La logora cintura in pelle e la logora politica.

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Può accadere che una vecchia cintura possa far riflettere su tante cose che solo all’apparenza sono lontane ma che rivelano tutta la contraddizione che la nostra società continua imperterritamente a vivere. Ed è così che una logora cintura di pelle finisce per manifestare una logora politica.

Giustamente, vi chiederete cos’hanno a che fare l’una dall’altra? Ridotta in pessime condizioni e non più confacente alla sua funzione di tener su i pantaloni, mi sono deciso a comprare una nuova cinta e questo mentre il Governo Draghi ha da poco inaugurato il Ministero per la Transizione Ecologica.

Un Ministero dal nome impegnativo, che alla stregua della mia cintura, deve tirar su, o almeno non far calar giù, il livello di vivibilità. Finalmente qualcuno che pensa all’ambiente, mi sono detto. Ma che centra la vecchia e logora cinta? e come può un cittadino come me, concorrere con l’impegno del neo costituito Ministero?

La cintura è logora e va cambiata. Per rispettare l’ambiente, poiché è inservibile dovrò gettarla nell’indifferenziata. Già! E la fibbia? Dovrò smontare la fibbia e gettarla nel metallo e così avrò risolto il problema avviando la catena dello smaltimento e del riciclo. Ma risolto un problema un altro si impone, e forse più grosso del primo: la fibbia, dopo una stagione di “servizio” è ancora funzionante, lucida e bella. Perché dunque gettarla via se è possibile usarla ancora per mesi, se non per anni? In realtà si potrebbe riutilizzare su un’altra cinghia in pelle. Ma se ne trovano di cinghie in pelle senza la fibbia? E poi, connesso a questo, un altro problema: e se tutti facessero così, che ne sarebbe dei produttori di fibbie? E il calo del PIL, sul quale è basata l’economia statale?

Se solo pensassimo al lavoro ed all’energia impiegata per realizzare una fibbia: la fusione del metallo, la cromatura, il cosiddetto indotto, il confezionamento, la spedizione, la vendita; ci renderemmo conto dell’assurdità che tutto questo impegno, di uomini, mezzi ed energia, sia in realtà profuso per permettermi di tener su i calzoni qualche mese.

Mi pongo questo genere di problemi forse perché la mia è l’ultima generazione che ha impresse nella memoria le immagini delle donne, amministratrici uniche dell’economia domestica, intente a rammendare le calze usurate ma ancora buone per essere indossate. Poi è seguita l’era della plastica, del “moplen”, dell’usa e getta, del monouso, del consumo per il consumo, del falso mito secondo cui il benessere umano si misura col consumo. L’era basata sul folle principio turbocapitalista della produzione infinita per un infinito profitto, un principio miope che non fa i conti con la finitezza delle risorse, dell’ossigeno contingentato nell’aria, dei giorni contati dell’uomo.

Ecco che la mia logora cinghia, alla fine, non fa altro che evidenziare i limiti e l’inadeguatezza della Politica disertata dalle giovani generazioni, una politica codarda ed in ritirata, che ha capitolato di fronte alla prepotenza dell’interesse economico che permea tutta la società e che ha finito per fagocitare tutte le arti liberali umane, financo quella medica; una politica sterile ed incapace di progettare un mondo nel quale ci sia spazio e realizzazione per tutti e nel quale il valore delle cose non sia necessariamente connesso al controvalore monetario; una politica smemorata che ha abbandonato le alte disquisizioni filosofiche sulla natura e sul destino dell’Uomo per impantanarsi nei freddi e miserabili calcoli; una politica che per ottenere legittimazione insegue le pulsioni dei più anziché farsi guida e fucina di nuove elaborazioni per la realizzazione materiale e spirituale dell’Uomo e delle sue comunità.

Paolo Scagliarini