Radici della cultura italiana

“..or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara
come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu il sai,chè non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara.”

Dante, Purgatorio I, 70-75

Dante, guidato da Virgilio, è giunto, dopo aver attraversato i gironi dell’Inferno, alla base della montagna del Purgatorio, dove dimorano le anime di coloro che in vita peccarono, ma poi si pentirono, a differenza di coloro che dimorano nell’Inferno i quali non si sono mai pentiti nella loro vita dei peccati commessi.

Il Purgatorio, di cui non si parla nella Scrittura, è una creazione della Teologia medievale, però non di carattere arbitrario, poichè la riflessione teologica dei grandi come S. Tommaso d’Aquino, ha saputo comprendere che oltre quanto dice S. Paolo “stipendium peccati mors est”, la morte è la conseguenza del peccato, esiste la grande misericordia di Dio, per cui il peccatore che si pente sinceramente del suo errore può essere salvato.

Ma il peccato lascia sempre una traccia nell’anima, e anche nel corpo dell’uomo, di conseguenza c’è bisogno di purificazione, che in vita può avvenire con la preghiera continua e con le opere di Carità, mentre nel post-mortem la purificazione avviene attraverso il “Fuoco” del Purgatorio.

Nel passo su riportato Dante, accompagnato dalla sua guida, il grande poeta latino Virgilio, incontra Catone Uticense, il quale è stato posto come custode dell’accesso al sacro monte del Purgatorio, al quale Virgilio, per rispondere alla domanda di Catone se fossero cambiate le Leggi di Dio, poichè vede Dante ancora vivo e per di più proveniente dall’Inferno, dice:

“ora accetta la sua venuta (di Dante), perchè egli va cercando la libertà (spirituale), che è una cosa tanto cara per chi lo sa, tanto da aver rinunciato a vivere pur di non perderla. E proprio tu (Catone) lo sai perchè non ti fu amara la morte in Utica, dove lasciasti il tuo corpo, il quale nel gran giorno (quello del Giudizio Universale) sarà così splendente”.

Catone, di cui si parla in questo passo del Purgatorio, fu colui che al seguito dell’esercito di Pompeo, si oppose a Giulio Cesare e assediato in Utica, un paese a nord di Cartagine, nell’Africa settentrionale, si suicidò, secondo una prassi aristocratica dell’antica Roma, pur di non cadere nella schiavitù paventata dalla vittoria di Giulio Cesare.

Sorge quindi una domanda: come mai un suicida non è nell’Inferno? Dal momento che il suicidio in Teologia viene considerato violenza contro se stesso e quindi contro l’Amore di Dio che ha donato la vita?

Bisogna considerare che Dante considerò il suicidio di Catone non come violenza contro se stesso, ma come un ineffabile sacrificio compiuto per dare agli altri un esempio di fortezza, per accendere nel mondo l’amore della libertà.

In più Dante considerava Catone, come anche altri esponenti del mondo pagano, come una persona che serbava in sè la così detta “Fides implicita” teorizzata dalla Teologia medievale, in base alla quale era possibile anche per un pagano salvarsi, entro i limiti della imperscrutabile volontà di Dio.

Quindi, Dante sceglie Catone come guardiano dell’accesso alla sacra montagna del Purgatorio, perchè lo considera un martire della libertà, ma anche per la sua grande venerazione verso il mondo classico greco-romano, in cui egli vedeva nella figura dei grandi poeti, come Virgilio, e dei grandi filosofi come Platone e Aristotele, dei veri portatori della Sapienza divina, quasi come dei profeti di Cristo ante litteram.

Antonio Bosna