“Signore Gesù Cristo, figlio di  Dio, abbi pietà di me peccatore”

“Signore Gesù Cristo, figlio di  Dio, abbi pietà di me peccatore”.

E’ la preghiera , le cui origini coincidono con quelle del monachesimo in Egitto, l’epoca dei Padri del deserto e che si è imposta nell’ultima età bizantina nei Paesi slavi e in Russia.

E’ l’orazione che unisce mente e cuore, la preghiera incessante, perpetua che libera dai pensieri, per fare spazio a quell’intima unione della creatura col suo Creatore giungendo ad adorare Dio in spirito e verità (Giovanni 4,24), e ancora è un atto di continua memoria di Dio in obbedienza alle parole della Scrittura di pregare ininterrottamente (1 Ts 5,17).

Così iniziano i “Racconti di un pellegrino russo”, un libro del 1881 pubblicato a Kazan, che ha avuto un grande successo editoriale.

L’autore, lo ieromonaco Arsenij Troepol’sKij (1804-1870) sembra narrare nelle numerose peregrinazioni  del protagonista le proprie vicende monastiche e spirituali, assicurando che il suo “eroe” sia veramente esistito.

Il personaggio si definisce uomo e cristiano, peccatore, pellegrino senza dimora per vocazione, di umile provenienza, proprietario solo di una bisaccia di pan biscotto sulle spalle, della Sacra Bibbia sotto la camicia e di un vecchio libro, la Filocalia risalente al 1782, edito da due monaci dell’Athos e dedicato alla contemplazione della luce divina: una summa di opere ascetico-spirituali di un periodo storico che  va dall’antico monachesimo egiziano agli autori palestinesi e del Monte Sion, fino ai monaci medievali del Monte Athos.
A tale edizione greca seguirono quella slava  del Dobrotolubie di Paisij VelicKovsKij ( 1793 ) e quelle russe, di cui una curata da Teofane il Recluso (Govorov).

La lettura della Filocalia fa percorrere un cammino spirituale per sgomberare la mente dai pensieri inutili, turbolenti, dalla suggestione per sottometterla attraverso  l’invocazione “Signore Gesù Cristo, figlio di  Dio, abbi pietà di me peccatore” alla signoria di Cristo, riservando a Lui solo il tempo, l’attenzione, il desiderio.

E allora il nostro spirito troverà la pace e la forza di combattere contro le insidie del mondo e di rimanere dinanzi alle più dure prove e ai più aspri combattimenti, lucidi e calmi sicuri della protezione dell’Altissimo e della sua promessa di non abbandonarci mai.

Ciò sperimentò nelle sue avventure e anche quando gli mancò il necessario per mangiare e coprirsi, quando fu malmenato, insultato, derubato non cessò mai di avere fiducia nella Divina Provvidenza
ripetendo nel suo cuore “Gesù, figlio di Dio abbi pietà di me peccatore” e con umiltà sopportando la prepotenza, la malvagità degli uomini come  predisposte dalla Divina Provvidenza al fine di crescere e
maturare nella fede e come occasione per convertire e far ravvedere dalla loro condotta peccaminosa quanti il Signore metteva sulla sua strada.

La preghiera non deve finire mai: mentre si parla, si mangia, si cammina, si è seduti… perché il regno di Dio è dentro di noi (Luca 17,21) ed è pace e gioia nello Spirito Santo (Romani 14,17). Il mistero della salvezza è racchiuso nella preghiera insistente, costante, perseverante, un’arma potente che mette in fuga i nemici e come diceva San Giovanni Climaco: “Quando l’anima è oscurata dai pensieri impuri ripeti il nome SS. di Gesù per disperdere le tenebre!”

Gli insegnamenti dei santi Padri ci devono persuadere che senza la preghiera non si può raggiungere la perfezione spirituale.

Ma quale il principale frutto della preghiera? Teofane così risponde :”Non è il calore, tantomeno la dolcezza, ma il timore di Dio e la contrizione”.

Talvolta  la ripetizione della preghiera “Signore Gesu’ Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore” (che si può anche recitare al plurale quando si vuole pregare per più persone), è preceduta da tecniche psicofisiche tendenzialmente simili a quelle islamiche e indiane : “Chiudi la porta, siediti in un angolo a gambe incrociate, o curvo con la testa tra le ginocchia, comprimi l’inspirazione che passa per il naso, volgi l’occhio del corpo nel centro del ventre, esplora con la mente l’interno delle viscere per trovare il luogo del cuore, dove risiedono le potenze dell’anima…” all’inizio si troveranno tenebre e durezza invincibili, ma dopo perseverando notte e giorno, una felicità infinita perché si arriverà ad annientare prima del suo nascere ogni pensiero causa di tribolazioni.

Niceforo l’Esicasta, un italiano divenuto monaco sul monte Athos, in un opuscolo sulla “Custodia del cuore” (nella seconda meta’ del XIII secolo) scrive: ” Chiuditi dentro la tua camera, siediti in un angolo,
raccogli la tua mente  e introducila nel naso. E’ la via  attraverso al quale il respiro scende nel cuore. e prega “Gesù figlio di Dio abbi pietà di me peccatore” e medita senza alcuna sosta”. Un anonimo monaco
bizantino  vi aggiunse : “Se noi abituiamo la nostra mente a scendere per la via del respiro non ci sarà più la schizofrenia, il doppio pensiero, perché la mente e il cuore procederanno ad unisono avendo per oggetto un unico desiderio di conformarsi alla volontà divina invocando il SS. nome di Gesù”.

In questo modo il corpo è come risuscitato, attraverso la purificazione della mente, divenendo quasi uguale agli angeli, e quindi incorporeo e come tale incorruttibile.

La carne appare come trasfigurata e avvolta di uno splendore oltre che luminoso, fiammeggiante, in quanto la luce contemplata dalla mente all’interno del cuore, si rflette sul volto e sulle membra di chi prega. Allo stesso modo risplendeva il volto di Mosè ( Es 34,34-35) e il volto di Stefano ( At 6,15).