Sul significato del rito

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Nelle sue opere maggiori, nel Fedro e nella Repubblica, Platone parla di due piani della Realtà: il mondo visibile terreno e il mondo invisibile Iperuranio. Il primo è specchio del secondo, per cui i significati e le cause degli accadimenti terreni vanno ricercati in questo secondo piano, il così detto mondo delle Idee, che è superiore ed antecedente al primo. Concorde con questa linea di pensiero, Plutarco afferma:”fra le cose di un ordine superiore,come fra le cose naturali, vi sono legami e corrispondenze segrete”. Nello Zohar, libro dell’esoterismo ebraico, è detto: “Dio fece questo mondo in corrispondenza con il mondo superiore; ciò che esiste in alto è il modello di ciò che esiste in basso, e ciò che esiste in basso è il modello di ciò che esiste nel mare. E Tutto è Uno”. Quindi affinchè un avvenimento si produca quaggiù, occorre che un avvenimento corrispondente si compia in alto, tutto essendo quaggiù un riflesso del mondo superiore. Come si può notare da questi pochi accenni delle dottrine tradizionali, ma si potrebbero trovare altri elementi consimili in tante altre fonti, esiste un intimo legame tra il visibile e l’invisibile, tra il mondo fisico e il mondo metafisico, in cui vanno ricercate le cause degli accadimenti di questa terra. Tutto questo rientra nel Dharma, cioè nella Legge Eterna dell’Universo, fondamento dell’armonia generale, all’interno della quale anche i vari disordini particolari concorrono al mantenimento dell’Ordine Universale. “Tutto è Uno” è dottrina di tutte le grandi tradizioni spirituali del pianeta; in tal senso il Signore Gesù afferma nel Vangelo di Giovanni: “..perchè tutti siano una cosa sola, come Tu Padre sei in me e io in Te, siano anch’essi in Noi una cosa sola..”. Da ciò consegue naturalmente che esiste una fitta rete di relazioni, spesso impercettibili,tra tutti gli esseri; quindi qualsiasi pensiero, parola, gesto e azione che l’uomo compie ha la sua risonanza nei vari mondi o dimensioni dell’Essere. Ne deriva, per l’uomo integrato in una visione organica dell’esistenza, una maggiore sua responsabilità, perchè evidentemente egli concorre con il suo atteggiamento sia all’equilibrio, che allo squilibrio del Cosmo. Con altre parole si può dire che l’uomo può vivere ed agire facendo la volontà di Dio, oppure andandogli contro, a seconda che si adegui o meno all’ordine dell’Universo, in cui è rintracciabile l’orma divina, così come Dante afferma nel Paradiso: “..le cose tutte quante hanno ordine tra loro e questo è forma che che l’Universo fa a Dio simigliante”.

