Natale nella Chiesa orientale
L’attuale Pontefice invita a vivere in Natale con rinnovata adesione di fede al suo messaggio: “A Natale ci auguriamo di cuore che in mezzo a tutta la frenesia del presente questo tempo di festa ci porti in dono un po’ di riflessione e di gioia, di contatto con la bontà del nostro Dio e quindi nuovo coraggio per andare avanti”.
In questo senso, una meditazione sul come l’Oriente cristiano esalta la natività del Signore può fare da salutare correttivo alla frenesia del consumismo che assedia e accaparra le nostre menti.
- Dimensione cosmica
Nella liturgia bizantina del Natale si canta questo brano:
«Che cosa ti offriremo, o Cristo, che per noi sei apparso come uomo sulla terra?
Ciascuna delle cose da te create esprime il suo ringraziamento,
offrendoti gli angeli un inno,
i cieli una stella,
i Magi i loro doni,
i pastori lo stupore,
la terra una gotta,
il deserto una greppia,
e noi invece una madre vergine.
Tu che sei Dio prima dei secoli,abbi pietà di noi ».
Le chiese di Oriente, con queste parole , elevano la solennità del Natale ad un livello di altissima teologia. La venuta del Figlio di Dio nel mondo è come se trasformasse radicalmente il modo di esistenza degli esseri. Ecco perché ognuno dei personaggi, ogni luogo o dettaglio dell’evento Natele, travalica i limiti della sua singolarità concreta. Non rappresenta solo se stesso, ma il mondo creato e la gerarchia degli esseri: i cieli, la terra, gli esseri angelici, lo stupore umano di fronte all’incarnazione. Questa visione teologico-spirituale, lungi dal lasciare spazio al sentimentalismo e al gusto decorativo, nutre profondamente la fede dei cristiani. Nulla sfugge a questo sguardo superiore, che parte dall’eternità e avanza verso il mistero della morte e della risurrezione di Gesù.
Ecco come uno dei più celebri poeti bizantini, Romano il Melode , (VI sec.) contempla il mistero del Natale:
«Oggi la Vergine dà alla luce l’Eterno
e la terra offre una grotta all’Inaccessibile.
Gli angeli con i pastori cantano gloria,
i Magi camminano guidati dalla stella:
è nato per noi quel nuovo Bambino,
il Dio di prima dei secoli.
Betlemme ha riaperto l’Eden,
andiamo a vedere.
Vi troviamo le delizie in un luogo nascosto.
Andiamo a prendere i beni del paradiso in una grotta»
(Primo Contacio sulla Natività, Proemio e strofe 1)
Storia e tempo, peccato e redenzione, paradiso perduto con Adamo e ritrovato in Cristo, tutto è detto in pochi versi, con rigore teologico e collegamenti arditi, senza mai tradire la semplicità del testo evangelico.
In questo Romano (di origine siriaca) si pone in perfetta sintonia con la predicazione dei Padri greci, attenti a cogliere nelle svariate valenze del Natale altrettanti sensi spirituali e teologici che ne svelano le profondità del mistero.
Ad esempio, le fasce che avvolgono il bimbo per S.Gregorio di Nissa prefigurano la morte salvifica di Cristo sepoltura:«Nasce stretto in legami per liberare dalle catene detestabili del peccato l’umanità schiava del tributo della morte» (disc. sul Natale ) . Quanto alla grotta oscura, Gregorio invita a vedervi il simbolo della condizione di peccato degli esseri umani che vivono nelle tenebre e nell’ombra della morte (ibid.).
San Basilio approfondisce il simbolismo dei doni offerti dai Magi: sono l’omaggio a colui che detiene la regalità (oro), che è Dio (incenso), che morrà e sarà sepolto per noi. La stella che guida i Magi realizza la profezia messianica di Balaam in Nm 24,15-17 («Una stella spunta da Giacobbe…»). La stessa posizione di Maria che nella maggior parte delle icone bizantine appare inginocchiata davanti al Bambino sta ad indicare l’adorazione e quindi la consapevolezza della sua dignità divina.
