa Ortodossa di usufruire di una parte dei locali di proprietà comunale. L’allora sindaco parlò di vittoria della piccola diplomazia transfrontaliera.

In seguito vi sono state aperture e chiusure fra le due chiese. Un gruppo di volenterosi baresi, fra cui Beppe Pisani e chi scrive, proprio perché estranei alla contesa teologica e politica, cercò negli anni scorsi, senza pratici risultati, di far organizzare una manifestazione in comune fra i due gruppi di Ortodossi.

Putin in visita a Bari per la restituzione della Chiesa al Patriarcato di Mosca, non visitò i russi dell’emigrazione ma, finalmente, il 17 maggio 2007 una sfarzosa cerimonia a Mosca chiuse definitivamente la frattura nata dalla Rivoluzione d’Ottobre. Il patriarca Alessio II ed il metropolita Lavr firmarono l’atto di riunificazione, od unione canonica, fra la Chiesa Patriarcale di Mosca e la Chiesa Russa di oltre frontiera.

Avvenimento eccezionale se si pensa che i Russi dell’emigrazione hanno condotto per quasi ottant’anni una lotta senza quartiere alla Chiesa Patriarcale di Mosca, definendola collaborazionista col regime comunista e traditrice della Fede.

La cerimonia ha peraltro avuto grande importanza per Vladimir Putin perché lo designa esplicitamente erede delle due Russie, ossia l’uomo che ha risollevato il Paese dal baratro in cui era caduto dopo lo scioglimento per decreto dell’URSS. Il tutto naturalmente con buona pace di coloro che si lamentano per le crescenti restrizioni delle libertà di espressione e per i diritti umani.

Il Presidente Putin diventa dunque l’erede dei religiosissimi Zar di tutte le Russie, ma al tempo stesso dei capi comunisti. In effetti non è la prima volta che si determina una così apparentemente singolare “conversione”…

Stalin fu costretto durante la II Guerra Mondiale a ridare spazio alla Chiesa Ortodossa per farle benedire la “Grande Guerra Patriottica” contro i Tedeschi ed i loro alleati, fra cui i milioni di ex-sovietici che avevano applaudito le forze dell’Asse arruolandosi direttamente nelle loro fila o collaborando con gli italo-tedeschi.

Nel 1941, infatti, all’indomani dell’attacco tedesco, Stalin ricevette al Cremlino per la prima volta dalla presa del potere da parte dei comunisti, un gruppo di alti prelati. A seguito di questa udienza, vera e propria riconciliazione con la Chiesa Ortodossa Russa, si ebbe nel 1943 l’elezione del Patriarca, il primo dalla morte di Tichon avvenuta nel 1927.

Stalin interruppe qualsiasi propaganda ateistica, permise alla Chiesa di riprendere le proprie attività, e questa contraccambiò dichiarando un dovere religioso la difesa della Patria e minacciando di scomunica chi si fosse sottratto al combattimento contro gli invasori e, naturalmente, i “collaborazionisti”.

A guerra finita non ci fu per questi ultimi nessuna pietà. Chi non cadde in battaglia fu spietatamente massacrato nei Gulag od ucciso nei modi più atroci. Tutti indistintamente: dagli anziani ufficiali dell’Armata Bianca che erano riparati in Occidente per poi unirsi ai Tedeschi, i famosi “Branderburghesi”, ai Cosacchi, ai Tartari, agli Armeni, a tutta una congerie di popolazioni mussulmane turco-tatare ed altre ancora.

Negli ultimi anni alcuni studiosi, anche italiani, hanno finalmente reso giustizia a questi uomini finora bollati, da una storiografia a senso unico, come traditori. Ne riparleremo anche noi, a partire dai Branderburghesi, il primo vero nucleo di idealisti il cui sogno finì nel sangue e nell’oblio ma che ora trova una giusta collocazione nella Storia.

Ritornando ancora alla cerimonia di Mosca del 2007, Putin dopo aver baciato un’icona spiegò che: “La divisione della Chiesa è stato il risultato di una profonda crisi della società russa”.