Bisogna però considerare a questo punto, che l’essere umano con le sue sole possibilità individuali, non può far sì che il contatto armonico tra il visibile e l’invisibile venga mantenuto, è necessario che intervenga un elemento che abbia un’origine sopra-individuale: L’AZIONE RITUALE. Il RITO, dal latino Ritus che a sua volta deriva dal radicale indo-europeo RTA, significa “ORDINE”e consiste in una serie di gesti, parole ed atti che pongono in essere delle influenze sottili, che creano legami o contatti con gli esseri dei mondi superiori. In tutte le culture, dal mondo arcaico a quello antico e ancora oggi, in ciò che sopravvive delle tradizioni spirituali, troviamo un gran numero di Riti, ognuno dei quali ha una funzione specifica. Julius Evola,nella sua magistrale opera “Rivolta contro il mondo moderno”, afferma: “…il Rito fu il cemento originario delle organizzazioni tradizionali piccole e grandi…riti e sacrifici erano determinati da norme tradizionali minute e severe, le quali non ammettevano nulla di arbitrario e di soggettivo; essi erano imperativi, JUS STRICTUM. Il Rito è un AGIRE SACRO e quindi ha un’origine non umana; ogni Rito particolare è stato insegnato da un Essere superiore o comunque deriva da un’esperienza del Sacro e sua volta sacralizza un luogo, una persona, un evento della storia dell’uomo, conferendo in tal modo un elemento di Eternità e di assolutezza a ciò che è relativo e mutevole. Il Rito, in quanto agire sacro, è in sè un’azione sacrificale e il sacrificio per eccellenza lo compie all’origine dei tempi l’Essere Supremo, il quale sacrifica se stesso per dar vita al mondo intero. Nella Brhad-aranyaka Upanishad, la più antica delle Upanishad indiane, le quali costituiscono lo sviluppo dottrinale dei sacri Veda, il Creatore, identificato a Morte-Fame, trae dal non-Essere l’Universo per cibarsene, indi si trasforma in cavallo allo scopo di compiere l’asva-meda, cioè il Sacrificio di sè a sè stesso. In un’altra Upanishad viene affermato che il primo Sacrificio consiste nell’emissione del suono primordiale AUM (pronuncia OM), il Verbo divino, da cui deriveranno tutti gli altri indefiniti suoni-luce, che costituiscono la struttura sottile di tutti gli esseri viventi. Tale concezione deriva dal mondo arcaico e gli studi dello storico delle Religioni Mircea Eliade hanno ben posto in rilievo come in tanti popoli primitivi, la Creazione avviene mediante l’emissione di un urlo (l’urlo del dio egizio Thot), o mediante un canto dell’Essere primordiale, che in tal modo sacrifica se stesso. Il musicologo Marius Schneider, nella sua opera “il significato della musica”, afferma: “…poichè il suono rappresenta la sostanza primordiale del mondo e nel contempo l’unico mezzo di unione tra il Cielo e la Terra, l’offerta del suono è il Sacrificio più alto… la Chandogya Upanishad dice che il canto solare eseguito con la voce giusta, raggiunge l’altro mondo e può perfino piegare la volontà degli dei”. Un’eco di tale concezione è nel Prologo del Vangelo di S.Giovanni “Initium erat Verbum..” Come più sopra si è detto, i Riti servono per mantenere il contatto tra il Cielo e la Terra, senza dei quali quest’ultima si dissolverebbe nel Caos.

Un Rito fondamentale, che si ritrova presso tutti i popoli arcaici, consiste nella ripetizione della Cosmogonia ad opera del sacerdote-sciamano. In altri termini, il Rito non fa altro che rendere attuale il Mito dell’Origine dell’Universo e di tutte le cose, poichè, secondo la concezione dell’uomo arcaico, il Mito non è una favola come lo intendono i moderni, ma racchiude una Storia Vera, anzi una Storia Esemplare da doversi ripetere in tutti i momenti importanti della vita dell’uomo. L’Origine contiene la Potenza allo stato puro, per cui, ad esempio, nel caso di una malattia, che nell’individuo rappresenta una perdita di Potere, lo sciamano deve ritualmente ripetere il Mito dell’Origine e cioè la Cosmogonia. Attraverso tale Azione Sacra al malato giungerà per via sottile la guarigione sia del corpo che dell’anima. Anche nella fondazione di una città, nella costruzione di un tempio, di una casa viene riattualizzato il Mito Cosmogonico, in quanto, tra l’altro, la creazione dell’Universo rappresenta una vittoria e una affermazione del Cosmo sul Caos; in questo difatti vivono Forze temibili di distruzione che possono essere vinte ed arginate solo con l’Azione Rituale.

