Realtà virtuale e pensiero unico. Ne parliamo con Diego Fusaro.
Nella Grecia presocratica la comunicazione avveniva unicamente per via orale, stimolando i neuroni del nostro cervello. Platone fu testimone del passaggio dall’oralità alla scrittura nella civiltà greca e occidentale.
Oggi stiamo assistendo ad un’altra rivoluzione culturale e antropologica, dovuta all’uso di nuove tecniche: dagli schermi virtuali alle macchine computerizzate, all’Intelligenza Artificiale. Viviamo in un’epoca in cui il nostro modo di vivere ha subìto enormi cambiamenti .
Siamo diventati dipendenti dalla realtà virtuale e non riusciamo più a distaccarcene divenendo vittime del pensiero unico?
Risponde il filosofo Diego Fusaro docente di Storia della Filosofia presso l’ Iassp ( Istituto alti studi strategici e politici ) di Milano, dove è anche direttore del dipartimento di Filosofia politica. Ideatore del sito internet www.filosofico.net , ha scritto libri di successo come Bentornato Marx! (Bompiani 2009), Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (Bompiani 2012), Pensare altrimenti (Einaudi 2017), Il nuovo ordine erotico (Rizzoli 2018), Glebalizzazione (Rizzoli 2019), Difendere chi siamo (Rizzoli 2020), Demofobia (Rizzoli 2023).
“Proprio così, il pensiero unico diventa una sorta di ideologia che non consente deviazioni di percorso e che impone a tutti di pensare il medesimo. Accade che tutti pensano il medesimo, perché in realtà nessuno sta pensando e tutti semplicemente si adattano al conformismo dominante”.
Come si è arrivati alla dittattura del pensiero unico, forse perchè l’uomo pur di non essere emarginato segue il gregge senza porsi domande?
Già nel mio libro “Pensare altrimenti” ho provato a spiegare come il pensiero unico sia divenuto dominante nella misura in cui ha trionfato il capitalismo che così è riuscito a porre dopo il 1989 una superstruttura ideologica di glorificazione del suo rapporto di forza dominante. Questo è nell’essenziale il pensiero unico e così si spiega il suo dominio a partire dagli anni novanta.
Il pensiero unico “politicamente corretto” lo definisce anche “eticamente corrotto”. Vuole spiegarne i motivi?
Lo definisco eticamente corrotto non tanto per motivi moralistici, ma per motivi filosofici, intendendo l’etico nel senso hegeliano del radicamento comunitario e valoriale di una società. Il pensiero unico politicamente corretto è anche eticamente corrotto poiché disgrega tutti i fondamenti del vivere comunitario, dalla scuola al sindacato, dalla sanità allo Stato, ridefinendo l’intera società come un unico mercato concorrenziale.
La manipolazione mentale massmediale in che percentuale ha impedito di ragionare secondo un spirito critico?
Non saprei dirle la percentuale esatta, e non voglio azzardare ipotesi che potrebbero essere sbagliate, ma credo davvero che la massima parte dei soggetti nel quadrante occidentale siano oggi manipolati dal pensiero unico che li induce a muoversi come i cavernicoli di cui parlava Platone, i quali amano le loro catene e sono anzi disposti a battersi in loro difesa.
L’ideologia Woke nata negli USA per lottare contro il razzismo e la disuguaglianza ha cambiato volto ovvero si è trasformata in “cancel culture” minacciando la libertà di espressione. Ma la verità viene sempre a galla anche se messa forzatamente a tacere?
Quella che viene chiamata ideologia woke non è altro che il neoliberismo applicato alla sfera dei costumi, per questo quelli che disapprovano il woke senza criticare il capitalismo e magari anzi elogiandolo si trovano nella stessa condizione paradossale di chi combatte gli effetti coltivando le cause.
Il filosofo ha ancora la possibilità di contribuire, offrendo i mezzi necessari, alla promozione di un dibattito costruttivo in cui si giunge alla verità a scapito del relativismo soprattutto etico, morale e religioso?
