Rito romano antico, ne parliamo con Don Hubert de Salaberry
Abbiamo intervistato Don Hubert de Salaberry già vicario della chiesa dei santi Michael e Gaetano a Firenze, dopo l’apostolato presso la parrocchia S.Maria degli Angeli di Lecce, nel 2019 è stato nominato rettore della chiesa di Sant’Anna situata nel centro storico della stessa città. In stile barocco, fu edificata nel 1680 su richiesta testamentaria di Bernardino Verardi.
In questa chiesa dopo dodici anni dalla Domenica in albis del 2009, su iniziativa di un gruppo di fedeli fece ritorno in forma pubblica la messa secondo il Vetus Ordo.
I fedeli sono liberi di scegliere o la Messa Vetus Ordo o quella Novus Ordo. La Messa è sostanzialmente la stessa di sempre in entrambi i casi. Cambiano solo le forme cerimoniali e le rubriche?
Preambolo. Il Messale romano promulgato da Paolo VI è l’espressione ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino, mentre quello approvato da s. Pio V deve essere considerato come espressione straordinaria della stessa lex orandi e ambedue fanno parte dell’unico rito romano. Non c’è dunque nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale romanum. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura» [Benedetto XVI, Motu proprio e Lettera ai vescovi, 7 luglio 2007].
D. Quindi si può dire che Il Motu proprio è un documento nell’ottica della continuità e della riconciliazione ovvero una sconfessione dell’ermeneutica della rottura?
R. L’intenzione del Santo Padre, nella promulgazione del Motu proprio, va nella direzione della riconciliazione; l’abolizione di un rito si giustifica solo nella misura in cui detto rito può portare al rischio di deviazioni dottrinali: fu così che, nella storia bimillenaria della Chiesa, abbiamo assistito all’abolizione di riti che non davano completa garanzia di purezza dottrinale. Il cosiddetto rito di San Pio V, proprio perché riordinato a seguito del Concilio di Trento, in un’epoca in cui la Chiesa faceva molta attenzione alla presentazione più limpida possibile del messaggio di Gesù, non presenta nessun problema; la promulgazione del nuovo Messale lasciò un vuoto giuridico riguardo il vecchio Messale, che come tale non poteva essere soppresso perché autentico e dottrinalmente perfetto: Papa Benedetto ha rimediato a tale vuoto.
D. La lingua latina dovrebbe essere la lingua ufficiale della Chiesa d’Occidente in rapporto alla continuità di un patrimonio di fede. Infatti il latino ha incarnato la preghiera ecclesiale occidentale per oltre milleseicento anni garantendo unità di fede, unità nel tempo, unità nello spazio. Vero?
R. La lingua latina è ancora la lingua ufficiale della Chiesa in tutti i suoi atti disciplinari, dottrinari e liturgici. L’uso della lingua nazionale è una possibilità introdotta con il nuovo messale del 1969, la cui edizione tipica è comunque in lingua latina.
D. La lingua latina, non accessibile a tanti, può costituire anche un ostacolo non piccolo per la necessaria comprensione di quella parte della liturgia nella quale il Signore parla, ammaestra i suoi discepoli attraverso la testimonianza delle Sacre Scritture?
R. Il punto importante è che il culto divino è un atto di giustizia verso Dio: non si va a Messa per capire ma per adorare. La catechesi, al di fuori del culto pubblico, ci dà gli strumenti per comprendere ciò che nel culto avviene. Anche all’opera, dove le luci sono basse, non si va col libretto per seguire i testi: ci si prepara prima per poter in seguito comprendere meglio la rappresentazione scenica.
D. Ogni sacerdote di rito latino può usare liberamente il Messale del 1962 (art. 2). Il sacerdote quindi non ha bisogno della Sede Apostolica e tanto meno del suo ordinario. Questo esprime un reale mutamento rispetto alla normativa in vigore dal 1984, perché ciò che prima era una concessione o indulto, adesso è norma e qualunque fedele può accedere (art. 2 e 4). Ci vuole spiegare perché l’uso del Messale del 1962 non è consentito “nel Triduo Sacro”, proprio nella principale festività cristiana?
R. Su questo punto specifico è bene fare una distinzione. Le comunità che hanno l’uso dei libri liturgici conformi all’edizione tipica anteriore al 1969 celebrano anche il Triduo Sacro con l’usus antiquior della liturgia romana. Le norme citate nella domanda riguardano quei sacerdoti che usualmente adottano il Messale promulgato da Paolo VI, non essendo essi obbligati a chiedere il permesso di utilizzare l’antico messale nella loro Messa privata o su richiesta di un gruppo specifico di fedeli; tuttavia sono tenuti a celebrare il Sacro triduo secondo la forma ordinaria del loro rito, perché i riti della Settimana Santa non possono mai svolgersi in forma privata. Del resto, anche nelle comunità che si servono dei libri liturgici anteriori al 1969, i singoli sacerdoti non possono dire le Messe private nei giorni del Triduo Sacro.