L’esatta esecuzione dei Riti, da parte da chi è qualificato alla loro esecuzione, assicura quindi la continuità della vita del mondo. Vi è un passo dell’Antico Testamento che, a proposito della fine del mondo, dice che questo avverrà entro un periodo simbolico di milleduecentonovanta giorni a partire da quando verrà abolito il Sacrificio quotidiano e sarà eretto l’abominio della desolazione (Daniele 12,11). Nelle civiltà tradizionali accanto ai Riti privati, spesso officiati dal Pater Familias o dalle parti contraenti di un rapporto di diritto privato, vi sono i Riti pubblici di competenza del Re-Pontefice nella Roma arcaica, dal Faraone in Egitto, dall’Imperatore nell’antica Cina. Un esempio della prima categoria è costituito dall’antica forma di compravendita del diritto romano arcaico, chiamata “mancipatio”, in cui il valore legale dell’atto non derivava dall’accordo tra le parti, come nel diritto moderno, ma dalla forma rituale solenne che si doveva celebrare alla presenza di testimoni e del libripens, colui che portava la stadèra simbolo della giustizia divina, e con la pronuncia di formule sacre da parti dei contraenti. Un Rito pubblico, che si celebrava nell’antico Egitto, era quello officiato dal Faraone che si identificava nel dio Osiride, il quale muore ad opera di Set, ma poi risorge grazie ai Riti eseguiti dal figlio Horo. Osiride è il dio che ha vinto la morte e può indicare agli uomini la strada per divenire dio. Il Faraone, identificandosi in lui, costruiva ritualmente questo grande ponte tra questo e l’altro mondo, assicurando così a tutto il popolo la stabilità della vita sulla terra e agli eletti la Via per la divinificazione. Tale concezione, sia pure in termini diversi, la si ritrova nella grande tragedia greca, in particolare nell’Edipo Re e nell’Edipo a Colono di Sofocle. Edipo re di Tebe, quando viene a sapere, grazie all’oracolo di Delfi, che la causa della pestilenza scoppiata nella sua città, risiede nella sua colpa per aver ucciso il padre Laio e sposata sua madre Giocasta, senza che egli sapesse del legame che aveva con essi, si autoacceca e si autoesilia. Dopo un lungo peregrinare, che ha la valenza dell’azione rituale purificatrice, nei pressi del bosco di Colono, ode una voce simile ad un rombo di tuono che lo chiama, e dirigendosi verso di essa scompare. Edipo, ormai mondato dalla colpa, viene assunto nella Luce divina e il suo corpo non conosce la corruzione. Egli, pur senza volerlo, ha aperto le porte al Caos, ma grazie alla sua azione sacrificale espia la colpa e rientra nell’ordine della Legge Divina, liberando anche la sua città dal male. Nella stessa concezione cristiana, il processo della Passione, Morte e Resurrezione da parte del Figlio di Dio offre la possibilità, almeno virtuale, a coloro che partecipano al Rito del Sacrificio Eucaristico, di superare la condizione umana rovinata dal peccato, per entrare nel mondo dell’Assoluto. A tal proposito S.Agostino afferma: “…il Signore nostro Gesù Cristo è nato nel tempo per introdurci nell’Eternità del Padre. Dio si è fatto uomo, perchè l’uomo diventasse Dio”. Sulla stessa linea di pensiero i grandi Padri greci: S.Basilio, S.Gregorio Nazianzeno, S.Giovanni Crisostomo insistono più sul concetto di divinificazione dell’uomo che partecipa al mistero della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo, che sulla sua santificazione, sostenuto in Occidente da una certa data in poi.

