La lunga storia del Rosario
La tradizione ne attribuisce a San Domenico la devozione.Tuttavia sebbene i domenicani ne siano stati i maggiori promulgatori è nel XII° secolo che si evidenzia la sua nascita in fase embrionale sul suggerimento dei monaci illetterati di sostituire i 150 salmi con 150 Ave Maria o Pater Noster.
All’inizio la preghiera mariana era costituita dall’ Annunciazione del Verbo” e dalla “Visitazione a Santa Elisabetta” ( di cui parla il vangelo secondo San Luca) : “Ave Maria piena di grazia il Signore è con te” e “Benedetta tu sopra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Da qui il nome “Il Rosario dell’ Ave Maria” diviso in tre cinquantine.
Più tardi ,nel secolo XIV° , il certosino Enrico di Kalcar propose la suddivisione in 15 decine, inserendo tra l’una e l’altra il Pater Noster e nel 1613, il “Gloria al Padre e al figlio e allo Spirito Santo” avrebbe completato l’orazione. La frase “Ora e nell’ora della nostra morte” fu aggiunta durante la peste nera ( XIV° secolo ) , periodo in cui i credenti “implorarono la Santa Madre di Dio”, affinché proteggesse la popolazione da così grande avversita’. La preghiera completa fu pubblicata nel Catechismus ad Parochos del Concilio di Trento ( il 19° concilio ecumenico della storia ) conclusosi nel 1563. Monsignor Fulton J. Sheen Arcivescovo e scrittore statunitense (1895 – 1979) nell ’opera “Il primo amore del mondo” menzionava proprio l’aggiunta della frase nel testo dell’Ave Maria. La frase, sosteneva il Vescovo, ” è un grido spontaneo del popolo in un tempo di grande calamità. La morte nera, che falcidiò l’Europa”.
Nel frattempo alle preghiere vocali si aggiunge la contemplazione e la meditazione sulla Vita, Morte Passione e Risurrezione di Nostro Signore Gesu’ Cristo. Domenico di Prussia, certosino di Bologna propose l’aggiunta di una clausola cristologica che variava ad ogni Ave Maria. Si da’ vita così al “Rosario nuovo” diffusosi attraverso le confraternite del Rosario promosse dal domenicano Alano de la Roche che, nel 1400 distinse le tre cinquantine in rapporto a tre cicli meditativi incentrati sull’Incarnazione, la Passione e la Gloria di Cristo e di Maria. È proprio in quest’epoca che il salterio mariano comincerà a chiamarsi “Rosario della Beata Vergine Maria”.
Un altro DomenicanoAlberto da Castello, unì le meditazioni dei “misteri” al Pater Noster, considerando le clausole come commenti ai 15 misteri prescelti: la figura attuale del Rosario che, il Papa San Pio V, con la bolla Consueverunt romani Pontifices del 1569, stabilì in forma ormai definitiva, venne alla luce. Al Rosario, nel corso dei secoli, il vissuto di fede ha attribuito sempre grande efficacia rispetto ai pericoli che minacciano la vita. Particolarmente legata al Rosario, la vittoria delle armi cristiane su quelle turche a Lepanto nel 1571.
Da questo momento in poi il Rosario venne visto come una milizia spirituale a favore della causa della pace, in quanto San Pio V, nella bolla “Salvatoris Domini”, scritta a pochi mesi dalla vittoria di Lepanto, attribuì tale successo alla recita del Rosario, stabilendo che ne venisse celebrata perpetua memoria il giorno 7 ottobre.
Risale al 1478 il primo documento riguardante la pia pratica del Rosario : la bolla “Pastor aeterni” promulgata da Papa Sisto IV (1471-1484) , destinata alla Confraternita del Salterio in Colonia (Germania). Il Pontefice testimonia che la pratica chiamata Rosarium Beatae Virginis Mariae, è composta da 150 Ave Maria e da 15 Pater noster e che la fedeltà a tale pratica è premiata col dono dell’indulgenza.
La bolla “Ea quae” di Sisto IV si differenzia per importanza. La bolla è indirizzata al Principe di Bretagna Francesco e alla moglie Margherita e contiene informazioni preziose sulla storia del pio esercizio. Il Papa, osservando una crescente popolarità del Salterio tra i fedeli, sostiene che questo modo di pregare risale ai laici, che, nei tempi antichi, lo praticarono nelle diverse parti del mondo. Definendo la preghiera, Sisto IV menziona una serie di 150 Ave Maria e 15 Pater noster, senza alcun riferimento alla meditazione dei misteri.
Papa Innocenzo VIII (1484-1492) concesse indulgenze a coloro che avessero aggiunto il nome di Gesù alla Salutazione angelica.
Infine Alessandro VI (1492-1503), Leone X (1513-1521), Adriano VI (1522-1523) e Clemente VII (1523-1534) confermarono le confraternite del Rosario, la pia pratica, premiando i fedeli dediti a tale devozione con nuove indulgenze.
Papa Gregorio XIII (1572-1585) nel 1573, istituì la festa solenne del Rosario la prima domenica di ottobre, inserendola nel Calendario romano generale con la bolla “Monet apostolus”. Pio IX (1846-1878), il Papa dell’Immacolata, invitò la Chiesa alla recita del Rosario per il buon esito del Concilio Vaticano I con la lettera “Egregiis suis” del 3 dicembre 1869.
