La Divina Liturgia manifestazione della Trinità

La divina economia è una teofania trinitaria dell’amore di Dio per l’uomo che si manifesta nella divina liturgia in cui il fedele vive, per grazia, questo mistero. Come dice san Giovanni il Teologo, il suo celebrante “ci svela la santa Trinità”[1].

Sin dall’inizio la Divina liturgia ci invita a entrare nel mistero della presenza trinitaria con le parole del sacerdote: “Benedetto il regno del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”.

Seguono le ekphoneseis[2] (greco ἐκφώνησις “esclamazione”) trinitarie, le tre antifone, l’inno trisagio in cui cantiamo “alla Trinità vivificante” e giungiamo al momento centrale della divina liturgia in cui ci viene offerto dal celebrante “la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito santo”.

In seguito ringraziamo Dio per tutto quello che ha compiuto i noi con il suo amore: “Tu dal nulla ci hai tratti all’esistenza e, caduti, ci hai rialzati; e nulla hai tralasciato di fare fino a ricondurci al cielo e a donarci il futuro tuo regno. Per tutti questi beni rendiamo grazie a te, al unigenito tuo Figlio e al tuo Spirito santo”. Successivamente a questo ringraziamento, si supplica il Padre delle luci affinché invii lo Spirito Santo Paraclito a consacrare l’offerta del Figlio. Lo Spirito Santo Paraclito viene come “il sussurro di una brezza leggera” (cf. 1Re 19,12) e compie lo straordinario miracolo, offrendoci la presenza di Gesù Cristo. Comunicando al santo Corpo e al preziosissimo Sangue di Cristo diventiamo abitazione della Santa Trinità. Il cuore e il corpo dei credenti si riempiono della luce divina divenendo abitazione del Dio trinitario, ospitando in sé l’amore trinitario. Perché «se “uno” è in noi, è possibile dire che la trinità (intera) è in noi»[3]. San Giovanni Crisostomo, a riguardo del fedele che si è unito a Cristo nell’eucaristia, afferma: “Ha Cristo dimorante in se stesso, e il Padre di lui, e il Paraclito”[4].

E ancora così insegna il santo patriarca di Costantinopoli, Germano “Diventando così testimoni oculari dei misteri di Dio, partecipi della vita eterna e partecipi della natura divina, glorifichiamo il grande, incommensurabile e inscrutabile mistero della dispensazione di Cristo Dio, e glorificandolo, gridiamo: “Ti lodiamo” – Dio e Padre – “Ti benediciamo” – Figlio e Logos – “Ti rendiamo grazie” – Spirito Santo – “O Signore nostro Dio” – la Trinità nell’unità consustanziale e indivisa, che possiede meravigliosa-mente sia la distinzione delle Persone sia l’unità della sola natura e divinità”[5].

Alla fine della divina liturgia la nostra anima diventa “Cristofora” portatrice di Cristo” ed effonde la luce trinitaria a tutti coloro che incontriamo: “Abbiamo visto la luce vera, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede, adorando la trinità indivisibile: essa infatti ci ha salvati”.

La divina liturgia incontro tra cielo e terra

Nella riunione eucaristica dei fedeli, la presenza della Santa Trinità realizza il vero e grande incontro tra cielo e terra e diventa il luogo Dio viene ad abitare, dove Dio “pone la tenda con gli uomini” (Ap 21,3). Non solo l’uomo, ma tutto il creato, tutte le realtà, si radunano nello stesso posto nello stesso tempo e insieme (ἐπὶ τὸ αὐτὸ) per magnificare Dio, “sull’altare posto davanti al trono” di Dio (Ap 8,3), così come insegna san Dionigi: “la bellezza sovra- essenziale, è chiamata bellezza…, perché a sé tutte le cose… e tutte le raccoglie insieme”[6].

Questa è la realtà della divina liturgia: l’intera creazione si raduna in unità nello stesso luogo per benedire Dio e mettersi in cammino verso il Regno dei cieli. Per questo motivo san Giovanni Crisostomo e altri padri definiscono la divina liturgia sinodo (gr. σύνοδος composto da σύν «con, insieme» e ὁδός «via»), perché tutti insieme camminiamo verso Dio: “Nessuno di coloro che mangiano questa Pasqua (la divina eucaristia) guarda l’Egitto, ma al cielo, alla Gerusalemme celeste”[7].