Un altro Rito pubblico, molto importante nell’antica Cina, era quello che l’Imperatore officiava nell’antica residenza del Ming-Tang, che con le sue nove stanze riproduceva l’antica divisione dell’Impero cinese, verso la fine del terzo millennio a.C., in nove province. Il Ming Tang (la casa della Luce), come la Gerusalemme celeste dell’Apocalisse, aveva forma quadrata e ogni lato tre aperture; nel complesso, quindi, dodici aperture che rappresentavano lo zodiaco e i mesi dell’anno divisi nelle quattro stagioni. L’Imperatore percorreva una circumambulazione in senso orario e, a seconda della stagione, si fermava nelle sale corrispondenti al punto cardinale del momento: in primavera ad Est; in estate a Sud; in autunno ad Ovest; in inverno a Nord. Da queste sale emanava i decreti occorrenti in quel periodo per il popolo e poi tornava al Centro dell’edificio. Con tale Rito solenne l’Imperatore assicurava la concordanza dei decreti della Terra con quelli del Cielo, fungendo la sua persona da Pontefice tra le due dimensioni dell’Essere. L’idea arcaica che, per conoscere la “Via giusta”da seguire, sia per ottenere la Conoscenza e sia per assicurare prosperità e salute ai singoli e a tutto il popolo, si debba creare sempre un contatto con il Mondo Superiore, la ritroviamo anche nel Rito solenne della Danza del Sole, praticato dagli indiani delle praterie del Nord America. Il Rito, di tipo iniziatico, consiste in una consacrazione al Sole, inteso come manifestazione visibile di Wacan Tanka (il Grande Spirito), cuore dell’Universo, creando così una simbiosi tra Esso e il cuore dell’uomo. In una grande tenda circolare, con un’apertura verso l’alto, viene eretto un albero che rappresenta l’Axis Mundi. Attorno ad esso i guerrieri danzano per tre o quattro giorni e a digiuno, facendo un andirivieni dall’albero, illuminato dal Sole che penetra dall’apertura in alto, all’indietro verso una zona coperta di fronde. I guerrieri danzando suonano un fischietto fatto di osso d’aquila e agitano nelle mani una piuma d’aquila, evocando in tal modo la presenza di Wacan Tanka, il tutto accompagnato dal suono dei tamburi e dai canti di altri guerrieri presenti. Avanzando verso l’albero, i guerrieri attingono alla Potenza trascendente; arretrando verso la periferia della tenda, spargono tale Grazia su tutto il popolo e su tutta la Terra. La danza riproduce il movimento del battito cardiaco, nonchè le due fasi della respirazione e l’intera Loggia Sacra è come un grande cuore che batte secondo il ritmo della danza. Questo grande Rito, che si celebra d’estate una volta l’anno, produce vari frutti: i guerrieri che danzano vengono iniziati alla Conoscenza di Wacan Tanka, il popolo ne riceve vari benefici, tra cui varie guarigioni e prosperità.

Tra i Riti iniziatici, meritano di essere ricordati anche quelli che venivano celebrati nella Grecia classica ad Eleusi. Si tratta di Riti che hanno la loro origine nella preistoria, così come quelli orfici e dionisiaci, ma che furono arricchiti di elementi culturali ellenici e per oltre un millennio costituirono un elemento strutturale della vita dei Greci antichi. Come tutti i Riti iniziatici, i Riti Eleusini riattualizzavano un Mito d’Origine, probabilmente di natura agraria legato alla morte e alla Resurrezione di un dio della fertilità; inoltre essi avevano lo scopo di provocare nel partecipante (nel miste) un radicale cambiamento del suo essere atto a fargli accedere alla Conoscenza della Realtà Totale. Nel Rito si ripeteva, rendendola attuale, la Morte e la Rinascita di Core-Persefone, figlia di Demetra dea delle messi. Core viene rapita da Ade, il dio dei morti, Demetra la ricerca affannosamente per nove giorni e nove notti digiunando; al decimo giorno giunge ad Eleusi, dove viene accolta dal re Celeo e da sua moglie Metanira che le danno in ristoro il ciceone, un miscuglio fatto di