Silvia aveva sete. Nessuno di noi le ha indicato la Fonte.

Gesù-e-la-samaritana

Silvia Romano, una ragazza di 23 anni cooperante in Kenya per conto della onlus “Africa Milele”, è finalmente libera dopo essere stata vittima del rapimento avvenuto il 20 novembre 2018 nel villaggio di Chacama in Africa. La liberazione della giovane è stato un accadimento che ha fatto breccia tra le monopolizzanti ed asfissianti notizie del coronavirus.

L’episodio, che ha avuto notevole risalto mediatico, ha dato luogo ad una coda di polemiche di ogni genere e specie, come è normale che sia nella terra dei Guelfi e dei Ghibellini. Da alcune parti si è criticato l’atteggiamento del governo che sarebbe sceso a patti con i sequestratori, da altra parte si è disapprovato l’intervento della Turchia nelle trattative, dalla maggior parte si è censurato il pagamento del riscatto la cui somma poteva essere destinata a questioni più impellenti. Ciò che però lascia perplessi è che in questa società ipersecolarizzata, dove tutto è sacrificato sull’altare dell’utilitarismo, si è tirata in ballo persino la scelta della ragazza di aderire all’islam, decisione manifestata plasticamente quando ha sceso le scale dell’aereo di Stato sfoggiando una tenuta islamica di colore verde.

Se è legittima ogni critica rivolta al governo, che tutto sommato rappresenta i cittadini, ingiustificato, capzioso e partigiano appare ogni giudizio relativo alla scelta di vita che l’adesione all’islam comporterà alla ragazza.

Ma per intiepidire l’adesione all’islam e renderla più accettabile ad un mondo che ha messo ai margini non solo Dio ma ogni domanda esistenziale che l’uomo da sempre si è posto, l’intelligencija  di questo Paese ha fatto ricorso al parere di esperti secondo i quali sarà necessario aspettare per sapere se si tratti di vera conversione e non di una scelta opportunistica, molto più gradita al nostro mondo, come sarebbe avvenuto in altri casi simili, nei quali i sequestrati hanno simulato per ottenere un miglior trattamento da parte dei sequestratori.

Ma chi può leggere i cuori per capire se si tratti di vera conversione? E poi, cos’è la conversione?

La conversione è l’abbandono della vecchia vita, è il guardare con occhi diversi l’esistente, è valutare diversamente da prima le persone e le cose che ci sono intorno dando a tutti questi una nuova collocazione nella scala delle priorità della vita dando un valore differente alla nostra stessa esistenza: perché dov’è il vostro tesoro là sarà pure il vostro cuore (Matteo 6, 19-23). La conversione, quella vera, può essere istantanea o durare tutta una vita. Proprio per sottolineare questo cambiamento radicale di vita dovuto alla conversione è d’uso, anche nel mondo cristiano, cambiare nome, e proprio per questo Silvia Romano ha cambiato il proprio nome in Aisha.

Di fronte ad una scelta del genere, nessuno ha il diritto di starnazzare contro; come nessuno ha il diritto di sottovalutare l’evento elucubrando in ordine alla libertà che forse non avrebbe avuto e che quindi sminuirebbe la portata della sua scelta, o di porsi in quella posizione passiva di attesa che qualcosa possa fatalmente cambiare o che nulla sia accaduto.

L’adesione di Silvia all’islam invece ci interpella. Ci pone delle domande dure come pietre: per abbracciare l’islam, questa ragazza, probabilmente battezzata in Cristo, ha avuto la grazia di conoscerlo? Incontrare Cristo, in questo Occidente, è diventato sempre più difficile e ciò perché tutti, prelati, chierici e semplici battezzati siamo impegnati nel fare qualcosa, qualcosa di buono, anche di gratuito. Tanta è la frenesia occidentale del fare che ci porta a dimenticare il motivo per il quale ci attiviamo e quale sia lo scopo finale di tutta questa giostra. Si lavora, a volte si fa del bene, a volte no, ma non abbiamo il tempo di interrogarci su cosa sia il bene e cosa il male. Anche Silvia era intenzionata a compiere del bene per il prossimo, tant’è che ha deciso di andare in Africa guadagnandosi, al momento della liberazione dai sequestratori, l’elogio di Riccardi della Comunità di Sant’Egidio che per lei e per tutti quelli come lei ha espresso queste parole: “Sono la parte migliore del nostro Paese perché si dedicano con generosità agli ultimi e costruiscono il futuro dell’Italia nel mondo globalizzato”, e i sentimenti di filiazione da parte del presidente della CEI che vede la ragazza “spinta da fortissimi motivi anche religiosi ma umanitari”. Come non cogliere nelle reazioni che sono seguite il grande limite della cultura material-nichilista occidentale?

Dalla cronaca emergerebbe che Silvia ha dato sé stessa per il prossimo ma il solo fare del bene non le bastava, e nella difficoltà del rapimento, nel deserto di questa esperienza, non avendo con sé quelle motivazioni radicali che noi Chiesa avremmo dovuto offrirle, e che danno senso e pienezza all’agire umano, si è abbeverata ad altri pozzi la cui acqua non disseta (Giovanni 4, 13-14).

Stando alle dichiarazioni rilasciate da Silvia, sarebbe stata lei, a richiedere una copia del Corano per poterlo leggere e da questa lettura sarebbe derivata la sua volontà di diventare Aisha, musulmana.

Che la decisione di Silvia sia stata una decisione libera non deve scandalizzarci né sorprenderci se è vero come è vero che dalle parti nostre c’è imbarazzo nel parlare di Dio, nell’accennare alla vita eterna. Noi, a differenza degli altri, ci sentiamo superiori, adulti… ma se non saremo bambini non entreremo nel Regno dei cieli (Matteo 18, 3-4).

Mi chiedo: quand’è l’ultima volta che ho parlato di Cristo in famiglia? Che fine ha fatto il mio impegno cresimale di annunciare Cristo? Nelle nostre famiglie si parla di tutto l’effimero possibile e immaginabile. Nelle nostre parrocchie, la vocazione sacerdotale dei parroci è conculcata dalle assorbenti necessità di tipo amministrative. Nelle nostre scuole durante l’ora di religione, nel migliore dei casi, con le dovute poche eccezioni, per una questione di par condicio, si parla delle religioni proponendole alla stregua di prodotti posti su uno scaffale del supermercato dal quale ci si può servire liberamente.

In genere la religione, da noi, non è ragione di vita, figurarsi la fede. Tutto alla fine è un modo di pensare, tutto è relativo, tutto parte da noi per finire a noi e con noi. Tutto è razionale, ormai sappiamo spiegare tutto prescindendo dalla Rivelazione. L’azione di Dio, il trascendente, la vita eterna sono argomenti vecchi, favolette per gli anziani. L’Unico Dio? È uguale a quello degli altri, l’importante è comportarsi bene, aiutare i poveri e ovviamente fare, fare, e ancora fare. In questo opulento occidente con la fame del corpo è andata via anche quella dello spirito.

Nel XX secolo la discussione prevalente era tra l’essere e l’avere, oggi il problema dell’essere non è più l’avere ma il fare, ed il fare fine a sé stesso, il fare che, come una droga, ci porta a evadere dalla realtà, il fare che resta ancorato al materiale; un fare che, senza speranza, morirà con questo mondo.

È importante comportarsi bene e fare del bene. Certo. Silvia lo faceva, ma non le bastava. Aveva sete di acqua viva e non gliene abbiamo data. Perciò è diventata Aisha!

Paolo Scagliarini