«Non conosco modo migliore di pensare del sorriso».

È questa una citazione tratta da un libriccino di Christian Bobin, La vita e nient’altro (edizioni Animamundi, pp. 76). L’autore, nato nel 1951 a Le Creusot in Borgogna, benché sia lontano dagli ambienti letterari e refrattario ai media, è piuttosto noto in Francia «per la sua scrittura intensa e poetica che riconduce chi legge agli aspetti fondanti dell’esistenza» (dalla nota sull’autore), ma assai meno in Italia, se non forse per un suo libro sulla figura di San Francesco, Francesco e l’infinitamente piccolo, pubblicato dalle edizioni Paoline e per alcuni testi recentemente pubblicati da una piccola casa editrice l’AnimaMundi di Otranto.

Bobin può considerarsi un pensatore “leggero”, dove leggero non è propriamente sinonimo di superficiale, bensì di semplice, di poetico, di intuitivo. 

La vita nel suo scorrere, lo «sfavillante vocio del vivere», è l’unico inesauribile tema dei suoi scritti. Nella sua scrittura troviamo l’apertura spirituale, la veracità, lo sguardo meravigliato e semplice sulle cose, proprio dell’infanzia, senza pregiudizi. Bobin, seguendo le tracce indicate dal filosofo esistenzialista Jaspers: «Noi non dobbiamo pretender di spiegare ciò che fu, è e sarà, ma dobbiamo prestare ascolto a ciò che vuole parlarci», ci invita a saper guardare. Come afferma in un altro suo testo, Mozart e la pioggia,  «i momenti più luminosi della mia vita sono quelli in cui mi accontento di vedere il mondo apparire».

La sua scrittura è quasi sempre dialogo con un Tu, un Tu impersonale, che potrebbe essere il lettore, il proprio sé, la vita stessa, o un Tu, che è una persona reale, come la Nella di La vita e nient’altro.

Anche per questo i suoi libri, perfino il suo unico romanzo, Louise o l’amour,  sono brevi, stesi poeticamente, ma densi e meditativi.

Pubblicato nel 1990, La vie passante / La vita e nient’altro è un lunga lettera all’amica scrittrice Nella Bielski di origine ucraina, scritta in forma di poema, senza punteggiatura, quasi a simulare il flusso ininterrotto di pensieri.

Di cosa parla La vita e nient’altro? Della pioggia con cui si apre il testo: «una  pioggia sottile scivola sulle pagine, scende nel cuore», che è poi una metafora della vita stessa. Della figura di Cristo, che ci parla dell’anima:

«Quando ero piccolo

mi hanno raccontato la storia

di un uomo che camminava sulle acque

ci ho creduto certo

A cos’altro credere

se non all’incredibile

Quell’uomo andava sull’acqua

lentamente senza dubbio assai lentamente

con passo da contadino

[…]

Quando voleva parlare dell’anima

stendeva la mano indicava

gli uccelli nel cielo il vento sopra l’erba

i pesci gli agnelli gli ulivi

e tutto ciò che è chiaro

presente offerto in dono

la parola il silenzio il pane

i volti le pietre il cielo

il grande regno dell’invisibile

la dolce presenza del mondo».

E poi ci parla della solitudine, della tristezza, della terra che non è merce (e qui l’autore riassume magistralmente in poche parole la bellissima lettera del capo indiano Seattle all’allora presidente degli Stati Uniti), degli angeli, che «non sono persone ma solo silenzi custodi di puri silenzi», dell’amore. E finalmente di quel dono che è la scrittura e della sua necessità:

«Come bambini in estate

impazienti delle lunghe sieste

le parole entrano nella camera

e ci tirano per la mano

per la mano blu del sogno

con reclami e suppliche

allora quand’è che andiamo a fare il bagno».

Sandro Marano