Nela divina liturgia è presente Gesù Cristo: “Quando stai per accostarti alla sacra mensa, credi che lì è presente il Re di tutti”[8]. È il Signore Gesù, “che raduna (ekklêsiàzôn) tutte le creature”[9] e invita intorno al santo altare tutte le realtà e “provvidenzialmente le unisce sia se stesso che fra di loro”[10].

Vicino a Gesù c’è la Madre di Dio, perché prima che Gesù prepara la sua Cena, nella Madre sua si è compiuto – per la grazia dello Spirito Santo – la verità soprannaturale della nostra redenzione: “Il tuo seno è divenuto mensa santa su cui ha riposato il Pane celeste”[11].

Nella divina liturgia la Regina dei cieli siede alla destra del Re: “Dove Cristo si è assiso… sta anche lei… perché davvero è il suo trono: dove siede il re, lì vi è il suo trono”[12].

Le schiere angeliche sono la corte celeste di Gesù Cristo. Il Signore procede verso il Golgota “invisibilmente scortato dalle angeliche schiere”, e nell’istante dell’oblazione le creature ultraterrene celebrano insieme a noi l’amore di Dio.

Insieme agli angeli compartecipano alla divina eucaristia “il coro dei santi” riuniti intorno all’altare, vicino a Cristo, “si trova, inseparabilmente, la schiera dei santi”[13]. Nella riunione eucaristica si festeggia la vittoria di Gesù Cristo e coloro che sono uniti a Lui nel sinodo sono partecipi in quella circostanza: “Quando si celebrano i trionfi dei re per la vittoria sono a chiamati anche coloro che vi hanno preso parte…, così anche qui: questa è l’ora del trionfo”[14].

Nella Divina liturgia prendono parte anche i nostri fratelli deceduti per i quali imploriamo la compassione di Dio e ricordarli nella sinassi liturgica riversa “molto profitto, grande giovamento”[15] per le loro anime.

In questa maniera, cielo e terra, angeli e uomini, vivi e defunti celebrano congiuntamente e benedicono il Signore per la sua grande misericordia. “Terra e mare, regioni abitate e regioni deserte inneggiano eternamente, rendendo grazie per i beni ricevuti”[16]. Tutti gli esseri umani innalzano la loro gratitudine “A colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e Potenza, nei secoli dei secoli” (Ap 5,13).

diac. Antonio Calisi


[1] Orazione 43, 72. p. 1113.

[2] Sono delle conclusioni che lodano, esaltano e glorificano Dio cantate ad alta voce, a conclusione di una preghiera recitata dal celebrante nella liturgia orientale.

[3] ATANASIO, Lettere a Serapione. Lo Spirito Santo, 1, 20, a cura di E. CATTANEO, Città Nuova, Roma 1986, p. 76 (Collana di testi patristici 55).

[4] Esortazione a Teodoro caduto, 1, PG 47, 278.

[5] GERMANO DI COSTANTINOPOLI, Storia ecclesiastica e contemplazione mistica, traduzione, introduzione e note a cura di Antonio Calisi, Infinity Books, Malta 2020, p. 92.

[6] I nomi divini, 4, 7, PG 3, 701C.

[7] Commento alla Lettera agli Efesini, 23, 2, PG 62, 166.

[8] GIOVANNI CRISOSTOMO, Sulla visione di Isaia 6, 1. Omelia 6, 4, PG 56, 140.

[9] GREGORIO DI NISSA, Omelie sull’ecclesiaste, III, a cura di S. LEANZA, Città Nuova, Roma 1990, p. 76 (Collana di  testi patristici, 86).

[10] MASSIMO IL CONFESSORRE, La Mistagogia, 1.

[11] Órthros di mezza Pentecoste.

[12] GREGORIO PALAMAS, Omelia 53, 34.

[13] DIONIGI AREOPAGTA, La gerarchia ecclesiastica, III, 3, 9, PG 3, 437C.

[14] GIOVANNI CRISOSTOMO, Sugli Atti degli Apostoli, 21, 5, PG 60, 170.

[15] ID., Commento alla Lettera ai Filippesi, 3, 4, PG 62, 204.

[16] ID., Sul salmo 44, 13, PG 55, 203.