L’altare della speranza
Vivere la religiosità, non come esperienza dogmatica nell’ortodossia teologica, ma come riscoperta della cristianità nelle origini del messaggio evangelico di San Paolo. Questo è l’affascinante percorso intrapreso da Pierfranco Bruni nel suo magistrale saggio L’altare della speranza – Paolo di Tarso, i linguaggi e la parola nella fede del viaggio (Edizioni Prospettive Meridionali). Un prodigioso camminamento tra i solchi di una fede profonda vissuta intimamente nel segno della condivisione del silenzio nell’attesa.
L’interpretazione esegetica del messaggio cristiano acquisisce valenze mistiche che si intrecciano a visioni antropologiche e filosofiche. San Paolo è l’apostolo che intraprende un viaggio partendo dall’Oriente turco per giungere a Roma, ma è soprattutto l’ambasciatore di un messaggio destinato a tracciare orizzonti. L’errante marinaio che sfida i mari sospinto da un Bene originario rinviene la sacralità di un incontro nell’anima antropologica dei popoli. Una lettura, quella di Bruni, suffragata da testi sacri che si avvale della storia per oltrepassare la razionalità in direzione di un esistenzialismo cristiano e di una estetica dell’inquieto che diviene metafisica dell’essere.
San Paolo, nella visione illuminante di Bruni, è l’apostolo della speranza che avvia un legame dialogante tra le diverse civiltà avvalendosi della parola. Rappresentante della cultura giudaica e greco-romana, diviene portatore di un linguaggio universale che unisce nelle diversità. Ambasciatore della parola che proietta l’esempio e la fede oltre la materialità verso un’antropologia dell’anima in cui il tempo si annulla nella piazza dell’incontro.
Il Mediterraneo, abitato come realtà di una geografia spirituale, si fa piazza, agorà. Epicentro della parola e luogo d’elezione di intrecci etnico-culturali. Come sottolinea Bruni: «La casa è il riparo da tutto. La piazza accoglie tutto», anche quel vento che non penetra nelle case e che contiene le voci dei popoli.
Il mare e il deserto diventano luoghi dell’esistenzialismo cristiano in cui la spiritualità annulla il tempo nello spazio metafisico. Una visione profondamente mistica che rinviene nell’antropologia una chiave filosofica. E così San Paolo è colui che ha attraversato il pensiero greco per riconciliarsi nel messaggio cristiano del “tempo che incontra l’essere” (Heidegger).
«Se mi cerchi, mi hai già trovato», afferma Pascal attingendo alla lezione di San Paolo che custodisce la morte di Stefano in una comprensione interiore generata dall’accettazione della “spina nella carne”. L’inquieto peregrinare nel profondo della propria anima che è speranza. Perché, come sottolinea Bruni, il cristianesimo non deve essere percepito come un valore, bensì vissuto come autentica espressione di fede nella Parola di Cristo. Quella Parola che Paolo ha veicolato come immanente missione oltrepassando le geografie generando la consapevolezza che l’incontro tra le culture si compie nel segno della comprensione e nella condivisione dei valori cristiani quali l’amore, il perdono, la carità.
Il pellegrinaggio compiuto da Bruni, penetrando le tappe che hanno segnato il viaggio di Paolo, si snoda attraverso quel filo di Arianna che lega le civiltà alle tradizioni in una visione religiosa che rinviene nella cristianità «il senso del messaggio evangelico». Un percorso circolare che nella partenza e nel ritorno trova la sua completezza spirituale. In questa geografia mistica, Damasco e Malta assumono la valenza sacrale di «conversione-chiamata e porto-naufragio». Terra di conversione e di “illuminazione” esistenziale e isola che conduce oltre il mare nel porto dell’attesa.
Damasco, Malta. Il deserto e il mare. Luoghi di una geografia dell’anima che manifestano la reale missione di Paolo, testimone di quell’altare della speranza che preserva la provvidenza nella sua immanente sacralità. E Bruni, come Paolo, sa che una evangelica condivisione si può avere solo nell’ascolto.
Saper ascoltare per coltivare la carità nel silenzio della grazia dell’anima.
Stefania Romito