Il filosofo se ha ancora un senso e io credo che ce l’abbia, oggi più che mai deve continuare a comprendere il proprio tempo storico nei concetti ponendolo in connessione con l’eternità, per riprendere le formulazioni di Hegel. Per promuovere un dibattito occorre naturalmente che vi siano interlocutori disposti al dialogo socratico, cosa oggi non così frequente. Tuttavia il filosofo deve continuare a essere la coscienza critica del proprio tempo mostrando la falsità del nostro presente e l’esigenza di superarlo in nome della ricerca della verità e del bene.
Che cos’è la verità?
Questa era la domanda di Ponzio Pilato, alla quale sinteticamente risponderei che la verità non è un corretto accertamento di parti della realtà, poiché questa è la certezza scientifica. La verità di cui si occupa la filosofia riguarda il processo con cui l’Idea si realizza nella storia, e l’umanità diventa sempre più libera e consapevole di sé: il processo che culmina nell’identità di soggetto e oggetto diremmo con Hegel e dunque nella piena razionalità del mondo finalmente conforme all’essere umano.
C’è dialogo senza verità ?
In assenza della verità e della ricerca della medesima vi è soltanto il monologo fintamente pluralistico della civiltà di massa contemporanea o tutt’al più il dialogo postmoderno e relativistico alla Richard rorty, del tutto diverso dal dialogo socratico in cui si cerca insieme la verità.
L’A.I. apprende, memorizza, lavora, consiglia, parla… il cervello umano è destinato a diventare un semplice contenitore dai neuroni atrofizzati?
L’intelligenza artificiale non è un’intelligenza ma è solo un calcolo, per questo il cervello umano nella sua capacità di pensare e di essere portatore del logos non potrà mai essere sostituito dall’intelligenza artificiale.
Quali gli altri effetti negativi della digitalizzazione?
La digitalizzazione pone in essere un sistema di controllo sempre più capillare, che anche è stato definito capitalismo della sorveglianza.
Pensa che Socrate con la sua ironia avrebbe utilizzato la comunicazione digitale per portare alla luce la verità attraverso la maieutica?
Probabilmente Socrate avrebbe utilizzato anche gli strumenti del mondo moderno per far valere le ragioni del dialogo, perché no?
L’iperconnettività porta l’individuo a rimanere isolato creandosi un mondo illusorio in cui navigare e trovare la felicità? Una nuova droga per evadere dalla realtà anzichè affrontarla?
Questo è esattamente il paradosso della società digitalizzata, fatta di community di individui isolati, che sono permanentemente connessi al digitale e sconnessi dal reale, collegati con il mondo intero e al tempo stesso isolati nella solitudine della loro stanza. È il tempo delle solitudini connesse via internet.
In questo isolamento l’individuo si rende più plagiabile non rendendosi conto di essere in una prigione?
Una delle tesi che vado sostenendo e argomentando da tempo è che l’ordine capitalistico contemporaneo sia un totalitarismo glamour, analogo alla caverna di Platone in cui gli internati amano le proprie catene e la loro più o meno confortevole servitù.
Quale il giusto antidoto?
Anzitutto capire che quella che crediamo essere la massima libertà possibile oggi non è altro se non una caverna da cui abbiamo il dovere di provare a uscire insieme.
Cosa intende dire con lo slogan “L’indipendenza è la nostra forza”?
Il fatto che oggi si può essere pensatori e magari anche filosofi e non semplici esponenti del clero mediatico di accompagnamento delle classi dominanti se non si dipende da dette classi dominanti e dunque non si è vincolati a fornire loro i quadri ideologici fondamentali per il loro dominio.
Quale il compito del filosofo in questa pericolosa situazione che mina la libertà di espressione e l’umanità stessa e minacciando lo sviluppo del pensiero autonomo delle nuove generazioni in balìa della didattica digitale?
Certamente il filosofo deve confutare i sofisti, come ci ha insegnato Platone, e di sofisti ve ne sono decisamente di più che ai tempi di Platone, soprattutto nel sistema mediatico giornalistico e televisivo, abitato da soggettività che alla stregua dei sofisti spacciano per verità l’interesse dei gruppi dominanti.
Cinzia Notaro