La Chiesa dell’emigrazione, come accennato, nacque in risposta alla rivoluzione sovietica del 1917 che, grazie all’ideologia atea di Lenin eliminò fisicamente non solo lo Zar e la sua famiglia, ma un gran numero di religiosi, distruggendo moltissime chiese. Dopo alcuni anni di proteste e conseguenti repressioni, il neo eletto patriarca Tichon dovette adeguarsi al nuovo regime per cercare di salvare il salvabile.

In quegli anni esisteva ancora una feroce guerriglia dei monarchici contro i comunisti. I primi erano divisi in vari gruppi, con motivazioni ideali e politiche anche molto diverse fra di loro. Per meglio lottare contro il comunismo ateo, quindi, le diocesi meridionali e siberiane si staccarono dal Patriarcato. Il trionfo delle forze rivoluzionarie costrinse però buona parte della gerarchia ortodossa ad emigrare prima a Costantinopoli e poi a Karlovcy, in Serbia.

Capo spirituale di questa Chiesa dell’emigrazione (Zarubenaja Cerkov’, ossia Chiesa Oltre-frontiera) divenne Antonij Chrapovickij, un famoso teologo dotato di grande carisma.

Nel 1927 mentre il luogotenente del Patriarcato di Mosca, Sergio Stragorodskij, firmava l’atto di lealtà al governo sovietico, all’estero i russi dell’emigrazione si dividevano in due correnti. La prima con base a Parigi di orientamento democratico non sottoscrisse l’atto ma mantenne rapporti di comunione con Mosca, mentre gli esuli in Serbia rompevano la comunione isolandosi. A loro si unirono comunità di russi anticomunisti in Svizzera, Germania, Stati Uniti ed in altri Paesi.

Questo stato di cose si è protratto fino al 2000 coinvolgendo le tante chiese che giuridicamente dipendevano dalla Chiesa Oltre-frontiera, fra cui quella di Bari.

La chiesa dell’emigrazione non cambiò atteggiamento nemmeno con la caduta del comunismo perché continuava ad accusare l’intera gerarchia ecclesiastica ortodossa di tradimento e connivenza col KGB e pertanto non veniva riconosciuta canonicamente valida alcuna ordinazione episcopale.

Il cambiamento è avvenuto solo nel 2001, con l’elezione del metropolita Lavr a capo della Chiesa Russa Oltre-frontiera, con i suoi quindici vescovi e circa quindicimila fedeli. Furono stabiliti così contatti ed il Santo Sinodo di Mosca indirizzò a Lavr un appello alla riconciliazione. Nel 2004 questi incontrò a Mosca Alessio II e venne costituita una commissione per lo studio dei rapporti bilaterali.

Le due Chiese hanno stabilito una “comunione canonica”, accettano pertanto le reciproche gerarchie, mantengono l’indipendenza amministrativa e burocratica ma al patriarca russo Alessio II è riconosciuta la suprema autorità.

Il pericolo che Mosca possa mettere le mani sulle proprietà della Chiesa di Oltre-frontiera in America, fra cui la sede di Manhattan, è stato paventato da alcuni russi dell’emigrazione contrari all’accordo, ma non sembra reale.

Alla firma del documento erano presenti a Mosca anche alcuni eredi della famiglia imperiale.

Altamente simbolico anche il luogo della cerimonia: la Chiesa di Cristo Salvatore che Stalin aveva fatto saltare con la dinamite, poi ricostruita dopo la fine dell’URSS. Al suo posto il dittatore georgiano voleva costruire il Palazzo del Soviet, con in cima una colossale statua di Lenin. Il terreno risultò però instabile ed il progetto fu abbandonato. Krusciov realizzò poi una grande piscina circolare scoperta amata da tutti i moscoviti che d’inverno sotto la neve si immergevano nell’acqua calda. Eltsin all’inizio degli anni’90 ha fatto abbattere a sua volta la piscina per ricostruire la cattedrale.