semolino d’orzo, d’acqua e di menta (che il miste assumerà nel Rito dopo aver digiunato). Venendo a sapere che Core era stata rapita da Ade, Demetra vaga per tutta le Terra, impedendo agli alberi di dare frutti e alle erbe di crescere. Zeus, il re degli dei dell’Olimpo, allora ordina ad Ade di rilasciare Core, purchè questa non abbia mangiato la melagrana, il cibo dei morti; poichè Core ne aveva mangiato una, si giunse al compromesso che lei avrebbe vissuto in ogni anno tre mesi in compagnia di Ade (durante la stagione invernale, quando la Natura si ritira sotto terra) come regina del Tartaro, il regno dei morti, con il nome di Persefone, gli altri nove mesi in compagnia di Demetra (in primavera, in estate e in autunno). In seguito a tale accordo Demetra risale all’Olimpo, però prima inizia ai misteri di Eleusi Trittolemo a cui insegna anche l’agricoltura. Il Rito, che riattualizza il Mito narrato, avveniva nel “telesterio”(luogo sacro) di Eleusi. Cominciava con purificazioni, poi il miste, con la testa coperta da una stoffa veniva introdotto nel telesterio e fatto sedere su di uno scranno ricoperto di pelle d’animale. Dopo aver digiunato per un certo periodo, beveva il ciceone, riproducendo ciò che aveva fatto Demetra. Seguiva la sua “morte iniziatica” con una simbolica discesa agli Inferi, e dopo aver manipolato misteriosamente alcuni oggetti sacri, di carattere simbolico, il miste diveniva un “ri-nato”e da quel momento si considerava adottato dalla Dea Demetra. Vi era successivamente un secondo grado di iniziazione: la “Epopteia”, cioè la Visione. Il miste diventava “colui che vede”. Un corteo di partecipanti ammessi ai “Grandi Misteri” accedeva all’interno di una caverna con delle torce accese e probabilmente intonando alcuni canti sacri. Giunti nel cuore della caverna essi spegnevano le torce e si alzava una cortina dietro la quale il sacerdote-ierofante appariva con un cofanetto tra le mani, all’interno del quale una spiga di grano cresceva e maturava con rapidità soprannaturale, tale Visione determinava la trasformazione totale del miste, il quale in tal modo si congiungeva con l’Assoluto. In conclusione possiamo affermare che sin dalla notte dei tempi, fino alle soglie del mondo moderno, l’uomo delle Civiltà Tradizionali ha sempre saputo di una solidarietà esistente tra l’ordine cosmico vero e proprio e l’ordine umano, per cui “l’ AZIONE RITUALE”, nel senso originale della parola, era quella compiuta in conformità dell’ORDINE COSMICO e che quindi assicurava il mantenimento dell’equilibrio e dell’ordine sia su tutta la Terra, che nella società degli uomini. Inoltre essa poteva essere vissuta a livello di piena coscienza da tutti i soggetti che ad essa prendevano parte, determinando in essi uno stato di PROFONDA PACE INTERIORE e di LIMPIDEZZA DI PENSIERO. Una causa fondamentale della crisi di identità dell’uomo contemporaneo, risiede nel fatto che il proprio vivere non ha punti di riferimento stabili, che superino una visione del tutto soggettiva della Realtà. Conseguenza logica ne è uno stato di agitazione cronico e di crisi continua dell’intera società. Nella migliore delle ipotesi l’uomo moderno, quando non è del tutto corrotto dalla struttura erronea della società, segue un codice morale nel proprio agire, ma questo non lo pone al riparo dal sentimentalismo e quindi da una certa rigidità di forme dell’azione, che in certi casi degenerano anche in comportamenti falsi ed inautentici. Nell’AZIONE RITUALE, se ciò si intende nel giusto modo, l’uomo invece conforma il suo essere ed operare al DHARMA, cioè alla Legge Divina che governa tutto l’Universo. In tal modo viene superato di gran lunga l’agire secondo una morale autonoma, la quale rimane cieca se non traduce in atto i dettami di una Conoscenza Superiore: la CONOSCENZA METAFISICA, tramite la quale si accede al MONDO DELLE CAUSE.

Antonio Bosna