Re Baldovino e la Democrazia Cristiana
Lo scorso 29 settembre, durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Lussemburgo e Belgio, Papa Francesco ha tenuto una conferenza stampa trattando vari temi. Valérie Dupont, della stampa belga di lingua francese, a proposito delle parole pronunciate dal Papa sulla tomba di Re Baldovino – che rifiutò di promulgare nel 1990 la legge sull’aborto – ha chiesto al Santo Padre quanto il processo di beatificazione del Sovrano sia legato a quel diniego e come sarebbe possibile «far coincidere il diritto alla vita, la difesa della vita, e anche il diritto delle donne ad avere una vita senza sofferenze?».
La risposta di Papa Francesco: «Sono tutte vite. Il re è stato coraggioso perché, davanti a una legge di morte, lui non ha firmato e si è dimesso. Ci vuole coraggio! Ci vuole un politico “con pantaloni” per fare questo, ci vuole coraggio. Questa è una situazione speciale e lui con questo ha dato anche un messaggio. E lui lo ha fatto anche perché era un santo. Quell’uomo è santo e il processo di beatificazione andrà avanti, perché mi ha dato prova di questo. Le donne. Le donne hanno diritto alla vita: alla vita loro, alla vita dei figli. Non dimentichiamo di dire questo: un aborto è un omicidio. La scienza dice che già a un mese dal concepimento ci sono tutti gli organi. Si mata un essere umano, si uccide un essere umano. E i medici che si prestano a questo sono – permettimi la parola – sono sicari. Sono dei sicari. E su questo non si può discutere. Si uccide una vita umana. E le donne hanno il diritto di proteggere la vita. Un’altra cosa sono i metodi anticoncezionali, questo è un’altra cosa. Non bisogna confondere. Io parlo adesso soltanto dell’aborto. E su questo non si può discutere. Scusami, ma è la verità! Grazie».
(https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2024/september/documents/20240929-belgio-voloritorno.html).
Scomparso nel 1993, Giovanni Paolo II, nella Regina Coeli pregata a Bruxelles il 4 giugno 1995, ringraziò Maria «Madre della Grazia divina, per il Re Baldovino, per la sua fede incrollabile e per l’esempio di vita che ha lasciato ai suoi concittadini e a tutta l’Europa. Ti ringraziamo per la forza che ha dimostrato nella difesa dei diritti di Dio e dei diritti dell’uomo, e in particolare del diritto alla vita del nascituro. Ho avuto la gioia di conoscere la profondità dello spirito di Re Baldovino, la sua eccezionale e ardente pietà cristocentrica e insieme mariana. Come non ringraziare lo Spirito Santo per ciò che ha compiuto nell’anima del Re defunto? Che grande esempio ci ha lasciato! Che grande esempio ha lasciato ai suoi concittadini» (https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/angelus/1995/documents/hf_jp-ii_reg_19950604.html).
Era accaduto che, nel 1990, l’allora sessantenne Sovrano Baldovino di Sassonia Coburgo coniugato con Fabiola de Mora y Aragón, regina cattolica, dama di carità, scrittrice di fiabe, dinanzi alla legge sull’aborto approvata dalla coalizione governativa formata da democristiani e socialisti, si era rifiutato di promulgarla perché nettamente contrario all’aborto. Il Re era pronto ad abdicare ma, con un espediente, il governo guidato dal Primo Ministro democristiano Wilfried Martens, sospese per due giorni il Re dalle sue funzioni, il tempo necessario per promulgare la legge.
La suddetta vicenda ci ha portato indietro nel tempo quando, fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta, l’Italia cominciò ad “aprirsi al progresso” ed ai “diritti civili” con la legge sul divorzio approvata ai primi di dicembre del 1970; inseguito fu la volta dell’aborto.
Abbiamo vaghissimi ricordi di quel 1970, ricordiamo invece quanto avvenne quattro anni dopo, nell’incandescente 1974. È da premettere che il professor Gabrio Lombardi a capo del Comitato promotore per l’abolizione del divorzio promosse una raccolta di firme tesa ad indire un Referendum abrogativo. Eravamo adolescenti e, per quanto capissimo proprio nulla, di quella campagna referendaria ci rimase impresso, seppur confusamente, quello che non era uno slogan, ma un passaparola, un modo di essere certi di votare contro il divorzio per abrogarlo: «Noi diciamo No al divorzio, ma per abrogarlo dobbiamo votare Sì sulla scheda».
Il Referendum tenutosi il 12-13 maggio 1974 fu vinto dalle forze pro divorzio, PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI, Radicali, estrema sinistra che ebbero la meglio su DC e MSI-DN che, in aperta conflittualità fra di loro, si pronunciarono per l’abolizione.