Altre cerimonie si sono svolte in altri due luoghi simbolo per gli ortodossi russi. Il primo è la cattedrale dell’Assunzione all’interno del Cremlino. Qui tutti gli Zar venivano incoronati, anche quando la capitale era a San Pietroburgo. L’altro è Butovo, località alle porte di Mosca dove l’NKVD uccise tantissimi innocenti. Per la Chiesa Ortodossa è da tempo un luogo della memoria, anche per onorare le decine di migliaia di sacerdoti uccisi durante le purghe staliniane.

In tutti questi anni a Bari la piccola chiesa del piano terra ha ospitato fedeli ortodossi di tante nazionalità: greci, serbi, montenegrini, armeni, romeni, bulgari, russi, ucraini, bielorussi, etiopi copti, che poi hanno trovato modo di riunirsi sia nella Chiesa di San Gregorio, vicino alla Basilica di San Nicola, che nella nuova Chiesa Russa al primo piano di Corso Benedetto Croce, retta per primo da Padre Vladimir Kuciùmov, rappresentante del Patriarcato di Mosca ed ancora, naturalmente, nella cappella per il rito ortodosso allestita nella cripta della Basilica di San Nicola.

All’inizio del nostro scritto parlavamo della valenza geopolitica del monumento.

La Geopolitica dell’Ortodossia non è più materia per soli addetti ai lavori. In un convegno organizzato l’11 dicembre 2005 all’Hotel Sheraton a Bari sul tema: ”Il Mediterraneo: integrazione e diversità fra conflitti e pace”, il Pope Ortodosso Padre Màdaro, rappresentante del Patriarcato di Costantinopoli in Italia, tracciò un excursus storico sullo scisma fra Chiese d’Oriente e d’Occidente prodottosi nel corso di tanti anni, ed accompagnato da eventi tragici come la IV Crociata conclusasi con il saccheggio di Costantinopoli.

L’orientamento dell’Ortodossia oggi è di sostenere il dialogo senza pregiudizi esaltando le differenti tradizioni quale elemento di ricchezza e rifiutando un sincretismo che annichilirebbe ogni valenza storica e spirituale.

Con la fine dell’URSS e del comunismo le Chiese Ortodosse, chiese autocefale e quindi già per questo portate ad essere Chiese nazionali, hanno dovuto reimpostare il rapporto con i governi in maniera estremamente differenziata rispetto alle varie realtà.

Solo per citare il caso dei nostri dirimpettai balcanici in questi ultimi anni si sono  moltiplicate le Chiese, con tensioni anche gravi e con l’immancabile interferenza politica! Del resto è inevitabile che, se Fede e Politica sono vissute con semplicità, si intreccino e si contaminino, anche positivamente o, viceversa, alimentino vecchi rancori e fanatismo.

Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, il potere sovietico pianificò lo sradicamento di ogni Fede religiosa scontrandosi in particolare con la Chiesa Ortodossa, maggioritaria in quasi tutto l’Impero Russo.

Le tensioni politiche in Ucraina negli ultimi anni hanno fatto conoscere invece al mondo il conflitto fra Ortodossi  e Greco-Cattolici in quella terra.

E’ la memoria dei martiri che deve unirli ed unirci.

Proprio in Ucraina, infatti, culla della Cristianità orientale, fu martirizzato il primo metropolita, Vladimir Bogojavlenskij di Kiev, il 25 gennaio 1918.

In questi ultimi anni, con il contributo anche dei figli degli esuli rientrati da ogni parte del mondo nella Santa Madre Russia, terra dei loro avi, si cerca di ricomporre la memoria delle innumerevoli vittime, di quanti affrontarono il martirio per Cristo.

Ricordiamoli tutti, in specie i tanti rimasti senza nome, perché la loro memoria avrebbe infastidito le amichevoli relazioni fra il nostro Paese e quelle realtà, governate da spietate dittature. Ricordiamoli oltre ogni divisione a Bari, con l’aiuto di San Nicola, sulla cui tomba Papa Pio XII riaccese nel 1936 una lampada già accesa nel 1089 da Papa Urbano.

Luigi Antonio Fino