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Artista mantovana dei nostri tempi, Teresa Noto è stata selezionata per esporre opere pittoriche alla “Biennale Internazionale d’Arte contemporanea Sacra delle Religioni dell’Umanità” (BIAS) inaugurata il 12 giugno a Venezia.

Questa è un’altra prestigiosa tappa artistica che arricchisce la biografia della pittrice, già autorevole per essere stata in passato invitata da importanti storici dell’arte a mostre nazionali e internazionali tra le quali la 54a Biennale Internazionale di Venezia – Padiglione Italia. Gli Artisti scelti dalla Commissione della Bias 2020 sono un centinaio sui novecento che si erano candidati alla partecipazione e le loro opere saranno esposte in varie prestigiose sedi nazionali, distribuite in tutto il nostro Paese. Tre lavori di Teresa Noto saranno inseriti nella sezione curata nel Castello di Morsasco in provincia di Alessandria, a pochi chilometri da Acqui Terme, che sarà inaugurata il 3 luglio per terminare, come l’intera manifestazione artistica, il 12 novembre 2020. Successivamente le opere voleranno a Palermo per poi essere esposte a San Pietroburgo.

Le tre opere di Teresa Noto che sarà possibile ammirare sono: “Gerusalemme” 2006, tecnica mista su tela, cm 120×100; “Geological“, 2007, tecnica mista su tela, cm 100×120; “Project for Achille’s helmet“, 2008, tecnica mista su tela,cm 110×100.

Chiediamo dunque all’artista:

È la prima volta che partecipa alla Biennale Internazionale Arte Sacra?

Questa è la terza edizione della Biennale Internazionale d’Arte Sacra BIAS e vi partecipo per la prima volta, ho però partecipato nel 2010 alla Quattordicesima Biennale d’Arte Sacra nel Museo della Fondazione Stauròs, San Gabriele-Isola del Gran Sasso (TE).

Quando l’arte diventa sacra?

Ci sono due modi di rappresentare il sacro nell’arte, il primo attraverso la rappresentazione di stereotipi, di immagini e figure che raccontino le sacre scritture, come tradizionalmente viene intesa la rappresentazione del sacro; il secondo, che ritengo più efficace a rappresentare il sacro, è il simbolo. Il simbolo ha un valore universale, cosmico che non si sottopone a facili interpretazione ma si può solo leggere e “sentire” attraverso l’inconscio collettivo, quello che Jung chiama “archetipo” ovvero simbolo universale ancestrale comune a tutte le popolazioni della terra.

Quando l’arte, secondo lei, può definirsi sacra?

L’arte diventa sacra quando esprime un valore, una ricerca intrinseca della luce come simbolo di “Verità”.

Si legge sul sito del Bias Institute che “È la spiritualità oltre le barriere linguistiche e geopolitiche, oltre i confini nazionali, in una visione universale che individua nel dialogo tra arte e religione un medium privilegiato di valori etici ed estetici”. Dunque arte e religione sono due mondi che, seppur contrapposti, dialogano, o è lo spirito religioso che l’artista infonde nelle sue opere?

Le religioni si sono sempre servite dell’arte per rendere comprensibili i simboli, per esempio la Croce è un simbolo solare, universale, astratto che il cristianesimo ha riconosciuto come veicolo del proprio Credo, ha messo un uomo sul simbolo ed è diventato  il Cristo, l’Uomo Cosmico figlio di Dio che indica un percorso, una traccia all’umanità.

Quanto l’arte sacra è testimonianza di un credo, e quanto opera di proselitismo inteso quale impellenza di portare gli altri alla Verità?

L’arte sacra diventa testimonianza di un credo quando la religione che rappresenta, di qualsiasi confessione sia, diventa un collante per unire un popolo con leggi e dogmi che lo sottopongano a discipline oltre le quali si diventa peccatori, dunque punibili.  Il ruolo dell’arte viceversa è indicare la via della luce e della libertà interiore.

Le chiediamo un grosso sforzo: può guidarci in poche parole alla lettura dell’opera “Gerusalemme”?

Ho eseguito questo lavoro del 2006 per un concorso dal tema “Linea di confine”. L’opera è strutturata come un mandàla con elementi in rilievo concentrici quasi a rappresentare agglomerati urbani che, su un deserto sabbioso,  si stringono attorno al centro rappresentato da un umbone dorato che evoca la Cupola della Roccia e oggetto del contendere di arabi e israeliani. La città di Gerusalemme è un crocevia delle tre principali  religioni monoteiste però è tuttora oggetto di scontri per il dominio territoriale tra le due parti. Nell’opera la linea di confine, che è puramente ideale, è rappresentata da due filamenti di metallo che la dividono simmetricamente in due parti. Divisione che costa tuttora tensioni politiche o religiose. La scritta in ebraico sopra e arabo sotto testimoniano il conflitto in atto.