Da Sisto IV a Pio IX numerosi i documenti pontifici sul Rosario, la maggior parte dei quali inerenti l ’erezione di confraternite, la disciplina, i privilegi e via di seguito. Viene evidenziata con questa documentazione una continuità di vedute da parte dei Pontefici e una fiducia nel Rosario, quale mezzo ecclesiale per estirpare eresie e favorire la pace tra i principi cristiani, come si esprime ad esempio Clemente VIII.
Il cosiddetto “Papa del Rosario” fu per eccellenza Leone XIII che porto’ avanti una sorta di “politica del Rosario”, con cui si assicurava un “esercito di contemplativi” uniti in una supplica corale di fronte ai mali della società, come egli stesso indicò nell’Enciclica “Supremi Apostolatus Officio” del 1° settembre 1883. Fu in risposta a questo appello che il beato Bartolo Longo formulò la celebre Supplica.
Pio X si soffermò sul Rosario in documenti “minori”, come nella lettera apostolica “Summa Deus”del 27 novembre 1907, scritta in occasione del cinquantesimo delle apparizioni di Lourdes, sottolineando come tale “fatto meraviglioso” abbia accresciuto il culto verso l’Immacolata e verso il “suo santissimo Rosario”.
Benedetto XV, il Papa che per primo recitò la Supplica in Vaticano, nel documento dedicato al VII centenario della morte di san Domenico Guzman,indica il Rosario come rimedio e conforto nei duri momenti della prova, essendo una prece “meravigliosamente idonea a nutrire e a far sorgere in tutte le anime la carità e le virtù” .
Pio XI, nella Ingravescentibus malis del 1937, scrive che il Rosario è vero “breviario dell’evangelo e della vita cristiana”, un “mistico serto”, una “mistica corona” amata da tutti i cattolici a qualunque condizione appartengano; pio esercizio che, mediante la contemplazione dei misteri di Cristo e della Madre sprona alla pratica delle virtù evangeliche e ravviva la speranza suprema dei beni eterni; inculca l’amore a Dio, insinua la carità verso il prossimo, che negli ultimi tempi appare illanguidita e raffreddata nel cuore di molti uomini, per cui i sacerdoti devono promuoverla tra i giovani e nelle famiglie, tra gli adulti .
Pio XII nella “Ingruentium Malorum” del 1951, sottolinea il significato del Rosario per la famiglia, sullo sfondo della crisi crescente di questa istituzione, consapevole della “sua potente efficacia per ottenere l’aiuto materno della Vergine”.In una lettera del 1946 all’Arcivescovo di Manila il Pontefice conio’ un’espressione divenuta ricorrente nel magistero dei suoi successori: “Il Rosario della Vergine può essere considerato sintesi, compendio di tutto il Vangelo”.
Giovanni XXIII mise in rilievo la maternità universale della Vergine, anche in ordine alla Chiesa, amando in modo particolare il titolo di “Maria, Madre della Chiesa”. Al Rosario dedicò l’Enciclica “Grata recordatio” sulla recita del Rosario per le missioni e per la pace del 1959 e la Lettera Apostolica “Il Religioso Convegno” del 1961, in cui raccomandava questa preghiera esaltandone, contro le accuse di ripetitività e di poca originalità, la contemplazione mistica, la riflessione intima, l’intenzione pia. Secondo Roncalli, il Rosario è preghiera sociale, pubblica ed universale in ordine ai bisogni ordinari e straordinari della Chiesa, delle nazioni e del mondo.
Paolo VI nell’Enciclica “Mense maio” del 1965 esortò i pastori ad inculcare “con ogni cura la pratica del santo Rosario, la preghiera così cara alla Vergine e tanto raccomandata dai Sommi Pontefici”, mentre nell’enciclica “Christi Matri” del 1966 invitò la comunità cattolica ad impetrare da Dio, mediante l’intercessione della Vergine con il suo Rosario, il dono celeste ed inestimabile della pace, concetto ripreso anche nell’esortazione apostolica “Recurrens mensis” october del 1969.
Giovanni Paolo II dedicò alla Madonna ail suo motto: Totus tuus. Al Rosario, in particolare, è dedicata la Lettera Apostolica “Rosarium Virginis Mariae” del 2002. Ai “misteri” del Rosario, tra gioia, dolore e gloria aggiunge l’arco dei misteri della luce. In occasione dell’inizio del 25° anno di pontificato Giovanni Paolo II ripropose alla Chiesa del Terzo Millennio il Rosario come vera scuola di preghiera, capace di portare i fedeli alla contemplazione del mistero cristiano. In modo più specifico, affermava il Santo Padre, “ciò che è veramente importante è che il Rosario sia sempre più concepito e sperimentato come itinerario contemplativo”.
Il 7 ottobre 2003 il mondo cattolico si inginocchiò con Giovanni Paolo II ai piedi dell’immagine della Vergine di Pompei per implorare la pace. Intorno alla maestosa facciata del Tempio di Pompei – che poco più di un secolo fa il beato Bartolo Longo (1841-1926) volle erigere proprio come monumento alla pace – il popolo dei devoti di Maria ha il volto dell’umanità peregrinante ed il cuore della Chiesa orante. Il terzo millennio con il suo fardello fece tappa a Pompei, nella Valle divenuta singolare ponte tra le antiche vestigia pagane e le straordinarie opere della fede.
Cinzia Notaro
ANTICA PREGHIERA MARIANA RISALENTE AL TRECENTO