La libertà nell’osservanza

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La vera libertà si ha osservando i comandamenti. Ma libertà da che cosa? Dal peccato che c’impedisce di amare Dio, noi stessi e il prossimo.

“Se mi amate – dice il Signore – osservate i miei comandamenti” (Gv 14,15).

Il mondo ha rifiutato lo Spirito Santo, ed è in balìa delle tenebre e della menzogna (prologo san Giovanni 1,1-18) .

Quanti  hanno distrutto le proprie vite andando dietro agli idoli e ai peccati credendo di trovarvi la felicità, confondendo la libertà con il libertinaggio? Coloro che peccano sono i veri prigionieri, ma chi osserva la legge di Dio è come l’aquila che raggiunge le vette più alte.
“Molti sono i chiamati e pochi gli eletti” (Mt 22,14), perché c’è chi dopo aver ricevuto il Battesimo che salva (1 Pietro 3,21) rinuncia con perseveranza al male, purificandosi con il Sacramento della riconciliazione se dovesse cedere al peccato, e chi invece rimane un tralcio secco unito alla vite, in quanto non mantiene i voti battesimali decidendo di proseguire per la larga via che porta alla perdizione (Mt 7,13) .

In cosa consiste la conversione che vuole il Signore? Nella osservanza rigida e doverosa dei comandamenti per paura della punizione come se ancora fossimo nell’Antico Testamento, dove i trasgressori della legge venivano castigati severamente? Certo che Dio è sempre lo stesso ieri, oggi e sempre… ma mandando il Suo unigenito Figlio nel mondo, ha usato misericordia e anche ciò che noi erroneamente consideriamo castighi laddove ritiene opportuno, per la salvezza delle anime (“Chi risparmia il bastone odia suo figlio, chi lo ama è pronto a correggerlo” (Pr 13, 24); “È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli!” (Ebrei 12, 7 ).

Conversione del cuore significa che una creatura sceglie col proprio libero arbitrio di servire il Signore, di amarlo in piena libertà senza la coercizione della legge (che ha agito da pedagogo fino alla venuta di Gesù)… il convertito infatti dimora in Dio e Dio dimora in lui, e siccome Dio è amore, coloro che sotto l’azione dello Spirito Santo sono consapevoli di essere in peccato, smettono di andare per sentieri tortuosi perché hanno incontrato il Signore e vedono il mondo con gli occhi dello Spirito: difatti – dice san Paolo – “Noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1 Corinzi 2,16) e in altri passi afferma:  “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo” (Romani 12,2); “Chi è di Cristo ha crocifisso la carne con le sue passioni” (Galati 5,24) ; “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Galati 2,20).

Attualmente si vive il rapporto con il Signore in un modo legalistico (almeno i più) senza metterci amore; altri sono solo osservanti per tradizione o per moda… ed ecco che non sanno neanche Chi vanno a ricevere nei Sacramenti e talvolta senza le dovute disposizioni.

“Pieno compimento della legge è l’amore” (Romani 13,10): quindi è l’amore per il Signore, gli uni per gli altri e verso il prossimo, che ci permette di riconoscere i fratelli nella fede e dunque i figli di Dio che devono risplendere come luce nel mondo per illuminare chi è nelle tenebre. Quando incontriamo il Signore diventiamo diversi, perché con il cuore e la mente accettiamo la sua Parola che genera in noi la vera vita, diventiamo suoi tralci, legati alla Vite, della cui linfa ci nutriamo, perché “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo” (Efesini 2,10).     

Se abbiamo incontrato il Signore vogliamo vivere con amore, nell’amore e per amore. Scopriamo che è più bello donare che ricevere e che non manchiamo di nulla se abbiamo con noi il Signore. Vediamo il mondo con occhi diversi, innamorati del Signore siamo pronti ad amare persino i nostri nemici e il nostro giogo diventa leggero.

