“Lembi di verità” di Rosaria Scialpi – Una silloge in cui il lirismo è veicolo esistenziale nella drammaticità dell’esistere

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Morire per rinascere. Bramosia di rinvenire l’essenza del vivere in una dimensione altra. Rivendicazione della libertà di essere ciò che si è al di fuori di qualsiasi ruolo socialmente imposto.

Questi e altri sono i seduttivi temi che riaffiorano con intensa delicatezza nelle raffinate liriche di Rosaria Scialpi, preziosamente custodite nella silloge poetica Lembi di verità edita da L’Erudita.

La giovane poetessa tarantina sorprende per la straordinaria attitudine di veicolare, tramite la parola, una miscellanea di stati emozionali di incomparabile rappresentatività.

In liriche come Dittico del mondo immondo e Jack lo squartatore il mondo nel quale viviamo appare inadeguato genitore (in)volontariamente incapace nell’assolvere al compito di salvaguardia che la natura infonde. Fatale lacuna responsabile di una irreversibile fragilità che confluisce in una condizione di cronicità. L’accorata domanda finale, che suggella Dittico del mondo immondo («Tu, mondo, non puoi accettarmi?»), cela una implicita istanza di accettazione dal valore fortemente protettivo che non dovrebbe necessitare di alcuna esplicita domanda in quanto legge naturale. Un comandamento immanente del quale se ne denuncia l’assenza. Di qui il disorientante sconcerto.

Di efficace impatto emozionale è l’impietoso ritratto di una Vita che non lascia spazio alla fantasia, né alla possibilità di rifugiarsi in un “Altrove” in cui è possibile catturare il valore intrinseco dell’esistenza. Vita intesa leopardianamente come Madre matrigna che preclude ogni possibilità di salvezza, fagocitando qualsiasi anelito di anima sensibile nell’orbita delle atrocità del reale.

Ne Le regole della produttività Rosaria Scialpi effettua una potente denuncia dell’alienazione mentale alla quale la società ci sottopone rendendoci schiavi di un sistema che induce all’esaltazione della pragmaticità e al disprezzo dell’”invisibile”. Un sistema che dona alla cronologicità del tempo un valore assoluto riducendo le persone a oggetti, vittime di una metamorfosi irreversibile.

Ma ciò che intimamente seduce, per l’intensità del trasporto emotivo, è il senso di umanità concepito come ineluttabile condizione che conduce al dolore. In Il più pernicioso dei mali riaffiora la faticosità dell’Essere in quanto “umano” depositario di una sensibilità percepita come debolezza e di una facoltà empatica che assume sembianze di un male che avvelena l’anima.

Quanto più si è “umani”, suscettibili al male causato dalla proliferazione di disvalori, tanto più si diventa vulnerabili alla sofferenza. La poetessa associa la condizione umana alla più “perniciosa delle malattie”. La natura iper-sensibile ricevuta in dono dalla sorte non viene vissuta come un “bene”, bensì come deflagrante calamità.

L’apogeo di uno sfinimento esistenziale si vive con struggimento nella lirica Non ho più niente da salvare in cui si avverte la constatazione dell’assenza di condizioni al fine di costruire una barriera all’intimo struggimento che l’essere umani comporta. Ma in questo tragico sentire rifulge il desiderio di una speranza seppur vana che affonda le radici in una memoria spavalda sfacciata cinica e sfrontata, consapevole del proprio potere invalidante.

La vera luce, in questo ombroso labirinto, è rappresentata dai valori immanenti quali la verità, che si contrappone all’omissione, il silenzio che accompagna il buio della notte custode di segreti e l’immaginazione alla quale la poetessa affida un’azione salvifica, insopprimibile risorsa dell’essere umano.

Ne Il firmamento delle cose non dette si assiste a una violazione dei valori intesi come unica risorsa per il conseguimento di una autentica felicità. La totale assenza di sincerità diviene omissione di parole celate che ammalano lo spirito generando arida vacuità. Inquietudine, apatia percettiva, sofferenza cronica, infingimenti indotti, sono stati emotivi esistenziali rappresentati da Rosaria Scialpi come inevitabile fatalità, destino ineluttabile. Ma è nella penetrante Conflagrazione che si assapora l’efficacia vitale della rinascita.

La stoica indole della poetessa precorre uno stato di cambiamento in cui la “conflagrazione” compirà il suo inesorabile ciclo vitale.  La vita troverà la morte nel momento in cui si preannuncerà l’incipit di una nuova alba, poiché è  necessario morire per rinascere.

Immagini d’anima. Istantanee di essenza. Questa è la poesia di Rosaria Scialpi.

Stefania Romito