D. Le risulta che fedeli affezionati alla liturgia della forma tradizionale appartenenti a parrocchie diverse possano disporre di una parrocchia personale con la possibilità di far utilizzare dal ministro idoneo, il rituale più antico per il Battesimo, la Penitenza, il Matrimonio e l’unzione degli infermi?
R. L’accesso ai Sacramenti celebrati con i libri liturgici anteriori alla riforma del 1969 viene disciplinato in ogni Diocesi in accordo e secondo le indicazioni dell’Ordinario del luogo; qui a Lecce, i fedeli che partecipano abitualmente alla forma straordinaria del rito romano, possono ricevere tutti sacramenti seguendo questa forma del rito.
D. Il parroco però è pregato di concedere ai sacerdoti preposti, una sola celebrazione la Domenica e le feste e nessuna limitazione nei giorni feriali. E’ ciò che accade nella chiesa di sant’Anna dove celebra?
R. Come per il Triduo Sacro, questa limitazione vale nel caso di sacerdoti che usualmente celebrano col Messale promulgato da Paolo VI; la nostra comunità segue esclusivamente l’usus antiquior, quindi non è tenuta a questa limitazione, ma è soggetta alle norme del diritto canonico.
D. “Lex Domini irreprehensibilis convertens animas”. La liturgia si dice sia il libro dei poveri di spirito, il luogo dove si attende la venuta del Signore, luogo di meditazione e di ascolto della Parola di Dio per la conversione del cuore. In sintesi cosa è la liturgia?
R. Da un punto di vista dottrinale, la liturgia è il culto pubblico della Chiesa, Corpo mistico di Cristo; da quello spirituale invece, la liturgia è il luogo ove ad ogni fedele è dato realmente di incontrare Cristo, di rivolgersi a Lui con le parole che lo Spirito Santo ispira, ed è il mezzo più sicuro dato all’uomo per incarnare il vangelo del Signore e di vivere poi di esso.
D. Il canto gregoriano anche accompagnato dall’organo rappresenta una musica celestiale che sale come profumo d’incenso dinanzi alla maestà di Dio. Io lo definisco il canto dell’anima che ispira alla contemplazione del mistero. La musica profana non dovrebbe avere posto nelle assemblee liturgiche. Che ne pensa?
R. Penso che quello che Lei dice sia giusto: il canto gregoriano piace a tutti perché ha una connotazione eterna; ci porta nella dimensione di Dio che è l’eternità. La musica profana, anche molto bella, appartiene ad un determinato periodo storico circoscritto con le sue agitazioni, tensioni e frenesie e non può interagire con la liturgia che è al di fuori del tempo e dello spazio.
D. Nella messa tridentina inoltre non c’è pericolo di dispersione dei frammenti consacrati attraverso la distribuzione della comunione sulla lingua con il piattino ed è vietata la distribuzione della particola sulla mano (ricordiamo che fino al 1989 era un sacrilegio toccare il Santissimo) anche per evitare sacrilegi. Paolo VI cercò di arginarla con l’istruzione Memoriale Domini, in cui si stabiliva che il divieto di dare la Comunione sulla mano doveva essere universalmente preservato, ma che, lì (e soltanto lì) dove l’uso era già stato introdotto in modo abusivo e aveva messo radici tali che i vescovi della conferenza episcopale locale consideravano che non c’era altra scelta che tollerarla, “Il Santo Padre […] concede che, sul territorio della Conferenza Episcopale, ciascun vescovo, secondo la sua prudenza e la sua coscienza, possa autorizzare nella propria diocesi l’introduzione del nuovo rito per distribuire la Comunione”. Oggi è diventato un diritto. Alcuni la definiscono la “disobbedienza legittimata”.
R. Onestamente non saprei dare un giudizio d’ordine generale su questa prassi, la cui origine recente, come Lei nota, è indubbiamente indebita. La forma straordinaria del Rito Romano ha in effetti l’immenso e incommensurabile pregio di proteggere la devozione e il culto di adorazione che si devono portare all’augustissimo Sacramento eucaristico.
D. Crede che la crisi della Chiesa e delle vocazioni siano da ricercare nella perdita della fede che la liturgia tridentina riusciva a trasmettere?
R. Questa domanda necessita di una visione di insieme ampia che io temo di non avere. Credo che negli anni ’60 si fosse pensato (sbagliando come hanno dimostrato esperienze successive) che la liturgia cosiddetta tridentina non avesse più nulla da dire. Proprio per il senso di adorazione e di mistero che essa trasmette, la liturgia tridentina può aiutare i Pastori in un’opera d’ intensa e nuova evangelizzazione e quello che mi permetto di auspicare è che, senza pregiudizi, molti Presuli ne riscoprano l’immenso valore e le grandi potenzialità di far conoscere ed accogliere Cristo luce del mondo.
Cinzia Notaro