2. La mangiatoia, il bue e l’asino
Un discorso a parte merita la presenza del bue e dell’asino presso la mangiatoia. A dire il vero, nei vangeli non troviamo alcun esplicito riferimento a questi due animali. Nei nostri presepi le loro statuine sono considerate decorative e benefiche: sono lì a riscaldare il Bambino col loro alito. Eppure la loro presenza alla nascita del redentore risale ad epoca paleocristiana, sia nelle arti figurative che negli scritti dei Padri. Da dove proviene, questo motivo?
Fonte responsabile ne è certamente il testo apocrifo cristiano detto Pseudo-Matteo, composto prima del quarto secolo, sulla base di tradizioni molto più antiche. L’autore, al fine di dimostrare, come lo stesso Matteo, che molte profezie dell’Antico Testamento si sono realizzate sin dai primi momenti di vita di Gesù, narra che Maria entrò in una stale e depose il bambino in una mangiatoia, e il bue e l’asino che erano lì si prostrarono davanti a lui e lo tennero in mezzo a loro adorandolo senza posa. Così si adempirono due profezie, quella di Isaia (1,3) che dice: Il bue ha conosciuto il suo padrone e l’asino la greppia del suo signore, e quella di Abacuc (3,2) che dice: Ti manifesterai in mezzo a due animali” (Ps.Mt,14). I primi Padri della chiesa hanno letto e adottato questo testo dandogli varie interpretazioni.
Per Origene (Omelie su Luca) e S.Ambrogio (Esposizione su Luca), il bue e l’asino rappresentano il primo il popolo giudaico, vissuto sempre sotto il giogo della legge mosaica, il secondo i gentili liberi da quel giogo, ma bruti e ignoranti, entrambi chiamati a riconoscere e adorare il Salvatore. S. Gregorio di Nissa coglie nel fatto che il Signore giaccia in mezzo ai due animali la potenza pacificatrice e unificatrice del Redentore: abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, Egli fa dei due un solo uomo nuovo (cf. E. 2,14.15), affrancando gli uni (i giudei) dal grave giogo della legge, e gli altri (i gentili) e dal gravoso peccato dell’idolatria. Il Cappadoce estende genialmente questo simbolismo cristologico alla greppia e al fieno che contiene: il fieno è fatto per gli animali privi di ragione, mentre agli esseri razionali, agli uomini, è destinato il Pane disceso dal cielo (cf Gv 6,48), che è il Cristo stesso, che viene proprio a tal fine deposto da Maria nella mangiatoia (disc. sul Natale).
I Padri dell’occidente latino raccoglieranno queste intuizioni natalizie e le proporranno al popolo di Dio. Ecco un mirabile brano natalizio da un discorso di S. Agostino di Ippona:
« Gesù giace in una mangiatoia come foraggio per i giumenti fedeli […]. Riconosciamolo anche noi. Accostiamoci alla mangiatoia: mangiamo anche noi il foraggio, portiamo su di noi il Signore, colui che ci regge, per arrivare anche noi, dietro la sua guida, alla Gerusalemme celeste » (Sermone 190).
- Nel tempo attuale
Ritorniamo alla parola illuminata di Benedetto XVI, nella quale troviamo una bella e fedele eco di quanto abbiamo descritto
“Il bue e l’asino non sono semplici prodotti della pietà
e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo
della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento. In Isaia
1,3 leggiamo infatti: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del
padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.
I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al
nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio
tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi ed asini, privi di
intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli
occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro
Signore.
Nelle rappresentazioni medioevali del Natale vediamo come
i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e
rispettosi davanti al mistero del Bambino. Ciò era perfettamente logico, perché
essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero
della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno
siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli
occhi, sì che ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.
Ma lo riconosciamo realmente? Quando collochiamo nel presepio il bue e l’asino,
dobbiamo rammentarci tutte le parole di Isaia, che non sono solo vangelo – cioè
promessa della futura conoscenza -, bensì anche giudizio sull’accecamento
attuale. Il bue e l’asino riconoscono, ma “Israele non conosce e il mio popolo
non comprende”.
Chi sono oggi il bue e l’asino, chi “il mio popolo” che non comprende? Da che cosa si riconoscono il bue e l’asino, da che cosa si riconosce “il mio popolo”?
Perché mai gli esseri privi di ragione riconoscono e la ragione è cieca? Per trovare una risposta dobbiamo tornare ancora una volta con i Padri della Chiesa al primo Natale” (da Immagini di Speranza, Edizioni San Paolo 2005)
p. Rosario Scognamiglio op.