Ma com’era stato possibile che il divorzio avesse preso corpo in un Paese come il nostro dove la tanto decantata e “forte” DC, prima forza politica – seguita dal PCI – veniva definita “partito dei cattolici”, “partito di Cristo”, ecc. Era una domanda che ci ponevamo di frequente e, quando cominciammo ad appassionarci alla Storia, approfondimmo la questione.
Ci fu d’aiuto un sacerdote che chiarì gli aspetti della vicenda e di come la DC fosse stata la principale colpevole non solo per il divorzio, ma anche per l’aborto approvato nel maggio 1978. Ebbene, quel sacerdote ci raccontò cosa fece, nel suo piccolo, ben prima che il divorzio diventasse legge nel dicembre 1970.
All’epoca era in auge il Governo retto dal democristiano Emilio Colombo appoggiato da DC, PSI, PSDI, PRI; all’opposizione erano PCI e PLI favorevoli al divorzio; monarchici e missini contrari. Il citato sacerdote incontrò notabili ed esponenti dc per sapere come il “partito dei cattolici” intendesse fronteggiare il pericolo divorzio che minacciava la famiglia. Divorò chilometri di strada, salì in fretta le scale del potere dc e, quando fu a tu per tu con alcuni esponenti del “partito dei cattolici” le cose andarono pressappoco come segue; teniamo conto che il sacerdote non era addentro ai meccanismi ed ai tecnicismi parlamentari.
Allora cosa si può fare affinché il divorzio non diventi legge? chiedeva il sacerdote.
Padre noi siamo contrari e voteremo contro, solo che, i nostri alleati di governo sono a favore ed i loro voti, aggiunti a quelli dei comunisti, favoriscono il divorzio, precisarono i democristiani.
Quindi, non ci sono soluzioni per evitare il divorzio, evidenziava mestamente il sacerdote.
Beh forse una soluzione ci sarebbe: far cadere il governo! precisò uno degli astanti democristiani.
Ah, e allora si fa cadere il governo, esultò il sacerdote.
Spegnendo sul nascere le speranze del pastore, i democristiani si affrettarono a precisare: Eh no padre, non si può far cadere il governo perché così verrebbe meno l’ordine repubblicano a cui il nostro partito si uniforma.
Ah, se per voi è più importante l’ordine repubblicano della famiglia… tagliò corto il sacerdote.
Il sacerdote ebbe a dirci che non si era mai fidato della DC.
Per i fatti storici va evidenziato che, in campo democristiano, chi si batté convintamente e duramente per l’abrogazione del divorzio durante la campagna referendaria del 1974 fu il segretario Amintore Fanfani. Per nulla supportato dal suo partito, ingaggiò una battaglia isolata ma tenace, che non gli evitò la sconfitta.
Eppure un qualcosa di simile a quanto proposto da quel sacerdote, far cadere il governo quando viene minacciata la famiglia, accadde nel 1976 per quel che concerne l’aborto.
Era in carica, dal 12 febbraio, il V Governo Moro sostenuto da DC e PSDI e dalle astensioni di PSI e PRI. Incombeva sulla legislatura un referendum abrogativo – in programma a giugno – delle norme sull’aborto, promosso dall’Espresso, Lega 13 maggio e Partito Radicale. Naturalmente, se fosse intervenuta una nuova legge la consultazione non avrebbe avuto luogo.
Il 1° aprile, mentre era in discussione alla Camera il testo in questione – frutto di un compromesso con il PCI – un voto a sorpresa reintroduceva il principio secondo cui l’aborto è sempre reato. L’emendamento antiabortista appoggiato da DC e MSI passava per soli 5 voti, grazie anche alle assenze di 14 deputati su 30 del PSDI e di 6 su 20 del PLI. Il Governo Moro cadeva e, venendo sciolte le Camere, il Referendum non aveva luogo.
La legge sull’aborto veniva approvata nel maggio 1978 durante il Compromesso Storico DC-PCI ma, in tal caso, i democristiani non se la sentirono di porre fine all’esecutivo presieduto da Giulio Andreotti retto dalla atavica e naturale alleanza de facto con i comunisti.
Alcuni settori del mondo cattolico criticarono severamente la DC facendo notare come, sulla Gazzetta Ufficiale del 22 maggio 1978, la legge n. 194 che autorizzava l’aborto, recasse le firme di parlamentari tutti democristiani: il presidente della Repubblica Giovanni Leone, il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e dei Ministri, Tina Anselmi (Sanità), Francesco Bonifacio (Grazia e Giustizia), Tommaso Morlino (Bilancio e della Programmazione Economica), Filippo Maria Pandolfi (Tesoro).
L’ordine repubblicano era salvo.
Michele Salomone