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È da poco uscita nell’elegante veste grafica della collana Racconti Zeta Questioni urgenti (Di Felice Edizioni, pp.114, € 10), una raccolta di nove racconti di Massimo Del Pizzo, che prende il titolo dal primo di essi. Lo scrittore abruzzese, già docente di letteratura francese presso la facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Bari, non fa mistero di prediligere come forma letteraria il racconto per la sua brevità e incisività. Nel racconto intitolato Fra l’alba e il tramonto mette in bocca al protagonista, che non a caso è uno scrittore di racconti attento a non farsi fagocitare dai rapporti sociali (l’editore, il  libraio, il  giornalaio, il pescatore) e che sogna invano di salpare con la sua barca, queste parole che suonano velatamente autobiografiche:

«i lettori mostrarono di amare le mie storie con poca o nessuna trama, i testi non troppo lunghi e non troppo brevi che evitavano loro di impelagarsi nel flusso strutturato di una narrazione romanzesca, a volte interminabile. Potevano leggerli  uno alla volta, con calma, senza dover stare lì a tenere a mente personaggi e avvenimenti, ché tutto è giocato nell’universo piccolo di una trama esile, come si dice».

Questi racconti, dalla scrittura agile e coinvolgente, spaziano tra più generi, dal realismo con venature esistenziali di Questioni urgenti e di Safari al fantastico tra l’onirico e il surreale di La scala e Bilocazioni fino al fantascientifico di In avanscoperta. Tutti però sono accomunati da due temi strettamente congiunti: la radicale solitudine dell’uomo e la sua ricerca più o meno consapevole di un senso alla vita.

«Nel frattempo, ho dovuto vivere» è l’incipit fulminante di Questioni urgenti. Qui il racconto confidenziale alla propria amante di una lunga conversazione avuta col vecchio incontrato casualmente durante le lunghe e solitarie passeggiate sulla marina porta il protagonista ad analizzarsi senza infingimenti, a rivelare le proprie paure e la propria indolenza, fino alla confessione finale: «Me ne andavo verso la notte come un guerriero sconfitto e non si può dire che non avessi combattuto, non si può dire che non avessi impiegato tutte le mie energie, ma tutte le mie energie non erano sufficienti».

C’è al fondo sottintesa una domanda che spesso viene accantonata nelle consuete cure quotidiane e che tuttavia fa capolino quando meno ce lo aspettiamo: quella del nostro rapporto con la morte, con l’al di là, col senso tragico dell’esistenza, con il nostro intimo bisogno di consolazione. Se non c’è altro che l’esserci, il nulla è il nostro destino. Ma se c’è qualcos’altro oltre l’esserci, quello che i filosofi chiamano essere e le religioni Dio, allora, come scrive il filosofo esistenzialista Jaspers, nella realtà del mondo ci sono dei segni che vanno colti e possono rinviare alla trascendenza: «nel mondo si realizza l’incontro di ciò che è eterno e appare nel tempo».

La risposta però nessuno può darla per l’altro. Ciascun uomo è solo di fronte alle questioni fondamentali e al proprio destino.

È quello che accade al protagonista de La scala che scopre nel ripostiglio del nuovo appartamento, dov’è traslocato con la moglie, dei gradini che nessuna planimetria segnava e che decide di salire fino ad allontanarsi dal mondo. Quella scala sta probabilmente a significare l’incerta linea di confine tra il mondo e il sopramondo che a volte affiora nel quotidiano e può sconvolgere la vita di ciascuno di noi.

E sola resta la protagonista di In avanscoperta. Prestigiosa comandante di un’aeroflotta, a causa di un incidente occorso alla sua navicella spaziale, si trova improvvisamente isolata e senza possibilità di ritorno su un pianeta disabitato, «ostaggio del caso e del caos». Qui è costretta a fare i conti con la propria vita passata, con «la nostalgia delle cose che non ho fatto, come, per esempio, accostarmi alle ginocchia di mia madre e chinarle il viso in grembo». Ed anche con la sua persistente umanità: «Sono ancora bella, come lo ero anni fa, e un po’ puttana, come sono sempre stata: vanitosa, provocante e provocatrice; il mio corpo mi insegue, mentre la giovinezza mi lascia, corre avanti, mentendomi che posso starle al passo». Ma i ricordi non consolano più di tanto giacché, conclude, «annotta anche sui miei ricordi».  

Nei racconti di Massimo Del Pizzo conta meno la trama che l’atmosfera. I suoi personaggi appartengono a un’umanità dolente e disorientata,  dove il tema della ricerca d’un senso del vivere si intreccia non di rado con l’attesa di qualcosa che sfugge alla nostra comprensione razionale ed apre il varco alla tristezza, come osserva nelle battute finali il protagonista di Safari: «Non vorrei essere qui, ma sono pronto. Osservo lei che mi dorme accanto, come la donna inquieta che è; sento di aver troppo vissuto e che nemmeno il continente africano conviene più ormai alla mia immensa tristezza».

Le pagine di Del Pizzo catturano il lettore e gli rimandano in qualche modo un vago senso di inquietudine. In ogni caso, gli offrono preziosi spunti di riflessione.

Sandro Marano