Se non abbiamo incontrato il Signore tutte le nostre preghiere, devozioni, partecipazione ai Sacramenti rischiano di rimanere inefficaci, perché il nostro cuore è ancora attaccato al mondo e cammina nelle tenebre, legato ai desideri della carne, contrari ai desideri dello Spirito Santo. 

Bisogna vivere il Battesimo e ricevere in grazia l’Eucaristia, essere carità e testimoniare il vangelo… essere luce del mondo e sale della terra per avvicinare i lontani al Signore. “Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia”. (Mt 7,21-24).

Chi crede che solo i Sacramenti salvano e portano in Paradiso senza la fede e le opere si  sbaglia, in quanto occorre corrispondere alla grazia divina. Le opere non ci salvano secondo quanto è scritto: “L’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno” (Galati 2,16).

Quando lo incontriamo capiamo che i doni e i talenti ricevuti dobbiamo metterli a disposizione dei fratelli e del prossimo al fine di compiere la missione per cui ognuno è stato designato.

Siamo sale della terra e luce del mondo solo se il nostro cuore ama il Signore e si è convertito alla luce, all’amore che è misericordia, condivisione e altro ancora, ma che è anche ammonizione, correzione verso il fratello e il peccatore che ancora non conosce il Signore.

“Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano” (Mt 18,15-17 ). Perché chi corregge ama? Perché egli vuole avviare il prossimo ad una vita buona; quanto più lo riprendiamo, tanto più gli vogliamo bene.

“Non si deve riprendere il prossimo perché fa delle mancanze verso di te, in quanto così si agisce per egoismo e pertanto non serve a nulla la nostra riprensione, ma se è per suo amore, allora compiamo un’ottima azione” (Sant’Agostino).

Il perdono vicendevole, fare il primo passo, chiedere scusa se abbiamo sbagliato è rinnegare il proprio orgoglio, responsabile della perdita della pace che Dio ci ha dato.

E come possiamo dire di dimorare in Dio se non amiamo? Se riuscissimo a capire con l’aiuto dello Spirito Santo, quanto male ci facciamo seguendo il nostro orgoglio ferito spesso… e quanto bene invece faremmo a noi stessi e alla Chiesa se lo vinciamo. Ogni nostro piccolo peccato fa soffrire noi, la Chiesa e ogni nostro più piccolo atto di bene fa gioire noi e la Chiesa. E allora se siamo testimoni di Cristo come possiamo ancora vivere come se non lo conoscessimo?

Prendiamo la Comunione senza confessarci, non diamo il perdono a chi ci ha offesi, o non concediamo  loro perdono o non chiediamo a chi si è allontanato da noi, perché lo ha fatto?

“Non chi dice Signore, Signore entra nel regno, ma colui che fa la volontà di Dio” (Mt 7,21).

Se vogliamo il perdono di Dio, dobbiamo perdonare sinceramente: “Rimetti a  noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…”  Se non perdoniamo i fratelli che ci hanno fatto torti, non possiamo  ricevere il perdono da Dio per i nostri peccati. San Paolo (1 Corinzi 11,28-29) scrive : Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice;  perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”.

La correzione fraterna è un dovere che s’impone ed è un vero atto di carità. Ma perché sia tale non deve essere fatto con l’intento di umiliare, di mortificare o di offendere il colpevole, non deve essere mai ispirata da motivi personali tendenti  a far prevalere i propri diritti, le proprie ragioni, a prendere la rivincita per  qualche torto ricevuto. In questi casi la correzione non è un atto di carità, ma il contrario, anziché fare del bene produce l’effetto contrario. Solo un desiderio sincero  del bene altrui può rendere caritatevole ed efficace la correzione fraterna e questa deve essere fatta con tanta bontà, per far sentire al fratello che ha sbagliato più l’amore che gli portiamo che l’umiliazione di essere ripreso.

Così Gesù ha trattato i colpevoli: tutti sono stati sanati dal suo amore.

Cinzia Notaro