La questione armena una tragedia senza fine
Esattamente un anno fa, per l’esattezza il 19 settembre 2023, a seguito di un violento dell’attacco militare unilaterale da parte dell’Azerbaijan, l’intera popolazione autoctona dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), costituita da più di 115000 armeni ivi residenti spesso anche da diversi secoli, ha dovuto abbandonare le proprie case nel giro di pochi giorni.
Questo spostamento forzato, che è stato l’ultima fase della politica di pulizia etnica, ha avuto luogo durante la sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quando l’intera comunità internazionale si è riunita ancora una volta per discutere dell’imperativo della risoluzione pacifica dei conflitti, dell’istituzione della stabilità e dello sviluppo, condannando l’uso della forza, la violazione delle norme internazionali e dei diritti umani in diverse parti del mondo. Una autentica sfida alla civiltà umana, nel pieno disprezzo dei diritti umani, tollerato e spesso incoraggiato dalla comunità internazionale. Ricordiamo bene le deplorevoli dichiarazioni di alcuni rappresentanti dell’ONU, con le colpevoli astensioni di altri. Tali atteggiamenti avrebbero meritato l’immediato ritiro degli ambasciatori da quei paesi che di fatto hanno mostrato inimicizia per l’Armenia e per il genere umano.
Anche con l’aiuto di alcuni partner internazionali — che a dire il vero erano più interessati alla costruzioni di alloggi in Armenia per i deportati che a salvare vite umane — durante l’anno passato, il governo armeno ha adottato una serie di misure urgenti. Si è trattato di dover rispondere alle esigenze primarie e a medio termine a favore degli sfollati dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh). La Repubblica d’Armenia, inoltre, ha cercato di sviluppare i programmi necessari a lungo termine.
Le discussioni ad alto livello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite riprenderanno la prossima settimana a New York. Gli eventi dell’anno scorso dimostrano l’importanza di sforzi urgenti per garantire la stabilità internazionale, la realizzazione di idee e misure che consentirebbero l’instaurazione della pace. Purtroppo ancora una volta nel mese di settembre, come ogni anno, l’Azerbaijan minaccia l’uso delle armi contro il territorio sovrano della Repubblica d’Armenia, nel tentativo di dimostrare una serie di circostanze: 1) la completa inutilità, essi ritengono, delle decisioni in ambito internazionale, compresa l’Assemblea delle Nazioni Unite; 2) la totale convinzione che i loro soldi (petrodollari) siano in grado di comprare tutto e tutti, dai rappresentanti alle Nazioni Unite ai politici e primi ministri delle singole nazioni; 3) La totale impunità delle azioni di genocidio da essi compiute nel corso degli anni, siano esse genocidio contro le persone o distruzioni del patrimonio materiale e immateriale dell’Armenia; 4) La continua creazioni di fake news a loro vantaggio e la costruzione di casi di “Armenofobia” ad esse correlate.
La posizione della Repubblica di Armenia è, per contro, come sempre volta a garantire la stabilità nel Caucaso meridionale. Le azioni in tal senso sono chiare: immediata istituzione e raggiungimento della pace e di relazioni basate sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, nella prospettiva di garantire uno sviluppo sostenibile, un’interconnettività efficace e la prosperità nella regione. Per realizzare tutto ciò, per non perdere l’opportunità disponibile in questo momento oltre che per creare un ambiente favorevole possibilità di vita più stabili e dignitosa per generazioni, la Repubblica d’Armenia si aspetta, una chiara dimostrazione di volontà politica e impegno per l’agenda di pace da parte di altri attori interessati allo stesso obiettivo dalla controparte azera e dall’Assemblea della Nazione Unite. Le aspettative dell’Armenia dopo trent’anni di conflitto a vari livelli e varia intensità sono che avvenga un miracolo, fors’anche contrario alle regole non scritte della stessa “Geo-politica”.